Appunti 1_2013

Lettera del Presidente di «Città dell’uomo»
a soci e simpatizzanti

All’inizio di un nuovo anno difficile
Milano, 10 gennaio 2013

Cari amici e amiche,
a inizio d’anno, desidero intanto porgere a voi e alle vostre famiglie l’augurio di un sereno 2013.
Vorrei però cogliere l’occasione per condividere qualche pensiero, incominciando dalla situazione di «Città dell’uomo».
Sono trascorsi 27 anni dalla fondazione (1985). Devo dire anni operosi. Se consideriamo le iniziative svolte (tavole rotonde, convegni, corsi formativi per giovani, pubblicazioni), registriamo una notevole mole di lavoro, con apprezzabili proposte di riflessione.
Naturalmente, in questo arco cronologico sono accadute molte cose, che ci hanno riguardato sul piano associativo. Penso, innanzitutto e con rinnovato rimpianto, alla dipartita di alcuni soci fondatori (Giuseppe Lazzati, Ettore Massaccesi, Giuseppe Glisenti, Leopoldo Elia, più il «mitico» tesoriere Giuseppe Restelli). Ad essi si sono aggiunti, cammin facendo, altri amici. Fra gli ultimi, Antonio Marzotto Caotorta, Armando Oberti, Florindo Andreotti.
La generazione dei soci della prima ora tiene (abbastanza). Ma per tutti sono passati 27 anni e per chi, alla fondazione, era sulla cinquantina il peso del tempo oggi si fa sentire. Più d’uno, alla notizia di nostre iniziative, si fa vivo scusandosi e rammaricandosi di non poter essere presente a causa di qualche acciacco.
Devo però dire che gli amici della prima – e seconda – ora costituiscono ancora oggi lo zoccolo duro dell’associazione. Con il passare degli anni, ci è mancata la capacità di assicurarci in modo costante e consistente nuove adesioni. Soprattutto a livello giovanile non siamo riusciti a essere adeguatamente attrattivi. Questo costituisce motivo di cruccio, ma non di rassegnazione. Proprio per rilanciare alcuni tentativi, ben riusciti, di formazione politica rivolta in anni passati ai giovani, stiamo progettando un’apposita iniziativa per la prossima primavera-estate. Ma di ciò potrò essere più preciso in seguito.
Anche di recente, in Consiglio direttivo ci siamo interrogati sul punto qualificante della nostra mission, indicato dall’art. 3 dello Statuto con i verbi in sequenza: «elaborare, promuovere, diffondere» una cultura politica cristianamente ispirata. Mi sembra di poter dire che, nella sostanza, sul punto ci siamo; e ci siamo con quella libertà di ricerca aperta, plurale, propria di chi, da credente adulto, intende cimentarsi con i complessi problemi di un genuino «pensare politicamente». Semmai l’interrogativo che ci si pone è: ma le nostre pur apprezzabili iniziative sono incisive? Hanno qualche rilevanza nel dibattito pubblico?
Certo, se la risposta fosse legata solo a indici come il numero dei frequentanti gli incontri – discreto, ma nulla di più – o all’esposizione sui media, incominciando dai giornali, cattolici e non, dovremmo giudicare modesto il raggio d’incidenza e di penetrazione. Tuttavia, ci sono altri elementi che consentono di considerare con maggiore ottimismo i precedenti interrogativi. Mi riferisco, in special modo, alle pubblicazioni.
Le ultime due, Democrazia nei partiti (in dialogo, 2010) ed Etica e verità in democrazia (in dialogo, 2011), sono andate bene, a conferma del fatto che, se si producono buoni testi, si riesce a raggiungere un pubblico più vasto degli iscritti e degli abituali frequentanti le iniziative in sede.
C’è poi il bimestrale «Appunti di cultura e politica». La rivista, fondata nel 1978 dalla «Lega democratica» di Scoppola e Ardigò, ha avuto varie vicissitudini, sino ad approdare a «Città dell’uomo», che dal 2002 ne cura la pubblicazione. Da dieci anni, quindi, è a tutti gli effetti il nostro periodico. La scelta a suo tempo operata di assumerci l’onere di tenere viva la voce di «Appunti» fu intelligente e provvida. Oggi disponiamo di uno strumento comunicativo tradizionale, se si vuole – è la carta stampata, alla quale chi ha una certa età continua ad essere affezionato!–, ma pur sempre importante. Ci permette d’intervenire in modo regolare sulle grandi questioni intercettate dalla politica con un respiro di matrice cattolico-democratica, del quale si avverte un gran bisogno.
A proposito di cattolicesimo democratico, devo dire che nel 2012, dopo una non breve fase di preparazione, si è riusciti ad avviare il portale «C3dem. Costituzione Concilio Cittadinanza. Per una rete tra cattolici e democratici». Dal nome si può facilmente intuire l’ispirazione culturale di un’iniziativa che, affidandosi alla «rete», intende offrire un luogo vivo d’informazione, elaborazione e discussione intorno a temi e problemi che agitano le istituzioni, la società, la vita ecclesiale. Con «Agire politicamente», «Argomenti 2000» e «Rosa bianca», «Città dell’uomo» è stata all’origine dell’iniziativa, suggerita dall’esigenza di trovare forme e strumenti agili, ma capaci di tessere significativi legami tra le varie espressioni dell’associazionismo cattolico-democratico, troppo sovente isolate l’una dall’altra. Passo dopo passo, la «rete» aggrega oggi una ventina di sigle. È un cammino appena all’inizio, che fa però bene sperare in un graduale irrobustimento. Aggiungo che, per la necessaria garanzia giuridica del portale, abbiamo dovuto costituire un’apposita associazione, la cui presidenza è affidata all’amico Guido Formigoni.
Sempre nella logica di tessere collegamenti, ricordo che la nostra associazione prende parte  all’iniziativa posta sotto l’etichetta «Cattolici democratici di Milano». Promossa circa un anno e mezzo fa da Giovanni Bianchi e Sandro Antoniazzi (nomi che non necessitano certo di presentazione), si prefigge di costituire legami fra persone e realtà di area cattolico-democratica, intenzionate ad approfondire le questioni politiche sul tappeto, con specifico riferimento al contesto milanese. In occasione di un primo incontro pubblico, il 30 novembre u.s. è stato presentato il documento programmatico.
Va in una linea analoga, anche se più sfumata nei profili propriamente politici, un’altra forma di colleganza fra esperienze cittadine, che, sotto la regìa di Marco Garzonio, presidente dell’«Ambrosianeum», allinea alcune sigle di convergente sensibilità culturale ed ecclesiale, quantunque dai compiti  statutari ben diversi. Oltre all’«Ambrosianeum» e a «Città dell’uomo», vi figurano l’Azione Cattolica diocesana, le Acli provinciali, il Centro Italiano Femminile regionale, la Comunità milanese di Sant’Egidio, la Fondazione «Giuseppe Lazzati». L’iniziativa, avviata in concomitanza con le ultime elezioni comunali di Milano, aveva prodotto per l’occasione una sorta di «Decalogo» politico-deontologico dei candidati ad amministrare la città. In questa linea si sta tuttora procedendo, spostando l’attenzione sull’appuntamento elettorale in Regione Lombardia.
Altro che moralismo! Le penose vicende della Giunta e del Consiglio regionale lombardo, unitamente a quelle, di analoga gravità, della Regione Lazio – per limitarci ai casi più recenti ed eclatanti –, hanno offerto l’ennesima conferma di un sistema largamente inquinato e degenerato di amministrazione locale della cosa pubblica. Restiamo senza parole dinanzi alle inqualificabili vicende delle quali siamo venuti a conoscenza nei mesi scorsi. Sembra che il degrado di larghe fasce della classe dirigente anche nei livelli di governo regionale non veda mai il fondo, riproducendo, per alcuni aspetti in peggio, le troppe magagne della politica nazionale. È proprio il caso di dire che mai come in questo momento, sullo stesso piano locale – e penso innanzitutto alla Lombardia –, occorrono uomini e donne nuovi, con facce pulite, giusta competenza, voglia di fare, disponibilità per il bene comune, senso della legalità, capacità di pensare in grande, oltre, quindi, la meschina difesa di campanilismi regionalistici. Uomini e donne liberi, non comandati da «padroni» di nessun genere.
«Per fortuna che Monti c’è…». Veramente, sino a un anno e mezzo fa il ritornello aveva il nome di un altro protagonista. Poi è successo quel che è successo e abbiamo vissuto l’inedita esperienza del governo dei tecnici, sostenuto da un’impensabile maggioranza. In Italia non ci facciamo proprio mancare niente… anche nelle sperimentazioni politiche d’avanguardia.
Sul governo Monti si è detto e si continua a dire tutto e il contrario di tutto. Per bilanci ponderati occorrerà tempo. Ciononostante, mi permetto qualche rapida considerazione. A mio giudizio, il merito maggiore del presidente del Consiglio è l’essere riuscito, in un lasso di tempo relativamente breve, a far guadagnare al paese credibilità presso le istituzioni internazionali, dopo la situazione di grave discredito in cui eravamo piombati con il governo Berlusconi. In questa «risalita», prima e più d’ogni altro fattore, penso abbiano inciso la stima personale guadagnata da Monti in qualità di Commissario europeo e la sua profonda conoscenza degli ambienti istituzionali dell’Ue. Riconosciuto il merito (fondamentale), se si passa all’analisi dell’operato dell’esecutivo da lui diretto, luci e ombre s’intersecano. Probabilmente, le pesanti misure subito adottate – riforma pensionistica, in primis – hanno posto un argine al rischio default, stante la grave situazione dei conti pubblici ereditata. Ma il seguito dell’attività governativa, pur tenendo conto delle obiettive difficoltà poste dalla strana maggioranza parlamentare di riferimento e dalla dura crisi economica, non sembra abbia prodotto apprezzabili risultati. I «fondamentali» dell’economia, come evidenziano ogni giorno le fonti specializzate, sono largamente deficitari. Soprattutto inquieta la crescente percentuale dei giovani che non trovano lavoro. Pertanto, onore al presidente del Consiglio – e ai suoi ministri di maggior peso – per essere riusciti a mettere in sicurezza – almeno sembra – i conti dello Stato, ma sul fronte dell’equità sociale e dello sviluppo il bilancio è molto magro. Naturalmente, sul Monti candidato premier si dovrebbe aprire tutt’altro discorso.
Prima di concludere, vorrei proporre un altro spunto di riflessione alla luce delle grandi manovre legate alle liste elettorali. Uno degli aspetti più vistosi lo qualificherei come sindrome dell’altrove: si è lì, ma si desidera stare da un’altra parte. Abbiamo così assistito, su scala generalizzata, a una frenetica corsa di persone con ruoli istituzionali, talvolta di rilievo, che, non paghi del posto occupato e, nel caso di amministratori locali, immemori del patto con gli elettori, anche in termini di durata dell’incarico, si sono attivati per tentare di «salire di grado». Consiglieri comunali e provinciali pronti al salto vuoi in Regione vuoi in Parlamento. Purtroppo, questa sindrome sembra colpire irrimediabilmente anche esponenti di prima fila di categorie con responsabilità di estrema delicatezza nell’architettura socio-istituzionale: penso, in particolare, ai magistrati. Dall’oggi al domani, ne abbiamo visto più d’uno decidere, come se nulla fosse, di «scendere» – o di «salire», dipende dai punti di vista – nell’agone politico. Con quale giovamento e per la magistratura e per la politica è tutto da discutere.
Ovviamente, molto altro mi suggerirebbe la difficile congiuntura politica, incominciando dal tormentone relativo alla caccia del cattolico doc, da inserire, con funzione accattivante e rassicurante in varie direzioni, nelle liste elettorali. Ma questo discorso ci porterebbe lontano, estendendosi, più in generale, all’odierno ruolo politico dei cattolici, tema sul quale la nostra associazione si mostra da sempre particolarmente sensibile.
Concludo rinnovando gli auguri e ricordando che, con l’inizio del nuovo anno, è ormai tempo di pensare anche al rinnovo dell’adesione a «Città dell’uomo».

Luciano Caimi