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Sommesse proposte per l’igiene della campagna elettorale (20 febbraio 2001)

Una campagna elettorale, soprattutto per il rinnovo del parlamento nazionale, è un momento decisivo per una democrazia. Si tratta di uno di quei periodici riti che funzionano da perenne occasione di rinnovamento, in quanto si verifica periodicamente quell’origine del mandato a comandare nella sovranità di tutti i cittadini, che sta scritto nelle sacre tavole e che troppo spesso viene bellamente dimenticato. Per questo occorre prenderla molto sul serio, e dal nostro punto di vista (di associazione impegnata a riflettere sulla cultura politica, e quindi non coinvolta statutariamente nella battaglia politica), vorremmo proporre di fare della campagna che sta entrando nel vivo un’occasione di serrata analisi sullo stato della nostra democrazia. Naturalmente non pretendiamo di essere osservatori imparziali: tutt’altro. Chi ci conosce sa le nostre passioni e la nostra chiara scelta di campo per la libertà solidale, la giustizia e l’equità. Altrettanto sicuramente, non vogliamo appiattirci sul dibattito contingente, e quindi vorremmo osservare le vicende in corso per valutarle con distacco critico, restando attenti alle questioni generali della democrazia e dell’impegno politico dei credenti. Formuleremo quindi alcuni auspici che sono rivolti alla classe politica in questi mesi di fibrillazione, ma anche alcuni richiami alla coscienza di tutti noi cittadini e credenti, che siamo chiamati a vivere questo appuntamento.


1. Se latita la passione, occorre mettere in campo la ragione

L’impressione di una certa insofferenza, di un disinteresse marcato e diffuso, di un atteggiamento disincantato della maggioranza della popolazione, domina questi mesi di preparazione allo scontro elettorale. Anche molti credenti hanno ormai cancellato la politica dalla lista delle loro urgenze e dei loro pensieri. La campagna elettorale è una buona occasione per tornare a valutare seriamente l’importanza della politica. Sono in gioco i destini del paese per cinque anni, nel corso dei quali possono essere fatte molte scelte che incideranno nella vita delle persone. Non è corretto pensare che dopo le elezioni tutto sarà come prima, e che potremo continuare ad occuparci di tante dimensioni della vita personale e sociale, a prescindere dal governo che il paese si darà. La ragione chiede uno sforzo di discernimento anche là dove la passione magari si è assopita e il disincanto ha portato a vedere la questione elettorale come affare di un piccolo gruppo di professionisti. La ragione non sopporta infatti dimissioni: magari lo sforzo di preoccuparsi ragionevolmente di quello che oggi succede aiuterà anche a ricostruire domani le basi di una possibile passione per il bene comune, che è merce quanto mai rara sotto il sole del nostro Occidente opulento.


2. Discernere i motivi di somiglianza degli schieramenti dai pesanti fattori di diversità

Sappiamo che nel nostro sistema ormai bipolare sono due gli schieramenti maggiori che si candidano a governare.  E’ fondata la sensazione diffusa che le differenze tra di loro siano sempre più modeste e sfuggenti. Addirittura, la stessa forma di comunicazione della campagna elettorale dei due schieramenti segue moduli che si ricalcano sempre di più, mentre su alcuni pochi temi (la riduzione delle tasse, la sicurezza dei singoli cittadini…) si concentra il tentativo di strappare il consenso a un elettorato presunto “centrale”, che in realtà è un corpo sociale sempre più indeciso e distaccato dalla politica, non sempre attento e mobile nei suoi comportamenti. Bisogna anche capire che ci sono motivi per questa tendenza all'imitazione: non solo la troppo decantata “fine delle ideologie”, ma soprattutto i vincoli internazionali e strutturali (si pensi all’Unione europea, alle alleanze militari, oppure alla forza dei mercati finanziari), che fissano binari precisi a qualsiasi governo. Le conseguenze possono essere in qualche caso virtuose, ma spesso sono problematiche (in particolare sul terreno delle politiche economiche): ciò non toglie che nessun governo può prescinderne totalmente. Detto questo, è anche vero che ci sono molti settori in cui ci si può attendere un comportamento diverso da parte dei due poli, in caso di vittoria, e su questo occorre essere più sensibili nel discriminare le offerte: pensiamo alla questione della giustizia, alle modalità di riduzione delle tasse, alla legislazione sul lavoro oppure ancora alla riforma dello Stato sociale. Casomai, un elettorato esigente dovrebbe invitare i propri politici ad essere più chiari nel valorizzare gli elementi di distinzione dagli avversari, senza polemichette personalistiche, ma con chiara dimostrazione di progettualità: il vero statista non è colui che segue la  corrente della maggioranza o gli umori mutevoli dei sondaggi, ma colui che è capace di convincere i cittadini della bontà delle proprie prospettive.


3. Per la prima volta, possiamo valutare i contendenti dai loro “frutti”

In fondo, va notato, queste sono le prime elezioni – dopo la grande svolta politica dei primi anni ’90 – in cui ambedue gli schieramenti che si presentano al voto sono reduci da esperienze di governo, condotte sostanzialmente con una medesima formazione. L’alleanza Polo-Lega ha governato nel 1994, il centro-sinistra o Ulivo dal 1996 ad oggi. Quindi il giudizio sulla credibilità delle sbandierate promesse e della propaganda effimera può essere ricondotto al loro reale operato, alla loro coerenza con i progetti presentati, alla loro credibilità come classe di governo, alla coesione sostanziale delle loro alleanze dopo il voto, alla loro serietà nella gestione della finanza pubblica e delle risorse dei cittadini, al loro impegno riformatore. E’ ragionevole aspettarsi quello che i frutti hanno già mostrato, nel bene come nel male. La polvere propagandistica non deve oscurare il peso dei fatti.


4. L’esigenza primaria è formulare un voto “utile” per il governo (ma entro certi limiti)

La logica dei sistemi politici bipolari, favoriti da un meccanismo elettorale maggioritario, è sostanzialmente chiara, sulla carta: più che un singolo partito si deve votare per un’alleanza, che si candida a governare. Occorre quindi superare una certa nostalgia delle identificazioni passate tra settori di elettorato e relativi partiti che, ottenuto il voto in base a forti motivazioni identitarie, gestivano poi la delega in proprio scegliendo e disfando alleanze e governi. In questa nuova condizione, il criterio del "meno distante" è quindi un buon criterio di scelta. Non si devono rincorrere false “identità” con troppa nostalgia del passato. Ma non ci sentiamo di essere assoluti in questa indicazione. Da un parte, si può comprendere che se l’offerta delle maggiori coalizioni appare inaccettabile, troppo reciprocamente appiattita sulle stesse posizioni, senza nerbo ideale, senza riconoscibilità programmatica, con una formazione troppo raccogliticcia e frammentata, molta parte dell’elettorato scelga la via di fuga dell’astensione (che infatti negli ultimi turni elettorali cresce a vista d’occhio). Non è mai una scelta raccomandabile: si tratta di una vera sconfitta della democrazia, ma è un segnale che deve essere inteso dai politici come un appello a non tradire le proprie ragioni, a non accontentarsi troppo. Dall’altra parte, è poi anche vero che, sempre tramite un giudizio sintetico e ponderato, si può anche punire una coalizione cui ci si sente vicini, identificando altre scelte, più o meno convincenti. Le forze politiche che ambiscono a costruire “terze offerte”, oppure quelle che non vogliono sottoporsi al ricatto del bipolarismo, presentandosi isolate al voto, sono legittimate a cercare il consenso. Per fare un esempio americano: non ci paiono fondate le critiche aprioristiche ai sostenitori di Ralph Nader che avrebbero condotto alla sconfitta di Al Gore: se quest’ultimo non si è guadagnato il consenso dei settori più avanzati ed esigenti, è sua la responsabilità. L’elettorato ha a disposizione anche l’arma di un voto "testimoniale", non immediatamente efficace in termini di governo, per mandare un messaggio alla propria parte politica.


5. La personalizzazione della politica non dovrebbe oscurare i progetti e la qualità di una intera classe dirigente

L’identificazione crescente delle offerte politiche quasi esclusivamente nei volti telegenici di alcuni leader è sempre più palese: è una dinamica generale delle democrazie mature, che oscura le identità ideologiche e quelle programmatiche. La personalizzazione non è del resto una novità: è infatti sempre esistita nella politica moderna la necessità di rendere credibile e comunicabile un disegno politico tramite figure rappresentative e simbolicamente capaci di mandare un messaggio non solo verbale all’elettorato. Ma la personalizzazione va controllata attentamente: sotto la superficie di volti accattivanti si nasconde spesso il vuoto politico, oppure si mascherano disegni e progetti inconfessabili. Essa può essere agevolmente tirata a disegni di parte: si pensi alla discussione sulla mancata volontà di Berlusconi a partecipare a un confronto elettorale televisivo “alla pari” con Rutelli (egli mira surrettiziamente a sottolineare ancor più la propria originalità di “vero” leader). Non si può poi non ricordare che le prospettive incisive di governo di una società complessa hanno bisogno di responsabilizzare una vera e propria équipe di governo, la cui qualità complessiva va attentamente vagliata, al di là dell'isolata figura del leader che si candida a guidare il governo.


6. Il rispetto del mandato è sicuramente un forte elemento di valutazione sui candidati

L'attuale parlamento contiene evidentemente un elemento patologico, nell’alto numero dei suoi membri che hanno cambiato casacca in corso d'opera. Ora: non è giusto pretendere l'immobilismo dei propri rappresentanti, che non sono vincolati nel momento del voto di fronte a situazioni che possono anche cambiare (nelle democrazie moderne, non a caso, si è introdotto il rifiuto del "mandato imperativo"). I politici non sono rappresentanti di interessi in termini privati. Non tradire un disegno politico può qualche volta chiedere rotture di appartenenze e fedeltà parziali. Ma da questa constatazione non si può arrivare a giustificare le migrazioni di massa verso il governo (o il sottogoverno), la moltiplicazione di sigle e partitini che nascono in parlamento il giorno dopo elezioni che avrebbero dovuto semplificare il quadro, la disinvoltura del salto della quaglia in cui certi onorevoli si sono distinti in questi anni. Il collegio  uninominale avrebbe dovuto garantire anche un rapporto diretto tra elettori ed eletti: chi si è preoccupato di conoscere l'evoluzione delle fortune del deputato del proprio collegio nel corso di quattro anni? Forse è bene oggi cominciare ad essere più esigenti in questo senso, penalizzando coloro che hanno fatto del virtuosismo del cambio di casacche un vero e proprio marchio di deteriore realismo politico.


7. Queste elezioni sono dominate da un'anomalia italiana: il conflitto di interessi

E' colpa grave delle maggioranze politiche e dei governi che si sono succeduti in questi anni non avere messo le basi legislative per una soluzione del problema del conflitto tra interessi economici privati e funzioni di governo, che fosse di taglio democratico avanzato e non levantino. Infatti oggi il problema si ripropone come fattore di inquinamento tattico della campagna elettorale e il leader della cosiddetta "Casa delle libertà", che è contemporaneamente padrone di una concentrazione senza paragoni di mezzi di comunicazione (tra l'altro esercitati in buona parte in regime di pubblica concessione) e di una notevolissima fortuna economica, può presentarsi come oggetto di un tentativo di ostracismo. Ciò proprio mentre le sue fortune economiche sono determinanti nel finanziamento della campagna elettorale. La sua ambizione a guidare un governo in caso di vittoria, riproporrà aggravato il problema che già nel 1994 aveva gettato ombre lunghe sulla politica, non solo per il possibile effetto di strascichi giudiziari della precedente carriera imprenditorial-politica di Berlusconi, ma anche per la gestione oscura di specifiche leggi fatte approvare dal governo (es. la disinvolta applicazione da parte di Mediaset della cosiddetta "legge Tremonti" sulla detassazione degli utili reinvestiti).


8. I credenti devono riscoprire un forte impegno al discernimento, che chiede un'aperta discussione tra i punti di vista diversi

L'approccio della comunità ecclesiale alla nuova campagna elettorale sarà probabilmente condotto secondo una linea che da qualche anno è divenuta abituale (innovando profondamente rispetto al passato): la dichiarazione di non coinvolgimento diretto della Chiesa, nel rispetto delle diverse opzioni dei credenti impegnati in politica (che sono schierati – o dispersi – su diversi versanti dello scontro), pur nel richiamo all'importanza di una gamma di valori cristiani irrinunciabili per tutti. A livello diffuso, questa impostazione del problema deve ancora essere compresa e acquisita, superando un pesante sconcerto. Intravediamo il rischio che tale prospettiva si traduca in un sostanziale silenzio nelle comunità cristiane a livello capillare, con l'abdicazione sostanziale a ritenere la politica una questione vitale per i cristiani, e quindi il rifiuto di un impegno di discernimento. Scivolando verso l'indifferenza, crediamo che si tradirebbe il messaggio dell'impegnativa responsabilità verso i valori. A noi sembra che il pluralismo dei comportamenti politici dei credenti sia un’acquisizione di libertà (non abbiamo nessuna nostalgia dei tempi dell’unità forzosa). Ma per diventare fecondo, il pluralismo deve essere accompagnato dal confronto esplicito delle prospettive e delle coerenze di ciascuno con la fede. In questa direzione, occorre moltiplicare i luoghi di scambio e di verifica, in cui soprattutto i laici possano aiutare un discernimento maturo sulla situazione. Un confronto che parta dalla responsabilità di ciascun soggetto politico verso il bene comune complessivo, in nome della fede, e non dalla maggiore o minore sensibilità verso presunti "interessi cattolici", intesi in senso restrittivo e particolaristico.


9. Occorre rivendicare  di essere cittadini anche e soprattutto dopo la campagna elettorale

Questo è il momento della grande disponibilità dei politici a spendersi in promesse. Prendiamoli sul serio, chiedendo loro una promessa rispetto ad un percorso di “buona politica” nel periodo successivo alle elezioni. Uno dei problemi più seri dell’attuale vita politica è infatti la tendenza a concentrarsi su pochi momenti di “appello al popolo”, sempre più enfatici psicologicamente e mediaticamente, quanto finalizzati a ottenere una delega in bianco dal corpo elettorale per la classe politica professionale. Sono sempre più rari i momenti di una politica “orizzontale”, che coinvolga la responsabilità delle persone anche nella ferialità della democrazia. Occorre esercitare le scelte delle elezioni anche con un occhio a questo problema: favorire chi è disponibile a sostenere una visione della politica che non si riduca al rapporto verticale tra l’elettorato e il suo governante, ma chieda un coinvolgimento continuo e fecondo della popolazione nell’attività politica. Al contempo, le elezioni devono suonare una campana per tutti i cittadini, che ottengono maggior legittimazione a criticare anche fortemente i politici, nella misura in cui non abdicano alla propria responsabilità di attiva partecipazione alla cosa pubblica, ciascuno nei propri limiti e secondo le proprie risorse.

20 febbraio 2001