Appunti 6_2011

FOCUS: LEGA NORD E CHIESA

Un rapporto controverso, quello tra Lega e Chiesa, sottolineato da forti polemiche e ripreso puntualmente dalla stampa che, a vario titolo e sotto versanti differenti, si è interessata al «fenomeno». La sbandierata adesione formale, da parte leghista, a principi cristiani «di tradizione», utilizzati spesso in vista di interessi e obiettivi politici, ha configurato «una “altalenanza” perpetua tra pacificazione e contrasti» tra Lega e Chiesa, particolarmente rimarchevole e conflittuale in questi ultimi tempi. Spunti e riflessioni stimolanti, al riguardo, sono stati forniti dagli interventi degli autorevoli protagonisti della Tavola rotonda, promossa dall’Associazione «Città dell’uomo», il 24 ottobre u.s., dal titolo: Lega Nord e Chiesa cattolica. Due decenni di strategie politico-religiose, in occasione della presentazione dei testi di Paolo Bertezzolo e di Renzo Guolo, inerenti la tematica riferita.

La Lega o lo sdoganamento dell’individualismo cattolico
Luigi Franco Pizzolato

I due studi presi in considerazione sono usciti pressoché in contemporanea nel 2011. Hanno risultanze molto concordanti, però impostazioni complementari: mentre il lavoro di Renzo Guolo1 preferisce individuare tipologie e casi per un’interpretazione più sintetica, quello di Paolo Bertezzolo2 premette un percorso puntigliosamente ricostruito e risulta un vero repertorio di notizie. Entrambi configurano un’evoluzione nel rapporto tra Lega e Chiesa: da un atteggiamento contestativo-contestato (Lega di lotta) a uno di pacificazione (Lega di Governo). O forse si può parlare anche di una «altalenanza» perpetua tra pacificazione e contrasto, a seconda degli argomenti all’ordine del giorno dell’agenda politica. Anche perché il rapporto tra Lega e Chiesa è stato sempre – e non di rado reciprocamente – un tentativo di strumentalizzazione politica, in quanto raramente ha assunto le movenze d’un giudizio radicale e definitivo sulle relative posizioni.
A me pare che comunque, in sede politica, la Lega sia stata ben più contestata dalla Chiesa che non lo stesso «berlusconismo», di cui troppo a lungo sono sfuggite, o non si sono volute vedere, le risultanze corruttive diffuse e comuni, a fronte di un’apparente, maggiore evidenza di criticità della Lega. Le critiche – e dure – si sono rivolte peraltro alle posizioni leghiste quando esse diventavano epifenomeni (anche se di grande rilevanza). La Lega è stata contestata caso per caso, con una regola assai più politica che culturale, e raramente si è andati alla matrice antropologica del pensiero leghista, che la stessa Lega lasciava peraltro inespressa a se stessa più di quanto non mascherasse volutamente agli altri.

Cristianesimo identitario e tradizionalista
Giustamente si rileva3 che, inizialmente e per alcuni anni, la questione cattolica contò poco tra i leghisti per la sensazione di un’irrilevanza e di un’inefficacia del rapporto ai fini dei loro obiettivi. Ai leader leghisti, nati e cresciuti in ambiente di alta tradizione cattolica, non è mai interessato approfondire un rapporto con la fede, ma casomai – e più tardi – stabilire un rapporto di forza con la religione e con la Chiesa, cioè con un’istituzione nella quale sono inseriti molti suoi militanti, e mediante la pratica religiosa, assimilata più a una tradizione popolare che a una convinta scelta di vita. Non furono sufficienti né la Consulta cattolica di Leoni, tanto pacificata sui segni sacri quanto evanescente sui segni di metanoia, né la presenza di Gianfranco Miglio, sirena cattolica troppo scarsamente dotata di sensus Ecclesiae per risultare incidente al proposito4; né l’irruzione e la fuoruscita fulminee di Irene Pivetti, eccentrica ipertradizionalista venuta presto spiacente alla Lega e a’ nemici sui. E se Bossi può essere considerato da qualche leghista un cattolico tradizionalista che ama la messa in latino5, ricordo che Mons. Maggiolini stesso, tenero con la Lega, ebbe a contestargli l’insussistenza di una sua pratica religiosa di fronte all’insistenza con cui la proponeva agli altri.
Fatto sta che non c’è traccia di formulati di dottrina (sociale) cristiana né tanto meno del Concilio nelle fondazioni della Lega6. Ma quel che è più triste è notare che probabilmente quelle fonti avevano scarsamente marcato il territorio cattolico stesso della Lega. Eppure, nella sua base delle province cattoliche del Nord, la Lega teneva al rapporto religioso, tanto che si può dire,̶ parafrasando una definizione di D’Alema, che la Lega è più una «costola del cattolicesimo del Nord» che non della sinistra e la sua nascita chiama sicuramente in causa l’evangelizzazione e la pastorale, oltre che l’evoluzione culturale e politica del nostro paese.
L’adesione alla Chiesa è basata, perciò, su quella che lo storico Paolo Prodi chiama una trasmissione ereditaria, contrapponendola a un’adesione acquisita o ri-acquisita con esperienza personale7. E chi ama rifarsi al Concilio di Trento in senso conservatore non coglie come esso sia stato un grande tentativo di riforma e di adeguamento alla modernità di allora8. Invece, questo concetto leghista di tradizione rientra nel raggio corto della memoria individuale o parentale (non risalendo più in là della civiltà contadina della fine dell’Ottocento) e non è fondato sulla memoria storica, dove esso risulta ben più complesso e più mobile. Senza dire che la Lega si avvale del concetto di tradizione per riempirlo delle paure dell’età globale9. Forse che della tradizione interessa l’osservanza di un’etica globale come quella pre-moderna? A parole, forse, e in certi ambienti leghisti, perché spesso vistose sono le incongruenze etiche che percorrono i leader leghisti: famiglie secolarizzate, matrimoni ripetuti e celtici, scarso rispetto per gli obblighi civici, a fronte di tenere preoccupazioni familistiche… I leghisti credenti si sentono pacificati con la propria coscienza per il fatto che partecipano, non tutti peraltro, alle cerimonie di Chiesa, danno magari una mano alla parrocchia e hanno un fondo di bontà e di onestà privata naturaliter Christiana. E nella Chiesa parrocchiale trovano anche la simpatia con cui si coccola un figlio a volte un po’ discolo, ma di buon cuore, di buona volontà, capace di una fattiva operosità, specie organizzativa.

Più che religione, un bricolage religioso
La Lega non ha comunque la pretesa di elaborare una propria linea religiosa, ma sceglie dentro la Chiesa, selezionandoli, gli argomenti e le diverse posizioni presenti a sé propizi, stendendoli in una specie di letto di Procuste. Il suo appoggiarsi differenziato a certe autorità della Chiesa sopperisce all’incapacità di tenere insieme un proprio discorso di confronto organico con il cattolicesimo della «Grande Chiesa». Ed essa coonesta una propria fedeltà al cattolicesimo mediante l’adesione al sacro e confinando la fede nella religione, accontentandosi che sia uno degli aspetti della complessità dell’umano e non un’esigenza che deve investire ogni ambito e ogni gesto. E, quindi, affidandola a spazi e tempi deputati e a segni identitari ravvicinati devozionali – meglio ancora se miracolistici – e non a una visione universalistica, a dire veramente «cattolica». Ciò le rende inutile e impossibile vedere le dissonanze tra il simbolo (segno) e l’essenza10. Come in certo, diffuso, cattolicesimo popolare tradizionale, il collegamento avviene per lo più tramite il miracolo, che risponde ancora alle (presunte) regole dell’evidenza.
Per tutto questo, mi pare che la Lega non sia determinata a costruire una religione civile con propri simboli alternativi: le simbologie celtiche – introdotte per simulare una religione sacrale – sono caduche, perché ogni simbolo per diventare identificativo richiede una cultura che lo sorregga e una storia che lo insedi. Pericolosi, piuttosto, sono quei segni perché sbilenchi e affidati al culto della personalità del novello sacerdote, che è il capo; perché umanamente poco seri, non perché idolatrici. Non riesco francamente a prenderli sul serio e a credere che su di essi i leghisti vogliano fondare le proprie scelte politiche specifiche. Il leghista medio non ha carica utopica, ma è figlio soprattutto della paura di chi ha conquistato il benessere e lo vede messo in pericolo dai possibili esiti d’una situazione globale che gli sfugge e che si illude di riportare sotto controllo. Noi abbiamo in mente la religione civile americana, di alta tensione utopica, che innesta il discorso religioso sui valori patriottici e crede nell’indivisibile unione tra religione e civismo, dove Dio e Cesare pugnano insieme. Ma, se è vero che anche la Lega assume nelle proprie manifestazioni civili una simbologia religiosa, peraltro non cristiana, sa benissimo che la vera religione si celebra altrove. Non vedo, quindi, nel futuro dei rapporti con la Lega né scontro né incontro, ma separazione. E tanto meno un cesaropapismo, per il quale la Lega non possiede le strutture mentali. Non riuscirà alla Lega il distacco della croce celtica dalla croce latina, operazione inversa a quella di san Patrizio che ve l’aveva applicata. Sarà più facile per essa avviarsi sulla strada d’una secolarizzazione, sacralizzata da qualche segno pittoresco, onde sia accontentato il masso erratico della pattuglia credente che si affida solo alla pratica religiosa devota… finché «la dura». Mi pare quindi che la religione nella Lega sia una religione «a modo mio», un bricolage religioso, strumentale a un’antropologia individualistica.
Vedo invece, al suo interno, la selezione di posizioni dottrinali e di personalità affini della Chiesa. Significativo di tale tendenza selettiva è il rapporto tra Lega e Chiesa a proposito dell’immigrazione islamica e del dialogo religioso.

Rigidità di sistema: la paura del «diverso» chiude al dialogo
La Lega rifiuta la posizione del card. Ruini, che considera come, nei paesi di più lunga islamizzazione, non sia avvenuto un assalto religioso alla diligenza cristiana, ma un’integrazione, per via dei processi di secolarizzazione dell’Islam al contatto con l’ambiente (consumistico) occidentale. Meno ancora simpatizzava con le posizioni di Giovanni Paolo II e del card. Martini e di altri presuli, che accetta(va)no la sfida tra valori (Giovanni Paolo II), propria del dialogo religioso, utile a contrastare il secolarismo montante; che sono mossi dalla fiducia che il dialogo culturale maturi posizioni di mediazione sui fatti penultimi della costruzione della convivenza civile (Martini). La Lega sposa, invece, la linea Biffi-Maggiolini, che paventa la presenza d’una pianificazione islamica di conquista dell’Occidente cristiano (e i poveri disgraziati dei barconi?) o ritiene, comunque, costitutiva l’impossibilità di integrazione (nell’alimentazione, nelle feste, nel diritto di famiglia, nella visione della donna, nel rapporto con lo Stato laico) e pone come condizione pregiudiziale la reciprocità, che va difesa dallo Stato più che dalla Chiesa, la quale deve essere aperta – sembra quasi si dica: «Purtroppo per lei!» – all’accoglienza.
Anche a proposito della libertà religiosa – in funzione antislamica – la Lega cerca sponde intraecclesiali in quegli ambienti che non hanno digerito la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa: fino a fornire un palese appoggio ai lefebvriani. Essa riporta indietro la libertà religiosa alla tolleranza di posizioni coscienziali altrui, non cogliendo l’aspetto di verità che è riconosciuto alle genuine posizioni religiose. Il dialogo è letto dai leghisti come trascuranza del proprio gregge, non come sostegno dell’identità del gregge: il dialogo è sempre dispersione e non li sfiora mai il sospetto che l’identità stessa sia dialogicamente scoperta, come di fatto avviene nella storia, per via di quelle che Gustavo Bontadini chiamava «ricomprensioni apologetiche» degli avversari.

Punti nodali di scontro, in un contesto di superficiali e sbrigative rappresentazioni
Critica incondizionata da parte della Chiesa ha costantemente ricevuto la posizione leghista di rottura dell’unità nazionale. Bertezzolo ben documenta come la critica alla secessione sia stata il perno costante dell’opposizione della Chiesa al leghismo fino al 150° dell’Unità. Altrettanto costantemente criticato è stato anche il razzismo leghista, prima contro i meridionali e poi contro gli immigrati.
Ma le motivazioni non sempre sono state adeguate. È rimasto pressoché isolato il progetto Autonomie regionali e federalismo solidale elaborato dalla commissione diocesana di Milano «Giustizia e pace» nel 1996, ignorato dalla stessa Lega. La critica al federalismo leghista è stata collegata sbrigativamente alla rottura dell’unità nazionale fondata sulla fede cristiana cattolica e legata alla primazìa del Papa (Ruini nel 1996), mentre la Chiesa ha accettato velocemente la balcanizzazione per la Slovenia e la Croazia. Certo, si è da taluno (mons. Battisti, mons. Nonis e altri11) giustamente insistito sull’assenza di solidarietà, ma nessuna critica è venuta alla visione politica più generale su cui quel progetto si fondava: la posizione schmittiana di Miglio che declinava il federalismo dentro il contrasto amico vs nemico. E il tentativo dell’allievo di Miglio, Ornaghi12, di normalizzare – secondo la corretta visione di Carl Schmitt13– quel contrasto, depurandolo dagli aspetti conflittuali egoistici e riducendo la delimitazione dello spazio pubblico, che esso mette in atto, a luogo di una simulazione del conflitto che in realtà servirebbe a inglobare le differenze, pare generosamente assolutorio e inficiato dall’illusione che una delimitazione come quella leghista sia una specie di disegno politico per moderare e stimolare le diversità, mettendole in competizione più che in conflitto14. Ma è facile accorgersi che per la Lega la realizzazione di una complementarietà di apporti federali allo Stato, destata dalla competizione interna, resta in un futuribile accattivante, mentre si parte da un reale e conflittuale accaparramento-sottrazione di risorse, perché – se è lecito ricordare l’apostolo Paolo – l’uomo materiale si desta prima dell’uomo spirituale.
Così pure è mancata una riflessione seria sul concetto di nazione in area leghista, dove essa è interpretata come dato non tanto iniziale, ma finale e globale dell’organizzazione civile. Resta, perciò, l’equivoca identificazione tra nazione e Stato, per la quale pare che i leghisti abbiano fatte proprie le diffidenze del cattolicesimo italiano di fronte allo Stato, nel nome dell’antecedenza e dell’autosufficienza della comunità15. Non è passato l’invito del costituente Moro ai cattolici italiani a non avere paura dello Stato. Come se lo Stato fosse un male necessario – da ridurre il più possibile – e non una struttura sostanziata da obiettivi morali da raggiungere in avanti, a cui le nazioni stesse accedono per arricchirsi vicendevolmente e costruire nella diversità una storia più grande di loro, dove le differenze di razza, stirpe e nazione cedono di fronte a una nuova appartenenza, che è, in radice, scoperta della comune natura umana e del dinamismo del suo progresso; dove l’essere arabo, parto o siro non osta a un comune sentire da uomini.
Alla carenza di approfondimento antropologico si accompagna, quindi, la carenza di cultura e di categorie politiche e così si spiega l’assenza nella Chiesa di critiche sul versante, così decisivo, dell’anticostituzionalismo, della sussidiarietà stessa, della sicurezza, del senso dello Stato, delle autonomie locali, del liberismo16…, come se questi fossero problemi tecnici secondari di gestione politica. In quest’assenza di pensiero politico istituzionale elaborato, la Lega poteva respingere facilmente al mittente le critiche più generali sulla solidarietà e sull’unità, giudicate – già da Miglio – come orpelli con cui la Chiesa maschera interessi materiali17.
Che dire poi della rozzezza della questione metodologica in politica, dove il nobile criterio della distinzione viene assunto dalla Lega secondo una cinica declinazione della distinzione tra Dio e Cesare: il papa e i vescovi sono tenuti a fare il loro mestiere, mentre il politico… la sa più lunga, nel mondo; «la Chiesa risponde al Padreterno, la politica agli elettori»18: separazione che non merita nemmeno la qualifica di «borghese». È una lottizzazione che non contiene il dramma della mediazione, ma solo una gioconda presa d’atto di un gioco delle parti.

Semplificazioni e gravi rischi nei punti di contatto
Una dose di approvazione la Lega si è attirata, da parte della Chiesa, a proposito del relativismo etico. Il problema è di quelli decisivi e culturalmente raffinati e, come tale, andrebbe affrontato sulla base di un’analisi della cultura individualistica del post-moderno, del rapporto tra fattori fondamentali del cristianesimo (in primis della cristologia del servizio) e costume… I leghisti invece semplificano, addossandone la colpa tout-court alla libertà religiosa. Eppure, la mentalità cattolica del Nord ha accolto con calore l’accesso alla società opulenta e non ha avanzato riserve sulla bontà del consumo, che ha fatto saltare – nel nome di una specificità dell’etica produttivistica – i valori etici globali di riferimento. Quella mentalità, in cui i leghisti si riconoscono, non ha percepito che quel nemico sistemico che si attendeva dal comunismo dell’Est è scaturito dal consumismo dell’Ovest, all’interno della «fortezza Bastiani» in altre forme, più etiche che politico-militari. Così sono state infrante le tavole di valori consolidati e sono cadute le evidenze etiche. E ora si vede solo il terminale del percorso, il relativismo e il degrado etico, e non se ne vede l’eziologia. Si è accettato pienamente che l’etica fosse messa al servizio della potenza dell’individuo, fino a un esasperato individualismo liberistico e antistatuale, e ora si lamenta che tale etica soggettivistica si riversi nei comportamenti individuali e famigliari sotto forma di liberalizzazione dei costumi. E si pretende di salvarla al solito modo: mediante l’invocazione di gesti formali di adesione al sacro, come se questi fossero la premessa e non lo sbocco d’una conversione di mentalità. Oppure si pretende di bloccare con la forza coercitiva della legge positiva quel costume che, nei fatti, si contribuisce a far evolvere in direzione opposta. Spesso questi cattolici tendono a non considerare peccato il reato: nei doveri fiscali e sociali, in genere, sono ancora attive le riserve del mero penalismo; invece – specie nell’etica individuale e famigliare – si tende a trasformare il peccato in reato: il che, come afferma giustamente uno storico della tradizione cristiana in Italia19, rende la Chiesa «un’agenzia etica» e «si ritorce proprio contro la capacità della Chiesa di generare norme morali vincolanti la coscienza dei propri membri» superiori a quelle d’una convivenza civile. Infatti, se il peccato coincide con il reato, la legge civile tende a coincidere con l’etica religiosa (cristiana) e non sussiste più l’ineliminabile distanza del tempo rispetto all’assoluto trascendente, sempre iperbolico.
Solo perché vengono ignorate o messe tra parentesi le premesse antropologiche leghiste, e non solo, e quindi le categorie di giudizio propriamente etico-politiche, nel mondo ecclesiastico si è diffuso un largo consenso sulla Lega a proposito dei cosiddetti valori non negoziabili. Su questo accordo, ha raggiunto i suoi – si fa per dire – fasti quella politica ecclesiastica, che Sandro Magister qualifica come «moderna», la quale predica una posizione super partes della Chiesa, che, in assenza di cultura politica globale, diventa politica destrutturata del «caso per caso», disposta a passar sopra a qualsiasi visione globale discordante, nel nome di una salvaguardia dei valori singoli in gioco, astrattamente considerati e slegati da qualsiasi gestione storica del costume. Fino ad accettare anche un’infrazione alla pace sociale e a far passare in secondo ordine i valori di costruzione globale della città di tutti20.

Durezze farisaiche
Non è chi non veda in alcuni atteggiamenti rigorosi dei leghisti, e non solo, una forte carica di ipocrisia, perché questi duri custodi formali del costume tradizionale sono invece disposti a concedere tutto a sé stessi e ai propri amici, quanto a degradazione del costume. Noi osiamo dire, invece, che il cattolico dovrebbe testimoniare per intero il proprio convincimento religioso-etico nella propria vita, che esige meno complesse e quindi meno divaricate mediazioni, ed essere casomai più indulgente verso gli altri cittadini, cercando una mediazione nella costruzione della legge che deve valere per tutti, secondo il sano principio della pedagogia progressiva. Per la lezione dell’A Diogneto, secondo cui i cristiani «obbediscono alle leggi stabilite, eppure con il loro stile di vita superano le leggi»21, il comportamento personale corretto serve in sede politica a mostrare la perenne imperfezione e perfettibilità della legge, indicandole nuove, più avanzate, frontiere legislative da conseguire. Se la legge, infatti, può condizionare l’ethos, essa viene modellata dall’ethos, se vuole avere quel consenso della ragione e del cuore che la insedi percettibilmente come bene comune. E invece, nell’idea imperante populistica attuale, si ha la richiesta di una legislazione esigente e dura per la città di tutti e una pretesa di indulgenza verso sé stessi (e verso il capo). Troppo facile scatta il riferimento all’apostrofe evangelica contro scribi e farisei che «legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito»22.

Carenze di declinazione antropologica della fede
Il pensare, come fa la Lega, e non solo essa, che una relazione sociologica con la Chiesa (con i parroci, con i religiosi, con le istituzioni parrocchiali…) basti a supplire l’assenza di un serio confronto con il discorso della fede – ad esempio, con i fondamenti dell’etica cristiana, con le regole comunionali, con l’essenza della carità, con la dottrina sociale – denota un grave deficit di evangelizzazione delle nostre terre: la quale evangelizzazione ha puntato troppo sul recupero del senso religioso attraverso il sacro e non attraverso la via dell’uomo vivente, che del sacro ha pur bisogno, ma lo deve primariamente trovare, specie oggi, dentro le proprie fibre; ha privilegiato la via delle strutture e delle leggi e poco quella della formazione delle coscienze e della continua ridefinizione e rilegittimazione cristiana delle strutture.
L’impreparazione dei parroci ad affrontare un discorso serio con la Lega, al di là delle convergenze sul sacro o magari grazie a questo alibi, è segno d’un deficit di declinazione antropologica della fede, che non è stata collegata alle «domande di senso» dell’uomo d’oggi. Ci si accontenta che resistano alcuni gesti religiosi fondamentali, soprattutto quelli estremi e spesso più inconsapevoli (nascita e morte), mentre resta non presidiato dalla religione il continuum mediano, che è quello più consapevole e propriamente etico, e quello relazionale, che è tipicamente umano. La formazione cattolica tridentina borromaica, che ha dato preziosi frutti di evangelizzazione, è ben radicata nei nostri parroci, ma ora merita di essere aggiornata in relazione alla modernità, che non può essere indegna di essere evangelizzata.

Conclusioni
Se dovessi, in ultima analisi, sintetizzare il nodo del rapporto tra Lega e Chiesa, lo individuerei come segue. A lungo le remore dell’ideologia che era patrimonio, sempre più estenuato e fioco, del partito dei cattolici italiani, la Dc, hanno trattenuto la società cattolica del Nord in uno spazio di sensibilità solidale dentro la vita nazionale. Ma, con la caduta delle ideologie e con l’estenuazione di quel patrimonio, tanto prezioso quanto svilito, la Lega, grazie alla massa pagana della Dc23 e a quelli che Ilvo Diamanti chiama i «praticanti saltuari»24, ha potuto operare lo sdoganamento dell’individualismo delle aree cattoliche del Nord e l’ha assolto con il ricorso al valore identitario della tradizione religiosa, mentre sarebbe stato difficile raccordarlo alla realtà della fede vivente. L’etica del lavoro e la religione come produttrici di senso comune hanno dato origine a una mentalità che, per certi aspetti, è di tipo calvinistico, ma che non si è dedicata alla costruzione d’una coscienza personale matura (addirittura tacciata di protestantesimo da alcuni teologi e vista come troppo impegnativa per la condizione della base ecclesiale cattolica), bensì alla formazione di uno spirito di corpo e di opere sociali che rinforzano il gruppo chiuso e lo impigriscono, esonerandolo dall’obbligo di cercare e di giustificare. Questa società, a mano a mano che produceva ricchezza e si svincolava dall’antico legame relazionale che stimolava la solidarietà, perdeva sempre più i contatti con le proprie radici cristiane e procedeva a sostituire i valori di quelle, e quelli relazionali comunitari, con la logica del benessere individualistico e della potenza dell’individuo, fattosi parte per se stesso. Forse quello della «prepotente» trasformazione del mondo è stato – ahimè! – l’unico lascito della teologia delle realtà mondane passato nella base, ma gestito in maniera secolaristica e avulso da principi di relazionalità.
Chissà se la drammatica crisi attuale che stiamo vivendo ci farà risalire con umile compostezza il crinale della solidarietà che avevamo disceso con baldanzoso egoismo? Il difficile momento potrebbe rilanciare una pastorale sociale, dalla cui costola è pur discesa gran parte di quella società che oggi si dice «leghista», la quale deve essere invitata, anche grazie a studi come quelli qui considerati, a prendere coscienza delle proprie vere e solide radici. Che non sono quelle di Odino né del dio Po. E che, forse, non ha ancora reciso del tutto.

1 R. Guolo, Chi impugna la Croce. Lega e chiesa, Laterza, Roma-Bari 2011.
2 P. Bertezzolo, Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, EMI, Bologna 2011.
3 Ibid., p. 31.
4 Ibid., p. 31. L’autore ci informa che, nel 1992, quando la Lega minacciò di guardare alle chiese del Nord-Europa e di fondare una Consulta protestante, Miglio non sgradì tale minaccia di scisma e Guolo (cfr. R. Guolo, Chi impugna, cit., p. 23) sostiene che il contributo di Miglio non ha a che fare con la questione cattolica.
5 Cfr. R. Guolo, Chi impugna, cit., p. 143.
6 C’è nel leghismo una semplicistica accettazione della lettura cosiddetta continuista di Benedetto XVI, che è scambiata per fissistica. Mentre si veda, ad es., l’avanzata posizione nel Concilio dell’allora perito conciliare prof. Ratzinger sul tema della collegialità: cfr. L. Declerck, Les réactions de quelques «periti» du Concile Vatican II à la «Nota Explicativa Praevia» (G. Philips, J. Ratzinger, H. de Lubac, H. Schauf), in «Istituto Paolo VI. Notiziario» 2011, 61, pp. 47-69 (e più specificamente le pp. 57-59).
7 Cfr. P. Prodi, Il paradigma tridentino. Un’epoca della storia della Chiesa, Morcelliana, Brescia 2010, p. 209.
8 Ibid., p. 208.
9 Cfr. R. Guolo, Chi impugna, cit., p. 98.
10 Si veda la critica del teologo Giacomo Canobbio riferita da Bertezzolo, Padroni, cit., p. 265 e nota 41.
11 Il suggerimento del card. Martini di guardare i modelli istituzionali e culturali della posizione escludente della Lega sono stati portati a fondo da poche eccezioni. Dal documento «antico» (1990) su Evangelizzazione e testimonianza della carità e poi da questi ecclesiastici illuminati sopra citati, che vedono la secessione come il prevalere d’una contro-testimonianza egoistica del ricco Nord. E nel 1997 mons. Nonis si chiedeva che cosa ci fosse dietro la «gran parola» del federalismo. Nel 1999 sarà proprio la Chiesa nel Veneto a rilanciare il federalismo (Cfr. P. Bertezzolo, Padroni, cit., p.133).
12 Cfr. L. Ornaghi, Oltre e dentro lo Stato: lo spazio “pubblico”, oggi, relazione al 1° Seminario di Studio in vista della celebrazione della 46ª Settimana Sociale dei cattolici Italiani, 2009.
13 Cfr. C. Schmitt, Le categorie del politico, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1972.
14 Ornaghi aveva già riconosciuto che in Miglio tale prospettiva aveva un carattere fortemente utopico che non è stato accettato da «una saggia prudenza pastorale» della Chiesa: si veda l’intervista a cura di Maurizio Crippa in «Il Foglio», 11 dicembre 2008.
15 Cfr. P. Bertezzolo, Padroni, cit., p. 266. L’autore mestamente nota, al proposito, che esse si inseriscono in quella incultura dei cattolici italiani che troppe volte ha incubato l’antistatalismo.
16 In realtà una critica alla natura neoliberista del programma della Lega, frutto del suo individualismo di fondo, fu mossa da padre Giuseppe De Rosa, notista de «La Civiltà cattolica» nel novembre del 1992 (cfr. P. Bertezzolo, Padroni, cit., p. 42), e dal card. Ruini nell’aprile del 1994, in un discorso a Teramo in occasione di un’assemblea della stampa cattolica (Ibid., p. 80).
17 Ibid., pp.70-71 e nota 72.
18 R. Guolo, Chi impugna, cit., p. 115.
19 P. Prodi, Il paradigma tridentino, cit., pp. 213 ss.
20 Il compiacimento di alte personalità ecclesiastiche verso la Lega in occasione del referendum sulla fecondazione assistita è documentato da P. Bertezzolo, Padroni, cit., p.172.
21 A Diogneto, 5, 10.
22 Mt. 23, 1-4.
23 Cfr. R. Guolo, Chi impugna, cit., p.102.
24 I. Diamanti, Il male del Nord, Donzelli, Roma1996.

Lega e Chiesa a Gallarate
mons. Franco Carnevali

L’interessante e dettagliata presentazione della storia della Lega e del suo rapporto con il mondo cattolico offerto da questi due testi1 pone sicuramente alcuni interrogativi. Ci chiede se non abbiamo, con troppa facilità, dimenticato, o troppo rapidamente messo tra parentesi, le tante affermazioni e i tanti gesti discutibili, provocatori e sicuramente molto lontani dal Vangelo, che spesso sono stati fatti dai leader leghisti. E se non ci siamo troppo spesso fermati su qualche slogan più accettabile, almeno secondo il comune buon senso. Fare memoria di un passato non troppo lontano ci permette di comprendere anche alcune realtà dell’oggi e mette in risalto la facilità con cui si sono modificate le posizioni, si è cambiato parere, si è andati dietro un’opinione pubblica, attenta agli avvenimenti del momento più che avvezza a un serio discernimento.
Questa rilettura attenta fa emergere, da parte della Lega, una visione della religione, e in particolare di quella cattolica, maggioritaria nel paese e nelle aree di influenza leghista, da valorizzare più per finalità politiche che per un reale interesse di fede. Questa visione utilitaristica non è stata, secondo me, sempre compresa in tutto il suo significato dalla Chiesa, più a livello di base che nelle alte gerarchie e nei pronunciamenti ufficiali. E comunque non è stata sufficientemente evidenziata nei suoi aspetti assai rischiosi.
Sicuramente non basta questo per dare spiegazione al successo leghista in zone tradizionalmente cattoliche. Vanno messi in luce altri punti problematici.

La formazione dei credenti
Ho la sensazione che la maggior parte dei sostenitori della Lega, almeno quelli più convinti, siano dei cristiani più di nome che per un reale impegno nella comunità. E, quindi, l’adesione alla Lega è sostenuta anche come principio identitario, come una «religione civile» che conferma il sentirsi italiani, che distingue da altre appartenenze etniche e religiose, che rafforza un’appartenenza sociale. Questa realtà trova un terreno fertile nel difetto di formazione e nella «tiepidezza» nei cammini di fede da parte di molti frequentatori delle nostre parrocchie. Così che la scarsa formazione rende debole la loro crescita, nella convinzione che essi trovano nel Vangelo il loro riferimento.
Si corre il rischio di costruire un cristianesimo «senza parola di Dio», «senza Cristo»: molto vicino al modo leghista di pensare la fede. A questo proposito la campagna per il crocifisso, senza accogliere il messaggio che la croce di Gesù professa e senza promuovere quanto il Vangelo propone per vivere «il crocifisso», è sicuramente esemplare.
Si arriva a ipotizzare come ideale un cristianesimo adattato alle esigenze, capace di seguire il «buon senso», anche quando non collima con il «senso di Dio». Nasce da qui il richiamo al tradizionalismo, alla difesa delle tradizioni, rifuggendo dalla valorizzazione della Tradizione.

Alcune posizioni «antievangeliche»
Si arriva così a giustificare posizioni certamente lontane dal Vangelo, ma anche dal magistero recente della Chiesa, quali quelle relative al rifiuto degli immigrati, alla negazione dei luoghi di culto per gli islamici, o le posizioni settarie nei confronti dei poveri.
E da questo e dalla visione strumentale della fede si può capire il controverso rapporto con i papi e i vescovi: ignorare o criticare – anche aspramente – alcuni loro pronunciamenti o richiami e mettersi dalla loro parte su alcuni temi, quali i cosiddetti valori non negoziabili, per mantenere i rapporti e darsi quella parvenza di cattolicesimo, utile per raccogliere consensi.
Così non sembra capace di destare stupore il desiderio della Lega di insegnare alla Chiesa come comportarsi, come agire e parlare, non certo nella logica di una corresponsabilità che nasce da una reale passione ecclesiale, ma con la presunzione di interpretare il sentire comune.

Il caso «Gallarate»
La situazione creatasi nella nostra città, e nella quale mi sono trovato coinvolto, può essere abbastanza significativa. Senza dilungarmi troppo, vorrei evidenziare come la polemica, nata dal rifiuto dell’amministrazione comunale alla trasformazione di un capannone in moschea (la Giunta in un primo tempo era Pdl – Lega, poi solo Pdl. Recentemente il panorama è cambiato dopo la vittoria del centro-sinistra) e dalla concessione, da parte di una parrocchia, del terreno su cui edificare il tendone per il Ramadan, abbia scatenato una discreta bagarre, alla quale abbiamo cercato di reagire non tanto rispondendo alle provocazioni, ma con un lavoro più lungo di formazione delle idee e delle coscienze, favorendo la crescita di un consenso più diffuso intorno alle questioni della mondialità e del dialogo religioso. Questo ha creato un consenso più diffuso a posizioni più dialoganti. Certo, la Lega ha avuto nelle elezioni della scorsa primavera il 30% dei voti, ma non ha incentrato la propria campagna elettorale sui soliti temi «anti moschea», rendendosi conto che non erano più così elettoralmente appaganti.
In questi frangenti è stato certamente rilevante il sostegno della Chiesa diocesana, culminato nell’incontro del cardinale Tettamanzi con l’imam di Gallarate, in occasione della Via Crucis della zona, che si è svolta nella nostra città.

I passi da fare
Nella convinzione che il fenomeno leghista non sia assolutamente da sottovalutare, mi sembra importante individuare, come comunità cristiana, alcuni passi significativi, per non cadere in alcune lusinghe che rischierebbero di mettere in discussione i principi fondamentali della nostra fede.
Il primo passo è quello della formazione: solo cristiani consapevoli e coscienti della propria fede potranno mettere in evidenza i limiti del pensiero leghista e i suoi fraintendimenti, per lo più voluti, dei contenuti della fede. Dobbiamo diventare veri frequentatori della Parola di Dio, lasciarci illuminare da Essa, dobbiamo crescere in una reale corresponsabilità, che faccia sentire ciascuno responsabile della Chiesa e della sua missione. È necessario riacquistare il senso vero della propria appartenenza alla Chiesa: solo così si eviteranno compromessi e visioni distorte del cammino della fede.
In questo percorso va dato spazio a una formazione all’impegno sociale e politico, prima ancora che per favorire presenze cristiane direttamente impegnate in politica, per far crescere la competenza del «cristiano comune», quello che viene interpellato sul posto di lavoro o dai vicini di casa e che spesso si lascia abbagliare da slogan a effetto. Un cristiano che sappia mantenere stabili i riferimenti ai valori che nascono dalla fede e da una corretta visione dell’uomo, evitando corto-circuiti e fondamentalismi.
Credo anche che sia necessario che la Chiesa, nel suo insieme, alzi forte la propria voce per difendere e promuovere i valori fondamentali della convivenza umana, che riguardano certamente l’inizio e la fine della vita, la stabilità della famiglia e le sue caratteristiche, ma che chiedono una grande attenzione all’intera esperienza dell’uomo e la cura di ogni persona: parlano, quindi, di accoglienza, di solidarietà, di dialogo e di rispetto. Proprio la promozione di questa visione della vita segna la distanza tra le posizioni del Vangelo e quelle della Lega: mi sembra che il compito educativo che viene chiesto sia quello di formare credenti che scelgano il Vangelo di Gesù, anche a costo di apparire ingenui e non in linea con il «buon senso comune».

Conclusione
Sono convinto che la diffusione della Lega, oltre a recriminazioni rispetto alla corruzione politica e ai vari potentati, che aveva fatto, all’inizio, la fortuna di questo movimento politico, sia oggi il segnale di un difetto di cristianesimo nei cristiani, evidenzi il rischio di un cristianesimo senza Cristo e con pochissima Parola di Dio, un cristianesimo pensato come una religione civile che «colora» i momenti di passaggio della vita dell’uomo, che offre l’opportunità di ritrovarsi insieme, che rafforza l’identità di gruppo.
E forse questo aspetto è più grave e preoccupante dei successi della Lega!

1 Si fa riferimento ai testi presentati a cura dell’Associazione «Città dell’uomo» in Fondazione Lazzati, il 24 ottobre 2011, e precisamente: P. Bertezzolo, Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, EMI, Bologna 2011; R. Guolo, Chi impugna la Croce. Lega e chiesa, Laterza, Roma-Bari 2011.

Lega e identità cattolica
Fabio Pizzul

Vorrei prima di tutto citare un nome: Silvana Saita. Pochi sanno chi è. Attualmente è sindaco di Seriate, comune in provincia di Bergamo, eletta in una lista civica di chiara impronta leghista. In precedenza Silvana è stata presidente diocesana dell’Azione cattolica di Bergamo. La sua amministrazione è molto apprezzata e anche premiata a livello nazionale per la puntualità dei pagamenti.
Aggiungo poi un altro elemento: ci sono molti preti ambrosiani che ritengono che sia proprio la Lega a rappresentare in modo più autentico i sentimenti dei fedeli e le loro perplessità riguardo l’attuale momento sociale, economico e politico.
Ho voluto iniziare le mie brevi considerazioni sul rapporto tra Chiesa e Lega da una sorta di esame di realtà: le idee e le proposte leghiste sono molto più diffuse in ambito cattolico di quanto molti di noi siano portati a pensare o anche semplicemente a immaginare.
Mi prenderò dunque la libertà di andare oltre il tema proposto dal titolo, che sembra concentrarsi principalmente sul rapporto, direi quasi istituzionale, tra due realtà ormai consolidate, anche se evidentemente caratterizzate da collocazioni spaziali, temporali e valoriali estremamente diverse e, per molti versi, difficilmente paragonabili.
Preferisco spingermi su un altro fronte, che oserei definire più politico e più direttamente riferibile allo scenario ampio dei rapporti tra la Lega e la comunità cattolica, in questo caso intesa secondo le sue declinazioni pastorali e, prima ancora, nel suo riferimento al Vangelo come elemento ineliminabile per un cammino che voglia definirsi autenticamente cristiano.
Per esplorare questo legame non privo di tensioni e ammiccamenti, vorrei proporre cinque coppie di termini che utilizzo in senso volutamente provocatorio e che, spero, mi consentiranno di delineare opportunità, ma soprattutto criticità della relazione che abbiamo messo a tema del nostro incontro1.

Concretezza – alterità
La Lega si propone come movimento con spiccate attenzioni alla concretezza della vita delle persone, fino a ridurre ogni proposta e ogni riflessione alla necessità di aggrapparsi alla spesso cruda realtà dei fatti e alla necessità di non sollevare troppo lo sguardo da quanto accade realmente nella vita delle persone.
La Chiesa si pone più facilmente, al netto del pragmatismo di stampo ambrosiano, su un fronte diverso che fa dell’alterità un elemento ineliminabile della predicazione. Dal «non di solo pane» di evangelica memoria discendono, o dovrebbero discendere, molte considerazioni in ordine alla necessità di non limitarsi all’orizzonte concreto e materiale di cui sono composte le nostre giornate. È pur vero che la logica dell’incarnazione è il fondamento del cristianesimo, ma l’appello alla necessità di non rinchiudere il proprio orizzonte a ciò che si può tangibilmente possedere o sperimentare è tratto ineliminabile della spiritualità cristiana.
Su questo fronte, dunque, Lega e Chiesa potrebbero trovarsi in rotta di collisione, ma quanto, mi chiedo, è effettivamente possibile operare una distinzione così netta tra i due termini evocati? La mia sensazione è che, anche all’interno delle nostre comunità cristiane, spesso il pendolo oscilli più dalla parte della concretezza che da quella dell’alterità. E, in questo contesto, il messaggio della Lega fa breccia facilmente.

Identità – cattolicità
Nella proposta politica leghista la dimensione identitaria ricopre un ruolo fondamentale. È proprio a partire dalle proprie radici, variamente ricostruite e raccontate, che la proposta politica dei lumbard si trasforma in tutela spasmodica di una specificità padana, che va tutelata e preservata da qualsiasi contaminazione che giunga dall’esterno. Il tema identitario è stato declinato in varie salse nel ventennio leghista e, nonostante alcune frizioni con la gerarchia ecclesiastica, ben si è congiunto con la necessità cattolica di non perdere i riferimenti a una tradizione che viene letta come molto rassicurante se messa a confronto con una contemporaneità fatta di relativismo e secolarizzazione.
La Chiesa, dal canto suo, fa della dimensione cattolica, ovvero universale, un tratto distintivo che dovrebbe portare i fedeli ad andare oltre ogni tentazione di chiusura particolaristica. Il messaggio evangelico è quanto di più aperto e universale si possa immaginare e lo stesso magistero ecclesiale post conciliare si colloca in orizzonti difficilmente compatibili con una stretta dimensione territoriale o con una possibile rilettura etnico culturale del Vangelo.
Anche in questo caso, però, la sensibilità di molti fedeli pare più incline alla rassicurante narrazione identitaria della Lega che alla dimensione cattolica, che spesso viene fatta coincidere con la passione missionaria di chi intende occuparsi dei poveri del Terzo Mondo, purché, si direbbe con espressione cara alla Lega, se ne stiano «a casa propria».

«Buonsensismo» – profezia
Altra cifra caratteristica della politica della Lega è quella del continuo appello al buon senso come elemento dirimente per ogni tipo di giudizio sull’agire politico e amministrativo. Nelle aule istituzionali l’appello al buon senso è elemento costante di politici leghisti a qualsiasi livello. In nome del buon senso è possibile trovare accordi impensati e spesso slegati da appartenenze e schieramenti. Il «buonsensismo», se mi si consente questo neologismo, è elemento fondamentale per tagliar corto e per evitare ragionamenti troppo impegnativi o sofisticati: se la gente comune la pensa così, perché non agire di conseguenza?
Gesù nella sua predicazione non si è mai abbandonato al senso comune. Ha sempre indicato nella profezia un inevitabile termine di paragone per qualsiasi atteggiamento che voglia essere aperto alla dimensione del Regno. Ogni richiamo alla Scrittura non può prescindere da un elemento escatologico che potremmo riassumere nell’atteggiamento della vigilanza.
Lascio a voi ogni considerazione riguardo a quanto si può notare nelle nostre comunità cristiane, in cui mi pare che ci sia un evidente difetto di profezia in nome di una presunta concretezza, che non può che guardare con grande e automatica simpatia al «buonsensismo», pur senza considerarlo, in prima battuta, come atteggiamento politicamente targato.

Roba – spirito
Utilizzo, in questo caso, il termine «roba» nell’accezione verghiana, come indice di estremo attaccamento a quanto si ha e di strenua volontà di difenderlo dal tarlo del tempo e dai possibili attacchi di coloro che ci vivono attorno. Difendere la «roba» mi pare che possa essere uno degli elementi caratteristici dell’azione politica leghista. Nulla di male, ci mancherebbe, anche perché è atteggiamento naturale di chi vede messo a rischio il proprio benessere dal cambiamento radicale del contesto e dall’arrivo di nuovi soggetti sociali, alla ricerca, in taluni casi senza troppi scrupoli, di una strada per emanciparsi dalla povertà.
All’estremo opposto, se non altro per comodità di esposizione, troviamo l’appello allo spirituale, che caratterizza buona parte del messaggio evangelico. La logica delle beatitudini ci dice chiaramente che chi è troppo attaccato alla «roba» rischia di non vedere nel profondo e di non essere libero di affidare la propria vita a Dio. La vanità dell’accumulo di beni terreni di fronte all’eternità del Regno è elemento che ritorna frequentemente nella predicazione di Gesù.
Messa così, la contrapposizione tra «roba» e spirito non dovrebbe lasciare scampo al cristiano e alla comunità cristiana. La realtà ci parla spesso in altro modo e la tentazione è quella di considerare lo spirito un lusso per tempi di vacche grasse e benessere diffuso. In tempi di crisi…
La «roba» diventa elemento imprescindibile e l’atteggiamento pragmatico della Lega trova ampio spazio anche laddove la logica farebbe dire il contrario.

Prossimità – distanza
La retorica del «padroni a casa nostra» ha portato la Lega a costruire una sorta di barriera, di distanza, nei confronti di coloro che non appartengono alla tradizione e al contesto sociale nel quale siamo stati cresciuti e abbiamo conquistato un benessere sempre più a rischio. Da qui, la nozione rassicurante di distanza da coloro che non sono assimilabili alla nostra cultura, piuttosto che troppo inclini ad allargamenti di orizzonte che non preannunciano nulla di buono. Mantenere le distanze è un modo concreto per non lasciarsi contaminare, ma anche per guadagnare in sicurezza di fronte a possibili minacce esterne.
La prossimità, l’azione del «farsi prossimo» è, all’opposto, elemento imprescindibile per qualsiasi riflessione che voglia porsi in un’ottica evangelica. Basti pensare all’ampio magistero del cardinale Martini sul tema o al significativo slogan del convegno che portò, negli anni ’80, alla nascita della straordinaria esperienza delle Caritas parrocchiali: «Farsi prossimo»2.
Anche in questo caso, il pensiero è chiaro e distinto, la pratica conduce spesso altrove e, in molti casi, non troppo lontano dall’atteggiamento di chi, per sicurezza, preferisce scavare un fossato o innalzare una recinzione neppure troppo metaforica tra sé e gli altri.
L’elenco delle coppie di atteggiamenti opposti potrebbe continuare ancora, ma lo lascio alla vostra personale considerazione, limitandomi a citare altri due possibili sviluppi: mitezza – aggressività e ostentazione – interiorità.
Tutte le coppie di opposti fin qui proposte sono da leggersi con le dovute attenzioni e precauzioni, ma sono utili per riflettere riguardo gli atteggiamenti concreti di molti cristiani e di molte comunità e metto, naturalmente, me stesso in testa a questa sorta di esame di coscienza collettivo: a parole, la dimensione evangelica non può che prevalere, ma, nella pratica, le nostre abitudini sono molto più «leghiste» di quello che pensiamo.
Inutile poi stupirsi della fortuna e dello spazio politico conquistato negli anni dal movimento di Umberto Bossi.

Il caso del crocifisso
Il rapporto tra Chiesa e Lega ha conosciuto molti alti e bassi negli anni, ma, come sottolineano Paolo Bertezzolo3 e Renzo Guolo4 nei due volumi che hanno dato il «la» a queste nostre riflessioni, presentano anche alcune costanti che a tratti riaffiorano. Una di queste è sicuramente la vicenda legata all’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici.
La Lega, dopo aver abbandonato la vena celtico-paganeggiante, ha sempre difeso il crocifisso come simbolo identitario e tradizionale, schierandosi con decisione al fianco di ogni battaglia per il suo mantenimento nelle scuole, nelle aule dei tribunali e in ogni edificio pubblico. Anche in questa vicenda emergono con evidenza alcune considerazioni relative al rapporto tra dimensione formale e sostanziale, tra significato identitario e valore universale, tra separazione e apertura agli altri.
La strategia politica della Lega è però, anche in questo caso, tutt’altro che banale: ponendosi come paladina del simbolo cristiano per eccellenza, intende recuperare consensi e simpatie presso i credenti e le gerarchie ecclesiastiche che, pur non vedendo di buon occhio alcune intemperanze leghiste, non possono certo disprezzare un impegno concreto e tangibile per la difesa e la promozione pubblica del segno più importante del cristianesimo.
Non è casuale neppure la strategia che vede negli ultimi tempi la Lega protagonista di progetti di legge per rendere obbligatoria l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Da un disegno di legge che giace ancora alla Camera si è passati, a tappeto, a proposte di legge regionale e a ordini del giorno nei singoli consigli comunali. Nulla è lasciato al caso.
Resta l’imbarazzo, che in queste settimane riguarda anche il Consiglio regionale della Lombardia, di dover esaminare una legge che pare assimilare il crocifisso a una suppellettile di arredamento (unico modo per poter sostenere la competenza legislativa regionale), lo trasforma in una sorta di simbolo di fratellanza universale depotenziandolo del significato religioso e, soprattutto, lo associa a un obbligo, seppure molto mite, travisando completamente la totale gratuità e la libertà che sta alla base del sacrificio di Cristo per gli uomini.

L’esclusività della Lega: una questione di fondo da sciogliere
In conclusione, qualche rapida considerazione in ordine ad altri aspetti caratteristici dell’azione politica della Lega Nord.
La Lega occupa spazi e non fa prigionieri. L’atteggiamento di chi non tollera contaminazioni o compromessi diventa volontà di marchiare con il proprio brand ogni attività e ogni proposta, secondo uno spirito spiccatamente identitario. Il vero e proprio processo intentato nei confronti di chi osa presentarsi senza «distintivo» verde – padania è un chiaro segnale di questa tendenza. È possibile per la Chiesa trovare forme concrete e plausibili di convivenza con una forza politica che intende sostituirsi alla sua azione?
La Chiesa parla con tutti, ma per dialogare bisogna essere in due. Dalla Lega arrivano approvazioni o censure, indicazioni di come la Chiesa dovrebbe comportarsi e di quale debba essere considerata la tradizione più autentica a cui ispirarsi. Può essere questo compatibile con la dimensione ecclesiale quale emerge dal Concilio? La Lega si pone chiaramente in contrasto con buona parte del magistero post conciliare e ritiene non solo possibile ma addirittura necessario scegliere una parte del cattolicesimo. Le relazioni diplomatiche – sullo stile della Segreteria di Stato – sono inevitabili, ma può la comunità cristiana spingersi oltre?
I simboli contano, ma non troppo. La Lega dà l’impressione di agire con criteri più vicini al marketing che a una reale considerazione del significato dei simboli che decide di adottare. Appare anche evidente uno scivolamento semantico verso profili che sconfinano spesso nella strumentalizzazione.
La Lega non perdona gli altri, ma è molto indulgente con sé stessa. Il principio di non contraddizione e la coerenza tra enunciati e comportamenti non appartengono alla cultura leghista, ma questo non pare essere un ostacolo, in un contesto nel quale risulta essere fondamentale la dimensione mediatica e mediata.
Un dubbio finale: non stiamo dando troppa rilevanza a elementi e comportamenti che non sono altro che tattici e opportunistici?

1 Si fa riferimento alla Tavola rotonda promossa dall’Associazione «Città dell’uomo»: Lega Nord e Chiesa cattolica. Due decenni di strategie politico-religiose, Fondazione Lazzati, 24 ottobre 2011.
2 Cfr. Convegno «Farsi prossimo», Assago, 15 – 23 novembre 1986.
3 P. Bertezzolo, Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, EMI, Bologna 2011.
4 R. Guolo, Chi impugna la Croce. Lega e chiesa, Laterza, Roma-Bari 2011.

Lega e Chiesa: prevarrà lo scontro o l’incontro?
Paolo Bertezzolo

Due domande credo sorgano spontanee di fronte al «fenomeno» della Lega Nord: come è stato possibile a questa forza politica, con le idee che proclama e le azioni che intraprende, arrivare a svolgere un ruolo di primaria importanza, addirittura determinante, nel governo del paese? Appare chiara, fin dal primo articolo del suo statuto, l’incompatibilità di questo partito con l’ordinamento costituzionale italiano e con il diritto internazionale, ribadita, tra gli altri, da Antonio Cassese in un articolo pubblicato da «Repubblica»1, pochi giorni prima della morte dell’insigne giurista.
Per quale ragione, poi, il movimento bossiano, chiaramente estraneo alla fede cristiana e apertamente contrario al Concilio Vaticano II, trova largo sostegno tra i cattolici ed è visto con simpatia anche da una parte della gerarchia ecclesiale?

Contatti e contrasti
Nel libro che ho scritto2 ho cercato di rispondere a tali domande. La prima questione non poteva mancare, parlando di una forza politica presente sulla scena italiana da così tanto tempo. Ma non è quella prevalente. Compiendo questo lavoro, infatti, ho pensato soprattutto alla Chiesa: perché, lo confesso, mi dispiace, se posso esprimermi così, constatare come la proposta leghista riesca a diffondersi al suo interno. Una Chiesa, va precisato, che non ha temuto fin dall’inizio, e nel modo più autorevole, di condannare le posizioni secessioniste e xenofobe della Lega Nord e che continua a farlo con grande chiarezza e coraggio. Ma che, soprattutto negli ultimi anni, ha visto tanti fedeli e alcuni esponenti della gerarchia considerare con favore altre azioni del movimento bossiano, come la lotta per l’esposizione dei crocefissi nelle aule pubbliche e le iniziative legislative riguardanti alcuni di quelli che vengono chiamati «valori non negoziabili»: in particolare, la grande e delicata questione del cosiddetto «testamento biologico» e del «fine vita». Il problema è: si può separare, nell’azione leghista, il «buono» dal «cattivo»? È possibile, in altri termini, contrastare una parte del suo programma politico, e le azioni che ne conseguono, e ritenere invece un’altra parte di esso utile per giungere a una legislazione che accolga, almeno in parte significativa, i valori etici proclamati dalla Chiesa? Non è una questione da poco. Implica infatti che o si stabilisca una «gerarchia dei valori», in cui quelli riguardanti la vita, la difesa della famiglia naturale e così via siano considerati prevalenti su quelli che riguardano invece la solidarietà, la carità, l’accoglienza – e qualcuno tra i cattolici lo sostiene –, oppure – ed è questo, alla fine, un corollario della posizione precedente – che si possano addirittura «separare» i «valori» difendendone alcuni, meglio e più di altri, e considerare quindi «più amiche» le forze politiche disponibili a tradurli in leggi dello Stato.
Questa convinzione, in entrambe le sue espressioni, appare particolarmente pericolosa. Spero risulti chiaro dal mio libro. Innanzitutto, come hanno ripetutamente sostenuto diversi vescovi, a cominciare dal cardinale Martini e da monsignor Bettazzi, i «valori» vanno difesi tutti quanti insieme. Non è possibile «gerarchizzarli» o separarli. Il farlo, tra l’altro, renderebbe fatalmente ipocrita, e quindi poco credibile, la difesa di quelli considerati «prevalenti» e più importanti.

Il divario si allarga
C’è poi un altro aspetto di grande rilievo. Riguarda una questione che ha impegnato a fondo Giuseppe Lazzati, la laicità. Ricordo ancora con emozione, su questo tema, il corso di aggiornamento organizzato a Verona nel settembre del 19773. La prolusione di Lazzati rimane un punto di riferimento fondamentale per tutti. È molto significativo, e suscita riflessioni serie su come si sia giunti a questo punto in Italia, che oggi ci si debba ancora chiedere quali siano i compiti della Chiesa, del popolo di Dio e dei suoi pastori. Rientra in essi operare per ottenere leggi dello Stato in cui siano recepiti i suoi insegnamenti? Parliamo appunto della Chiesa, non dei laici credenti impegnati nel campo politico e sociale con la loro necessaria autonomia, il loro discernimento e la capacità di intelligente e proficua mediazione. C’è chi non ha dubbi, a proposito della risposta. Mi piace ricordare, quando ne ho l’occasione – e l’ho riportato nel mio libro – quanto sostiene monsignor Bregantini4, presidente della commissione Cei «Giustizia e pace e problemi sociali».
Parlando dei capisaldi dell’azione pastorale della Chiesa, egli ne indica tre: l’annuncio senza decurtazioni della Parola di Dio, la denuncia senza timori dei tradimenti e delle deviazioni da quanto essa proclama, la rinuncia alle offerte del potere.
Il terzo è particolarmente delicato, ma decisivo per rendere efficaci e credibili gli altri due. Esempi molto precisi di un’azione pastorale condotta così li abbiamo visti proprio nel cardinale Martini e nel cardinale Tettamanzi. Entrambi non molto apprezzati dai leghisti. Quei capisaldi definiscono un altro tipo di Chiesa rispetto a quella che amministra servizi e ha, quindi, bisogno dei sostegni materiali erogati dalle istituzioni politiche, come pure a quella che ritiene di potersi proporre come interlocutrice diretta delle istituzioni. Risulta chiaro, tra i tanti esempi che si potrebbero ricordare, da questo fatto.
Bossi, nel 1996, offrì pubblicamente un «accordo»5 al cardinale Martini che lo aveva criticato per il suo secessionismo6. Affermò che la Chiesa non avrebbe avuto nulla da temere dalla «vittoria» della Lega, disponibilissima a concederle sostegno per le scuole cattoliche e per gli altri suoi interventi sociali. Il Senatùr intendeva appunto parlare alla Chiesa amministratrice di servizi e interlocutrice «istituzionale» del potere politico. La risposta del cardinale spostò invece la questione del rapporto con la Lega sul terreno dell’annuncio cristiano, incompatibile con modelli culturali e politici che producono o sanzionano l’esclusione di persone, gruppi sociali o aree territoriali.

I rischi del clerico-leghismo
È importante sottolineare, poi, anche un altro aspetto. La Lega Nord appare una forza politica «totalizzante», che non riconosce altro al di fuori di sé. Si propone, infatti, come interprete del territorio in tutti i suoi aspetti: politici, «culturali», sociali e anche religiosi. La sua stessa modalità organizzativa, ricalcata sui grandi partiti di massa degli anni ’50 e ’60, lo evidenzia. Essa «ha deciso di utilizzare il cattolicesimo, rapportandolo a sé e piegandolo alle proprie strategie. Negli ultimi anni ha riletto e “paganizzato” il messaggio cristiano, prendendo quello che le serviva e buttando via, anzi demonizzando, quanto non rientrava nel suo orizzonte»7. E del cristianesimo le serve la sua funzione di religione civile, coniugata disinvoltamente con un nebuloso neopaganesimo celtico, non certo l’annuncio di fede. Il cristianesimo «padanizzato» della Lega non può quindi essere quello del Vangelo di Gesù Cristo e, quindi, nemmeno quello del Concilio Vaticano II: è il cristianesimo di Lepanto che, nell’interpretazione leghista, servì a combattere e sconfiggere l’Islam e oggi, ridotto a elemento identitario e parte di una «cultura» xenofoba, deve contribuire allo stesso scopo. Per questo i leader leghisti, a cominciare da Bossi, si definiscono cattolici tradizionalisti e si sentono in piena sintonia con i lefebvriani.
Tuttavia la forza potenziale di penetrazione del messaggio leghista all’interno della Chiesa non si basa solo su questo. Se così fosse, forse sarebbe abbastanza «controllabile». In realtà, la Lega Nord interpreta posizioni che sono presenti nella stessa Chiesa cattolica. Il prof. Pizzolato lo ha messo molto ben in luce, parlando con grande efficacia della Lega Nord come di una «costola del cattolicesimo»8. Lo stesso hanno fatto con notevole chiarezza gli altri due relatori9. Stando così le cose, credo si possa affermare che la Lega Nord rappresenti per la Chiesa cattolica una grande sfida, che richiede un profondo e onesto esame di coscienza da parte dei fedeli e, soprattutto, dei pastori. Quale cristianesimo si è inteso, e si intende, propugnare, esigere, «difendere»? La diffusione delle idee della Lega Nord all’interno della Chiesa, il consenso che il movimento bossiano raccoglie tra i fedeli e, in parte, della stessa gerarchia interpella direttamente e in profondità la qualità della catechesi effettuata in questi decenni, della formazione dei credenti e dello stesso clero. Lo hanno detto bene i relatori che mi hanno preceduto. C’è un modo di intendere e di vivere il cristianesimo più consono alle posizioni leghiste – tradizionalistico, consuetudinario, rituale, identitario, passivo, scarsamente alimentato dalla Parola di Dio – che non al Vangelo. Quando si parla di «nuova evangelizzazione» bisogna allora anche intendere che è necessario far conoscere meglio la Parola di Dio e, insieme a questo, tornare senza remore al Concilio che l’ha declinata per il nostro tempo, riprendendone con coraggio e vigore gli insegnamenti, per farne sostanza quotidiana della vita delle comunità e dell’azione dei credenti nella società.

1 A. Cassese, Il padano non è un popolo, in «la Repubblica», 2 ottobre 2011.
2 P. Bertezzolo, Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, EMI, Bologna 2011.
3 Cfr. G. Lazzati, prolusione in occasione del XLVII Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica. Laicità: problemi e prospettive, Verona 25-30 settembre 1977.
4 Cfr. P. Bertezzolo, Padroni, cit., p.263.
5 Cfr. articolo: Bossi: La Chiesa non deve temerci, in «Il Corriere della sera», 10 settembre 1996.
6 Cfr. commissione diocesana «Giustizia e pace» – Diocesi di Milano, Autonomie regionali e federalismo solidale, Centro ambrosiano, 15 gennaio 1996.
7 M. Franco, C’era una volta un Vaticano, Mondadori, Milano 2010, p.133.
8 Vedi sopra, L.F. Pizzolato, La Lega o lo sdoganamento dell’individualismo cattolico.
9 Vedi sopra: F. Carnevali, Lega e Chiesa a Gallarate; F. Pizzul, Lega e identità cattolica.