R. Orfei, Il gioco dell’oca. Rapporto sul movimento cattolico, Diabasis, Reggio Emilia 2009
Rifare il (un?) movimento cattolico?
Ruggero Orfei è una personalità singolare dell’area cattolica. Intellettuale acuto senza cattedra, giornalista vivace sempre oltre la mera cronaca, cristiano fedele ma libero, figura schiva e non piena di sé come molti uomini di pensiero. Da molti decenni ogni suo scritto è un contributo che fa pensare: dai tempi in cui si occupava della biblioteca della Cattolica di Milano, per passare alla stagione di «Settegiorni» e poi alle Acli, fino alla segreteria di De Mita e allo staff della presidenza del Consiglio. Ora, da arzillo pensionato, è uno scoppiettante concentrato di memorie, sempre però proteso al futuro e non nostalgico. Un brillante conversatore, sempre pronto a dare una mano a molte iniziative.
È uscito qualche mese fa un suo nuovo impegnativo saggio, che merita come sempre una lettura e una discussione. Nientemeno che «rapporto sul movimento cattolico», recita il sottotitolo di un titolo scherzoso e provocatorio, Il gioco dell’oca1. Si tratta di un lungo percorso, fatto di molti capitoletti che affrontano un aspetto del tema, ciascuno dei quali intitolato con un motto allegro: per fare un esempio, «Gli interessi cattolici (la “robba”)», oppure «Centro e centrismo (Anch’io vissi in Arcadia)». Insomma, una lettura godibile, piena di citazioni, diversioni, aneddoti, riflessioni a margine. Che alla fine gira però attorno a un tema di prima grandezza.
Il messaggio forte del libro si potrebbe così definire, almeno alla mia lettura: la situazione che si è aperta nel cattolicesimo italiano in seguito alla fine della Dc è ricca di problemi ed evidenzia forti difficoltà culturali e quindi progettuali. L’analisi di questi deficit è ricca e serrata. Orfei individua la svalutazione della testimonianza politica rispetto alla fede (che fa parte di un quadro generale di indebolimento della politica, ridotta a stato laicale, post-ideologico e quindi meramente amministrativo). Critica l’assurdità cui qualcuno si spinge nel negare un possibile incontro di credenti su progetto comune: una sorta di non expedit dal basso (costringendo all’individualismo della testimonianza cristiana). Mette in luce la perdita dei nessi tra vangelo e vita fino all’incoerenza nei rapporti tra anima e corpo. Individua errori di una laicità concepita in termini «separatisti». Segnala la povertà di una riduzione «centrista» dell’eredità democratico-cristiana. Stigmatizza i contraccolpi di una eccessiva esposizione pubblica delle gerarchie. Insiste sulla troppo diffusa abitudine dei cattolici di inseguire gli idola del tempo presente, invece che sviluppare analisi e progetti originali.
E arriva quindi anche a una proposta: provare a mettere a tema le possibilità di rilanciare un vero «movimento cattolico». La proposta appare da sbozzare, proprio perché non si tratta di una descrizione sistematica (non dovrebbe trattarsi di un partito, ma di un movimento con forti connotati cultural-politici; allude a un movimento tra molti possibili, non a un «partito cristiano», formula criticata nel libro; insiste sul riferimento alla dottrina sociale cristiana in quanto elemento teologico-morale e non come bandiera identitaria o schemino per risolvere tutti i problemi; ipotizza una chiara responsabilità laicale e non si riferisce quindi a un movimento ecclesiale o peggio clericale…). Molti capitoletti presentano poi anche possibili idee contenutistiche sulle posizioni da sviluppare (globalizzazione, diritto, politica, keynesismo, pace ecc.ecc.).
L’autore è consapevole della difficoltà della proposta, una difficoltà da far tremare le vene ai polsi. La offre quindi come una provocazione ad approfondire, per identificare i nodi cruciali del problema. In questa direzione, la lettura mi ha fatto venire in mente alcuni spunti da proporre come elementi di verifica, come «condizioni di possibilità» dell’ipotesi lanciata dal libro. Ne citerei alcune sul piano ecclesiale, altre culturali e altre pratico-organizzative.
Il primo problema è il rapporto tra l’ispirazione alla dottrina sociale cristiana e le relazioni con le gerarchie. E cioè: dal momento in cui la dottrina del rapporto verità-democrazia (cfr. Centesimus Annus, 46) ha identificato la necessità di ancorare la libertà alla verità, come si fa a sviluppare liberamente e creativamente il patrimonio di valori che la dottrina sociale presenta (rifiutando l’agnosticismo sull’umanità e sulla vita, come dice Orfei), senza inciampare nella questione su «chi decide della verità» nel caso si verifichi un contrasto nell’applicazione storica di tali valori? E quindi, in altre parole, l’attuale stagione ecclesiale offre la possibilità per un movimento che si presenti orgogliosamente come tout-court «cattolico» di non essere pericolosamente clericalizzato?
La seconda riflessione è la verifica sulla fede, che nel libro viene data un po’ per presupposta (anche se ci sono felici spunti sulle basi religiose di ogni presenza e pagine forti sulla spiritualità come componente dell’ispirazione cristiana). Ma siamo sicuri che chi si dice cattolico – oggi in questo paese – creda allo stesso modo? Oppure la diversità culturale e politica profonda che sperimentiamo tra concezioni cattoliche della società attuale, la lacerazione vera e propria che viene spesso a galla nella cronaca, non parla di una diversità di concezioni del cristianesimo? Insomma, non è che per porsi il problema di rifondare un movimento cattolico non occorra riprendere in mano i fondamentali: preghiera, Bibbia, teologia e spiritualità, da misurare e su cui misurarsi con umiltà tutti i giorni?
Altri spunti su cui il libro mi ha fatto riflettere sono collocabili sul piano culturale. Si può partire dal ripensamento della storia: è chiaro che non si può schematizzare la fine della Dc come frutto del 1989 e di Tangentopoli. Ma dalla damnatio memoriae del decennio passato alla rivalutazione in blocco della storia democristiana che oggi corre sottotraccia (pur comprensibile, di fronte a certe cadute di tono della politica e della società, che fanno rimpiangere i tempi del doroteismo), non stiamo oscillando troppo? Non abbiamo ancora una prospettiva interpretativa critica solida e attendibile. Il fallimento è stato profondo e non attribuibile solo al contesto o a chi ha remato contro: il libro prende chiaramente posizione contro l’interpretazione «moralistica» della crisi. Non crede anche Orfei che un terreno storiografico solido per interpretare quel fallimento sia necessario per ogni impresa che voglia ripartire?
Ancora, occorre riprendere la questione del rapporto progettualità/mediazione. Forse una certa estenuazione del cattolicesimo (chiamiamolo così per semplicità) «democratico» non è anche stata causata da eccesso di mediazione? Basta la ripresa del portato del mondo moderno, temperata con elementi presi dalla tradizione? Non occorre oggi forse anche un di più di paradosso e di profezia, forse di creatività, sempre accompagnati da capacità di mediazione tra valori e storia, evitando visioni «ideologiche»?
E infine, il volume apre alcuni interrogativi sul piano comunicativo e pratico-organizzativo. Si parte dalla questione dei nomi e della riconoscibilità: ovviamente anche Ruggero è d’accordo che non basta dirsi «cattolici» per identificare una posizione precisa nella società attuale, come quella che lui vorrebbe sviluppare (anche se usa il termine cattolico nel senso del popolo di Dio «religioso-laicale», non della chiesa istituzionale). Ma allora non si pone il problema di far ricorso agli «aggettivi»? E però, come non usare etichette logorate? E poi, in quali luoghi coltivare queste prospettive? Gli spazi ovvi consegnati dal passato non sono più aperti, oppure sono ormai fragili e consunti (l’associazionismo; le riviste; l’editoria; l’università…). Ci sono spazi e luoghi nuovi? Infine, Orfei sembra fare implicitamente un atto di fede secondo cui sia ancora possibile una forma di movimento «orizzontale», capillarmente diffusa, nella società contemporanea. Un’impresa di molti, in cui ci sia coinvolgimento personale e rapporto di relazione viva e concreta. Soprattutto, un’impresa coniugata in termini programmatici e non vagamente ideologico-identitari. In tempi di verticalizzazione della democrazia e di mediatizzazione imperante, c’è ancora veramente la possibilità di qualcosa di simile?
Il libro ci mette di fronte insomma questioni vitali nella forma di domande esigenti: sarebbe utile verificare insieme, nella storia di ogni giorno, la possibile risposta a questi interrogativi.
È uscito qualche mese fa un suo nuovo impegnativo saggio, che merita come sempre una lettura e una discussione. Nientemeno che «rapporto sul movimento cattolico», recita il sottotitolo di un titolo scherzoso e provocatorio, Il gioco dell’oca1. Si tratta di un lungo percorso, fatto di molti capitoletti che affrontano un aspetto del tema, ciascuno dei quali intitolato con un motto allegro: per fare un esempio, «Gli interessi cattolici (la “robba”)», oppure «Centro e centrismo (Anch’io vissi in Arcadia)». Insomma, una lettura godibile, piena di citazioni, diversioni, aneddoti, riflessioni a margine. Che alla fine gira però attorno a un tema di prima grandezza.
Il messaggio forte del libro si potrebbe così definire, almeno alla mia lettura: la situazione che si è aperta nel cattolicesimo italiano in seguito alla fine della Dc è ricca di problemi ed evidenzia forti difficoltà culturali e quindi progettuali. L’analisi di questi deficit è ricca e serrata. Orfei individua la svalutazione della testimonianza politica rispetto alla fede (che fa parte di un quadro generale di indebolimento della politica, ridotta a stato laicale, post-ideologico e quindi meramente amministrativo). Critica l’assurdità cui qualcuno si spinge nel negare un possibile incontro di credenti su progetto comune: una sorta di non expedit dal basso (costringendo all’individualismo della testimonianza cristiana). Mette in luce la perdita dei nessi tra vangelo e vita fino all’incoerenza nei rapporti tra anima e corpo. Individua errori di una laicità concepita in termini «separatisti». Segnala la povertà di una riduzione «centrista» dell’eredità democratico-cristiana. Stigmatizza i contraccolpi di una eccessiva esposizione pubblica delle gerarchie. Insiste sulla troppo diffusa abitudine dei cattolici di inseguire gli idola del tempo presente, invece che sviluppare analisi e progetti originali.
E arriva quindi anche a una proposta: provare a mettere a tema le possibilità di rilanciare un vero «movimento cattolico». La proposta appare da sbozzare, proprio perché non si tratta di una descrizione sistematica (non dovrebbe trattarsi di un partito, ma di un movimento con forti connotati cultural-politici; allude a un movimento tra molti possibili, non a un «partito cristiano», formula criticata nel libro; insiste sul riferimento alla dottrina sociale cristiana in quanto elemento teologico-morale e non come bandiera identitaria o schemino per risolvere tutti i problemi; ipotizza una chiara responsabilità laicale e non si riferisce quindi a un movimento ecclesiale o peggio clericale…). Molti capitoletti presentano poi anche possibili idee contenutistiche sulle posizioni da sviluppare (globalizzazione, diritto, politica, keynesismo, pace ecc.ecc.).
L’autore è consapevole della difficoltà della proposta, una difficoltà da far tremare le vene ai polsi. La offre quindi come una provocazione ad approfondire, per identificare i nodi cruciali del problema. In questa direzione, la lettura mi ha fatto venire in mente alcuni spunti da proporre come elementi di verifica, come «condizioni di possibilità» dell’ipotesi lanciata dal libro. Ne citerei alcune sul piano ecclesiale, altre culturali e altre pratico-organizzative.
Il primo problema è il rapporto tra l’ispirazione alla dottrina sociale cristiana e le relazioni con le gerarchie. E cioè: dal momento in cui la dottrina del rapporto verità-democrazia (cfr. Centesimus Annus, 46) ha identificato la necessità di ancorare la libertà alla verità, come si fa a sviluppare liberamente e creativamente il patrimonio di valori che la dottrina sociale presenta (rifiutando l’agnosticismo sull’umanità e sulla vita, come dice Orfei), senza inciampare nella questione su «chi decide della verità» nel caso si verifichi un contrasto nell’applicazione storica di tali valori? E quindi, in altre parole, l’attuale stagione ecclesiale offre la possibilità per un movimento che si presenti orgogliosamente come tout-court «cattolico» di non essere pericolosamente clericalizzato?
La seconda riflessione è la verifica sulla fede, che nel libro viene data un po’ per presupposta (anche se ci sono felici spunti sulle basi religiose di ogni presenza e pagine forti sulla spiritualità come componente dell’ispirazione cristiana). Ma siamo sicuri che chi si dice cattolico – oggi in questo paese – creda allo stesso modo? Oppure la diversità culturale e politica profonda che sperimentiamo tra concezioni cattoliche della società attuale, la lacerazione vera e propria che viene spesso a galla nella cronaca, non parla di una diversità di concezioni del cristianesimo? Insomma, non è che per porsi il problema di rifondare un movimento cattolico non occorra riprendere in mano i fondamentali: preghiera, Bibbia, teologia e spiritualità, da misurare e su cui misurarsi con umiltà tutti i giorni?
Altri spunti su cui il libro mi ha fatto riflettere sono collocabili sul piano culturale. Si può partire dal ripensamento della storia: è chiaro che non si può schematizzare la fine della Dc come frutto del 1989 e di Tangentopoli. Ma dalla damnatio memoriae del decennio passato alla rivalutazione in blocco della storia democristiana che oggi corre sottotraccia (pur comprensibile, di fronte a certe cadute di tono della politica e della società, che fanno rimpiangere i tempi del doroteismo), non stiamo oscillando troppo? Non abbiamo ancora una prospettiva interpretativa critica solida e attendibile. Il fallimento è stato profondo e non attribuibile solo al contesto o a chi ha remato contro: il libro prende chiaramente posizione contro l’interpretazione «moralistica» della crisi. Non crede anche Orfei che un terreno storiografico solido per interpretare quel fallimento sia necessario per ogni impresa che voglia ripartire?
Ancora, occorre riprendere la questione del rapporto progettualità/mediazione. Forse una certa estenuazione del cattolicesimo (chiamiamolo così per semplicità) «democratico» non è anche stata causata da eccesso di mediazione? Basta la ripresa del portato del mondo moderno, temperata con elementi presi dalla tradizione? Non occorre oggi forse anche un di più di paradosso e di profezia, forse di creatività, sempre accompagnati da capacità di mediazione tra valori e storia, evitando visioni «ideologiche»?
E infine, il volume apre alcuni interrogativi sul piano comunicativo e pratico-organizzativo. Si parte dalla questione dei nomi e della riconoscibilità: ovviamente anche Ruggero è d’accordo che non basta dirsi «cattolici» per identificare una posizione precisa nella società attuale, come quella che lui vorrebbe sviluppare (anche se usa il termine cattolico nel senso del popolo di Dio «religioso-laicale», non della chiesa istituzionale). Ma allora non si pone il problema di far ricorso agli «aggettivi»? E però, come non usare etichette logorate? E poi, in quali luoghi coltivare queste prospettive? Gli spazi ovvi consegnati dal passato non sono più aperti, oppure sono ormai fragili e consunti (l’associazionismo; le riviste; l’editoria; l’università…). Ci sono spazi e luoghi nuovi? Infine, Orfei sembra fare implicitamente un atto di fede secondo cui sia ancora possibile una forma di movimento «orizzontale», capillarmente diffusa, nella società contemporanea. Un’impresa di molti, in cui ci sia coinvolgimento personale e rapporto di relazione viva e concreta. Soprattutto, un’impresa coniugata in termini programmatici e non vagamente ideologico-identitari. In tempi di verticalizzazione della democrazia e di mediatizzazione imperante, c’è ancora veramente la possibilità di qualcosa di simile?
Il libro ci mette di fronte insomma questioni vitali nella forma di domande esigenti: sarebbe utile verificare insieme, nella storia di ogni giorno, la possibile risposta a questi interrogativi.
