I. Mancini, Le tre follie, Città aperrta, Troina 2005
Il volume Tre follie di Italo Mancini, che raccoglie una serie di riflessioni predisposte per la rubrica radiofonica «I giorni» — una trasmissione mattutina della Rai andata in onda nel periodo tra l’aprile e il giugno del 1985 — costituisce, nonostante l’apparente frammentarietà, un’importante fonte di accostamento al pensiero del filosofo urbinate. La relativa semplicità del linguaggio, dovuta alla volontà di rendere accessibile il messaggio ad un pubblico vasto ed eterogeneo come quello radiofonico, non deve trarre in inganno. Il carattere colloquiale delle riflessioni nulla toglie al rigore dei contenuti e favorisce un grande sforzo di essenzializzazione, che consente un accostamento più diretto al nucleo fondamentale delle tesi manciniane. I sessantacinque brevi capitoli del libro ripropongono infatti l’itinerario che Mancini ha percorso — soprattutto negli ultimi vent’anni della sua esistenza — e mettono chiaramente a fuoco i temi dominanti della sua ricerca. A legare tra loro i vari tasselli del mosaico, e a conferire pertanto al volume un disegno unitario, è il leit-motiv ricorrente, il tentativo insonne cioè (intrapreso da Mancini) di conciliare, dialetticamente (alla ricerca di equilibri sempre nuovi), fedeltà a Dio e fedeltà alla terra. Non è casuale perciò che le due aree tematiche attorno alle quali il volume ruota siano quella religiosa e quella civile e non sorprende che esse, lungi dal risultare grandezze separate (o sovrapposte), appaiano piuttosto segnate (pur nella differenza) da una profonda interdipendenza. La volontà di fare di questa doppia fedeltà, che assume i connotati di una fedeltà unica o almeno in costante tensione verso l’unificazione, l’asse portante della realtà è per Mancini frutto di un impegno esistenziale prima ancora (e più ancora) che di uno sforzo teoretico. La sua ansia religiosa, proiettata verso una trascendenza, che, nonostante abbia assunto un volto preciso — quello del Dio di Gesù Cristo — conserva intatti i caratteri dell’incommensurabilità e dell’indicibilità (in questo senso egli fa sua la dizione di «oggetto immenso»), si intreccia con una passione smisurata per gli uomini, soprattutto per quelli che patiscono ingiustizia e violenza e con l’adesione incondizionata alla causa dei poveri. Mancini è stato un filosofo (e un teologo) militante, che non ha esitato a misurarsi con le questioni più scottanti della società, non disdegnando neppure il confronto con l’ideologia e sporcandosi le mani con iniziative di chiaro orientamento politico. A spiegare le ragioni di questo atteggiamento sono, in primo luogo, i tratti della sua autobiografia, delineati in alcuni (pochi) capitoli al centro del volume. Il profondo legame con la famiglia di origine, con il proprio paese — Schieti, una frazione di Urbino — e, più in generale, con l’ethos della gente comune hanno concorso a generare quel senso di fierezza, che ha sempre contraddistinto il suo modo di essere.
Le aree tematiche delineate — quella religiosa e quella civile — determinano anche i due versanti cui è possibile ricondurre i contenuti del volume. L’attenzione al fatto religioso è stata la prima preoccupazione (non solo in ordine di tempo) della ricerca di don Italo. Egli è, anzitutto, ricordato come filosofo della religione per aver fornito a tale disciplina un approccio nuovo, di carattere ermeneutico, incentrato sul ricupero del dato — la rivelazione come a priori divino — e sulla determinazione del significato mediante l’identificazione delle strutture costitutive dell’esperienza religiosa, da lui riassunte nelle quattro celebri costanti: parola, evento, comunità e comandamento. Ma l’interesse di Mancini per il fenomeno religioso non si è arrestato a questo livello. La riflessione su di esso va al di là del semplice accostamento scientifico per diventare partecipazione piena — da credente e da prete — alle vicende storiche della chiesa, nei confronti delle quali egli non esita a prendere posizione con spirito critico e con grande passione. In questo contesto va collocata l’analisi delle tre forme del cristianesimo — la presenza, la mediazione e il paradosso — e la netta simpatia di Mancini per l’ultima, la sola capace di conservare la radicalità e la tragicità del messaggio evangelico, e dunque di preservare il novum del cristianesimo. La follia di Cristo, che ha fatto della sua vita un «esistere per gli altri», viene per questo confrontata — sta qui la ragione del titolo di questo libro — con quella crudele dei malati mentali e con quella insensata dei conformisti e dei violenti. Ma soprattutto in questo contesto acquista consistenza la «logica dei doppi pensieri» o — per dirla con Pascal — il «fare professione dei contrari», che si oppone tanto alla logica della dialettica quanto a quella della differenza e rende possibile l’accostamento alla dimensione più profonda del mistero divino. Più limitato (ma non meno significativo) è lo spazio riservato al versante dell’impegno civile. Di fronte alla profonda crisi di una società, nella quale è cresciuta la frammentazione, sia a causa della disgregazione del tessuto sociale che dell’assenza di criteri valoriali comuni, la proposta alternativa di Mancini rinvia all’esercizio della riconciliazione, come via per l’elaborazione dei conflitti e per la costruzione della pace, e alla ricerca di un ethos condiviso, che ricuperi, calandoli nella vita quotidiana, valori come la tolleranza, la non violenza e la solidarietà, sollecitando un forte senso di responsabilità, motivato — qui Mancini raccoglie la lezione di Lévinas — dal ritorno dei volti.
Un libro appassionato e coinvolgente, dunque, nel quale la grande robustezza di pensiero si intreccia con una profonda sapienza del cuore. Esso contiene (è lo stesso Mancini rilevarlo nella premessa) il «fraterno testamento» di un uomo che ha voluto diventare, soprattutto nei suoi ultimi anni, «testimone di Dio e della convivenza», e che ci lascia in eredità un prezioso messaggio: l’invito a non smarrire, anche nell’attuale difficile congiuntura, il senso delle cose che contano e a conservare la speranza nel futuro.
