Il pensiero sociale della Chiesa
di don Raffaello Ciccone
Le riflessioni della Chiesa
in ambito sociale e politico
Il pensiero sociale della Chiesa
(*“Dottrina Sociale”, nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa di Hervé Carrier, ed. San Paolo, 1993, p.10ss)
La Chiesa non può in alcun modo essere paragonata a una delle tante posizioni ideologiche. Appare obiettivamente che la Dottrina sociale della Chiesa “non è né un’ideologia, né una teoria sociale, né un cliché destinato a un particolare progetto di sistema economico o sociale, né un esercizio nascosto di potere o di legittimazione di interessi acquisiti e neanche un’utopia idealizzata o un catalogo di morale astratta per le collettività umane” (Carrier).
Questa dottrina costituisce «una categoria in sé e per sé» che esprime, per il nostro tempo, la riflessione della Chiesa sulle realtà sociali valutandole alla luce del Vangelo e proponendo principi direttivi di comportamento pratico nella società.
Il presupposto di questa delimitazione è una maggiore consapevolezza dell’autonomia delle realtà terrene con leggi e metodi che non sono deducibili dalla fede (GS 36).
Conseguenza di questa autonomia sarà un certo prevedibile e legittimo pluralismo di scelte politiche e sociali.
Anche le encicliche di Giovanni Paolo II non si allontanano da questo modello anche se si assiste al ritorno dell’uso frequente dell’espressione “Dottrina sociale della Chiesa” (che evoca una certa idea di completezza e rigidità) al posto di quella meno impegnativa e più flessibile di “insegnamento sociale”.
Si tratta, fondamentalmente, di un’applicazione della teologia, in particolare della teologia morale, alle questioni etiche sollevate dalle società umane. Questa dottrina è nel contempo teologicamente ispirata e socialmente realistica, in quanto propone un concetto cristiano della vita umana per situazioni sociali esaminate attraverso la riflessione razionale e le scienze umane. Si tratta di un servizio reso dalla Chiesa a coloro che edificano la società. «[La Chiesa] cerca… di guidare gli uomini a rispondere, anche con l’ausilio della riflessione razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di costruttori responsabili della società terrena» (Sollicitudo rei socialis 1).
Sarebbe quindi errato ridurre la dottrina sociale della Chiesa a una terza via tra il marxismo e il capitalismo, come se la Chiesa desse vita a una ideologia alternativa per la costruzione di un sistema economico o politico. La Chiesa non propone alcuna ideologia, alcun sistema sociale, economico o politico, perché ciò non rientra né nel suo livello di azione, né nella sua competenza. Il suo ruolo specifico è quello di interpretare il valore morale delle attività sociali e di offrire dei principi guida conformi alla visione evangelica della dignità umana. Questo punto è stato chiaramente espresso da Giovanni Paolo II: «La dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale».
L’aspetto teologico della dottrina sociale cattolica e il relativo rapporto con la missione evangelizzatrice della Chiesa verranno esplicitati con maggiore incisività da Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus del 10 maggio 1991.
La dottrina sociale della Chiesa si presenta allora, oggi, non già come un codice statico di norme sociali, ma come un ampio processo in costante sviluppo. Da questo punto di vista la dottrina della Chiesa costituisce uno sforzo lento, cauto ma crescente, volto a comprendere e ad accompagnare spiritualmente l’esperienza sociale della famiglia umana. Questa dottrina non è puramente teorica, ma eminentemente pratica, in quanto può essere applicata a situazioni storiche future ed è aperta a un continuo rinnovamento; infatti, la riflessione cristiana riguarda situazioni mutevoli e fa proprie le sfide etiche delle diverse società.
Sono questi i motivi per cui la Chiesa ci invita ormai a riconsiderare il pensiero sociale cristiano così come è andato sviluppandosi in contesti sempre nuovi, arricchendosi attraverso i secoli grazie al confronto con i problemi etici e spirituali delle società in epoche e culture diverse.
I problemi urgenti ai quali la nostra epoca deve far fronte richiedono un esame attento e impegno da parte dei cristiani, cosa che è stata peraltro espressa dal sinodo dei vescovi del 1985: «Crescono… oggi ovunque nel mondo la fame, l’oppressione, l’ingiustizia e la guerra, le sofferenze, il terrorismo e altre forme di violenza di ogni genere. Ciò obbliga a una nuova e più profonda riflessione teologica per interpretare tali segni alla luce del vangelo». Il sinodo concludeva che dobbiamo comprendere meglio in che cosa consiste e come attuare «la dottrina sociale della Chiesa in rapporto alla promozione umana in situazioni sempre nuove». (Sinodo straordinario dei vescovi, Rapporto finale 1985)
L’opportuno appello dei vescovi è un invito a riconsiderare la Dottrina sociale della Chiesa come un processo crescente e continuo, corrispondente all’esperienza dei cristiani che si sono sforzati di capire le loro responsabilità nell’ambito di società molto diverse attraverso i secoli. Questo aspetto merita di essere ribadito, perché troppe volte la Dottrina sociale della Chiesa è stata considerata come un insieme statico di proposte e di regole.
Non dimentichiamo che negli anni ’60 e ’70 in alcuni ambienti cattolici si dibatteva circa la «dottrina sociale della Chiesa», il suo significato, la sua importanza e addirittura la sua esistenza. Questa «dottrina», secondo alcuni critici, non rappresentava altro che un’opzione ideologica rispetto a ideologie più operative quali il socialismo e il comunismo. Altri consideravano la dottrina sociale della Chiesa un compendio di encicliche papali, le cui citazioni letterali si rivelavano assai poco utili alla comprensione del ruolo della Chiesa nella società moderna.
La situazione si è ora decisamente ribaltata, via via che il messaggio del concilio Vaticano II è stato compreso sempre più a fondo. Anche gli sforzi costanti di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono stati determinanti; essi hanno ampiamente contribuito a dare un nuovo impulso all’insegnamento della Chiesa sui problemi essenziali che coinvolgono le società contemporanee: giustizia, diritti umani, libertà, liberazione, sviluppo, pace, ambiente, difesa della famiglia, dei lavoratori, degli oppressi, delle minoranze, responsabilità delle organizzazioni libere, degli Stati e degli organismi internazionali.
Oggi si comprende meglio che la dottrina della Chiesa manifesta una «preoccupazione crescente» e resta un processo aperto. Ciò significa che quanto la Chiesa afferma oggi circa i rapporti con le società e i gruppi non è solo il risultato di deduzioni astratte, ma rappresenta piuttosto una lunga esperienza di riflessione e di azione nell’ambito di contesti sociali in evoluzione. Questa esperienza risale alle origini della Chiesa che è sempre stata attenta ai cambiamenti sociali sopraggiunti nella storia fino a questi ultimi tempi. Queste pagine, appunto, si propongono di illustrare in modo sintetico questa ricca e viva esperienza della Chiesa, che si è sforzata di applicare i principi del vangelo alle realtà delle società in costante mutamento, alla luce della riflessione cristiana e dello studio razionale.
E, d’altra parte, la dottrina sociale della Chiesa si è nutrita largamente della capacità dei cattolici di consacrarsi ai complessi problemi delle società attuali. Le analisi puntuali e il discernimento cristiano hanno condotto alla definizione di nuovi principi guida relativi a problemi contemporanei quali la guerra nucleare, il debito internazionale, la contrapposizione Est-Ovest e i rapporti Nord-Sud, i movimenti di liberazione, i rifugiati, la protezione dell’ambiente, la disoccupazione tecnologica, l’apartheid, le minoranze, la condizione dei giovani e delle donne.
Così la Chiesa non si limita a «insegnare» alle società, ma «apprende» anche qualche cosa da queste società. Infatti, i rapporti tra la Chiesa e la società sono il riflesso di un processo di influenza reciproca e di interazione.
Da un lato, le società che si sono succedute nel tempo hanno lasciato una impronta particolare nella Chiesa considerata come entità sociale. La Chiesa è stata segnata dalle trasformazioni storiche delle culture, dallo sviluppo progressivo delle scienze, delle arti e delle tecniche di produzione e di comunicazione.
Il carattere che la Chiesa vuole portare tende a contraddistinguersi come:
– evangelico: più che riferimento al diritto naturale vuole rifarsi alle istanze di liberazione e alla radicalità delle esigenze evangeliche;
– profetico: più che difesa vuol essere un annuncio per il futuro;
– critico: più che proporre un modello di società vuole offrire lo stimolo ad una visione critica dell’esistente;
– dialogale: più che la imposizione di una precisa posizione dottrinale vuole essere l’offerta di un contributo specifico ad un dialogo aperto a tutti;
– pluralista: più che un discorso universale vuole suggerire indicazioni differenti per situazioni diverse.
Dottrina sociale della Chiesa. Linee centrali.
(Le sigle rimandano ai documenti della Dottrina sociale della Chiesa)
1. Il primo punto di riferimento è il valore della persona umana. La sua dignità, la sua libertà, l’uguaglianza radicale di tutti gli uomini. L’autentico bene dell’uomo è il suo essere personale; non ciò che possiede ma ciò che è, e il mistero del suo essere si scopre nella sua prospettiva trascendente. L’interesse sociale deve tendere a far sì che l’uomo passi «da condizioni di vita meno umane a condizioni di vita più umane» (PP 20) (LE, CA).
2. «Il lavoro umano è la chiave, forse la chiave essenziale, di tutta la questione sociale»; non deve essere considerato come merce, ma come attività personale (LE 3 e 6). Il sistema del salario non è di per sé ingiusto. Può garantire la giustizia e oggi come oggi non se ne conosce un altro che possa sostituirlo. Tuttavia, il rapporto tra le parti va al di là del salario; il lavoratore fa parte dell’impresa e deve partecipare in qualche modo alla sua proprietà, all’amministrazione e ai benefici (QA, GS).
I lavoratori hanno diritto ad associarsi, a formare sindacati per difendere i loro interessi, il che non vuol dire lottare «contro gli altri» (RN, LE 20).
Lo sciopero, «nella presente situazione, può continuare ad essere un mezzo necessario, anche se estremo» (GS 68).
La lotta di classe è illegittima se intesa come conflitto nel quale non si rispetta l’etica e nel quale si cerca il bene personale a prescindere dal bene generale (QA, CA 14).
Il vizio radicale del capitalismo liberale e del marxismo sta nel fatto che entrambi sono materialisti: violano i diritti delle persone concentrandosi sui beni materiali (LE 13). Uno sviluppo puramente economico non libera l’uomo; piuttosto, lo disumanizza (SRS 46).
3. Il diritto di proprietà individuale è legittimo e deve essere promosso. Garantisce la libertà e la creatività e stimola il lavoro. Tale diritto riguarda anche i mezzi di produzione (RN 9, 10, 14, 18; MM 21; LE 14; CA 6, 30).
La proprietà privata, però, «non costituisce per nessuno un diritto senza condizioni ed assoluto» (PP 23); su questo diritto pende un’«ipoteca sociale». Esso è subordinato a un altro più radicale: Dio ha destinato i beni della terra «perché ne facciano uso tutti gli uomini e i popoli» (GS 69; LE 14; SRS 42).
4. La solidarietà tra gli uomini e tra i popoli. È un fatto in molti campi (PP 17). Deve esserlo particolarmente in questo, perché si superi la mentalità individualistica (CA 49).
– «L’amore preferenziale per i poveri» è una delle espressioni necessarie della solidarietà (SRS 46).
– «L’amore per il prossimo e la giustizia sono inseparabili. L’amore è innanzi tutto un’esigenza assoluta di giustizia» (Sinodo Vescovi, 1971).
– Il superfluo deve essere considerato «con la misura delle necessità degli altri» (Giovanni XXIII: GS 69). Come già insegnarono i Padri della Chiesa, quello che avanza al ricco appartiene al bisognoso (PP 23). Similmente, «il superfluo dei paesi ricchi deve essere dedicato ai paesi poveri» (PP 49).
Il cardinal Lustiger affermava che siamo agli inizi del cristianesimo. Almeno nel campo dell’applicazione del *vangelo alla vita sociale, tale affermazione risulta innegabile se guardiamo semplicemente a quanto detto nel punto 4.
5. La Chiesa ha il diritto e il dovere di intervenire in questo campo proponendo la sua dottrina. Poiché il sociale comporta una responsabilità morale, «fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa» (SRS 41). In questo campo sono coinvolti elementi evangelici fondamentali come la giustizia, la carità, l’essere dell’uomo e il suo destino (RN, QA, EN, PP). Questa dottrina non è una terza via tra il capitalismo liberale e il materialismo marxista, ma è applicazione della Parola di Dio alla vita (SRS 41).
