Il presepio, oggetto di dibattito e scontro

In queste settimane pre-natalizie è stato oggetto di discussione ed è entrato nel “tritatutto” della polemica massmediale anche il presepe. Sono noti i fatti. A Como è stata sostituita in un canto natalizio la parola “Gesù” con “virtù”, a Vicenza in molte scuole si è deciso di non fare il presepio, mentre a Treviso per lo spettacolo di Natale si rappresenta la favola di Cappuccetto rosso.
Credo che si debba convenire sul fatto che si è esagerato nello “zelo”. Non fare il presepio o non cantare il nome di Gesù mi sembrano gesti che vanno oltre (e c’entrano poco con) il rispetto dovuto alle altre tradizioni e credenze religiose. Il presepio e il Natale sono da sempre un patrimonio culturale del nostro paese e l’espressione genuina della religione cattolica, e la loro presentazione e rappresentazione non minano certo il rispetto e il dialogo nei confronti delle altre espressioni religiose.
Ciò detto, mi sembra però che la vicenda meriti tre precisazioni, ad evitare alcuni rischi e pericolose semplificazioni.
1. Intanto, il fatto in sé – in quanto vede protagonisti scuola, insegnanti e genitori – evidenzia i nuovi problemi connessi all’educare in un contesto multiculturale e multireligioso. Le soluzioni adottate in questo caso specifico sono discutibili e sbagliate, ma rimane comunque aperta la questione educativa in un contesto sociale in profondo cambiamento e pluralizzazione. Riflessioni più pacate e serene potrebbero aiutare gli operatori scolastici a trovare strumenti e modalità più consone e adeguate.
2. Occorre poi fare attenzione all’uso strumentale della religione cattolica in funzione anti-islamica. Questa vicenda del presepio (ma in passato anche quella del crocifisso, per non ricordare le reazioni seguite al “caso Buttiglione”) non è che l’ultimo caso di un tentativo pericoloso: quello di “arruolare” il cristianesimo in una guerra dell’Occidente contro il nemico mussulmano, coinvolgendolo in uno scontro di civiltà. Il cristianesimo si trasforma così in una sorta di religione civile, che ne snatura la trascendenza e la tensione universalistica e appiattisce la chiesa sulla civiltà occidentale.
3. Da ultimo, sul piano pastorale e dell’evangelizzazione, occorre avere ben chiara la strategia: non basta sollecitare e promuovere il ritorno del presepio nelle case e nelle scuole (cosa sacrosanta!); bisogna piuttosto prendere atto che dietro l’indebolimento della tradizione ci sta una forte secolarizzazione della coscienza dei cristiani e delle famiglie cristiane. Ci deve preoccupare che non si faccia più il presepe nelle case e nelle scuole, ma ci si deve preoccupare soprattutto che si sia smarrito il senso del Natale nel vissuto delle nostre famiglie. Famiglie sempre più omologate a un Natale fatto di consumi, di feste intime e private, di vacanze, ma poco propense a lasciarsi mettere in discussione dal mistero che il Natale racchiude; un mistero che richiederebbe cristiani gioiosi e stupiti di riconoscere Dio nell’umiltà e nella piccolezza delle cose quotidiane e che esigerebbe stili di vita più sobri, pacificatori, aperti al bisogno e capaci di prossimità.
Non si tratta, allora, di diventare paladini (magari un po’ chiassosi) di una tradizione culturale; si tratta piuttosto di mettere in discussione il nostro modo di essere chiesa e cristiani oggi e la qualità autenticamente evangelica delle nostre scelte e azioni quotidiane (personali, familiari, sociali). Qualità e autenticità che abbiamo smarrito noi. Non sono stati i mussulmani a scipparcele e a renderci dei cristiani scipiti e sale senza sapore.