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L. Pasinetti, Keynes e i keynesiani di Cambridge, Laterza, Bari 2010

La rivoluzione "incompiuta" di Keynes

Si potrebbe ritenere che il volume di Luigi Pasinetti, recentemente pubblicato da Laterza1, appartenga al variegato insieme delle proposte di riscoperta della attualità di Keynes, che la crisi finanziaria americana del 2007 ha in vario modo favorito, a causa della difficoltà di spiegarne le cause e di individuare le misure idonee a far riprendere al sistema economico la via della crescita. Ma non è così. Il libro, in effetti, è la traduzione italiana del volume pubblicato in inglese dalla Cambridge University Press all’inizio del 2007. La gestazione di questo libro copre un periodo di almeno 12 anni dal momento che il nucleo iniziale è rappresentato dalle due lezioni che il dipartimento di Economia pubblica dell’università di Roma ha promosso, con il contributo finanziario della Banca d’Italia, per onorare la memoria di Federico Caffè e che nel 1995 Luigi Pasinetti svolse scegliendo come titolo: La rivoluzione “incompiuta” di Keynes. Da questo nucleo iniziale si è sviluppato il progetto complessivo che trova puntuale espressione nel sottotitolo del volume: Una rivoluzione in economia da portare a compimento. Nulla di più lontano dunque dall’onda delle discussioni sulla congiuntura economica internazionale sebbene la gravissima crisi in corso, che è anche crisi della moderna macroeconomia, rappresenti uno stimolo forte a riconsiderare gli schemi concettuali degli economisti contemporanei e dunque a ricercare negli schemi teorici rivoluzionari di Keynes, che seguirono la grande crisi economica del 1929, una spiegazione più convincente della instabilità delle economie capitaliste rispetto a quella fornita dalla teoria economica tradizionale. Le ragioni di interesse del volume sono molteplici. In primo luogo si tratta di un importante contributo di storia della analisi economica keynesiana che viene da un economista che è stato parte della scuola keynesiana e dunque ne ha conosciuto le dinamiche interne e che dalla viva voce dei protagonisti ne ha raccolto i contenuti autentici. Da un punto di vista storico è di grande interesse la descrizione delle vicende che portarono Keynes ad allontanarsi dalla teoria economica tradizionale, di cui era un protagonista di primo piano, per progettare e costruire la sua nuova teoria generale2. Pasinetti illustra non soltanto i fondamenti e i tratti caratteristici del nuovo paradigma keynesiano, ma anche il clima culturale nel quale si sviluppò. È sorprendente l’analogia dei contenuti e delle posizioni nelle discussioni di allora rispetto al dibattito di oggi. La crisi compromette gli equilibri dei bilanci pubblici, produce disoccupazione, amplifica gli squilibri tra importazioni ed esportazioni.

La terza via

Oggi, come allora, secondo la teoria economica tradizionale, apparentemente, solo politiche restrittive possono correggere tali squilibri. Ma gli effetti immediati di tali politiche sono quelli di aggravare la crisi e cioè ridurre le entrate fiscali insieme al reddito nazionale, accrescere la disoccupazione e indurre a svalutazioni competitive del tasso di cambio della moneta. Il problema diventa dunque quello di percorrere una strada alternativa e di trovare il coraggio politico di adottare vere misure anticicliche keynesiane. Come sappiamo, tali politiche prescrivono di rallentare la crescita e di sgonfiare le bolle speculative nelle fasi di espansione eccessiva e di aumentare la domanda aggregata e la spesa pubblica (nonostante il deficit di bilancio) nelle fasi di recessione. Si tratta di una posizione intermedia (la cosiddetta terza via) tra il liberismo di chi crede che i mercati trovino in ogni caso il loro equilibrio, potenzialmente al di fuori di ogni regolazione, e l’interventismo di chi pensa alla pianificazione economica e sociale come alternativa al sistema di mercato. Keynes è un liberale, difensore del capitalismo, ma è anche convinto che l’intervento dello Stato sia necessario al fine di indirizzare il sistema economico e correggerne la naturale tendenza a provocare fluttuazioni cicliche eccessive e una concentrazione del reddito e della ricchezza socialmente inaccettabile. Paradossalmente tuttavia, tre quarti di secolo dopo la pubblicazione della Teoria generale, a Keynes è riconosciuta soltanto la funzione commissariale di salvare il capitalismo nei suoi più gravi momenti di instabilità e di crisi. Non appena il paziente mostra segni di recuperare la salute, la spiegazione keynesiana del funzionamento del sistema economico e delle sue criticità viene accantonata e deliberatamente ignorata a favore della spiegazione basata sulla presunta tendenza di mercati ideali a trovare il loro equilibrio unico e stabile dimenticando ogni rischio reale di instabilità. Pasinetti si chiede dunque quali siano le ragioni di una simile situazione e, da economista puro, avanza la tesi che la rivoluzione keynesiana non sia stata portata a compimento dagli economisti che hanno cercato di svilupparla dopo la morte di Keynes, con l’inevitabile conseguenza di rendere possibile il riassorbimento e la sterilizzazione dei suoi contributi innovativi all’interno della teoria economica tradizionale. L’interesse di queste analisi va oltre i confini della economia ed offre rilevanti spunti di riflessione anche per gli studiosi della evoluzione del pensiero scientifico. La seconda parte del volume offre un approfondimento dei contributi della scuola keynesiana di Cambridge e del suo modus operandi che passa attraverso una serie di saggi biografici dedicati ai protagonisti originari della scuola. Si tratta di pagine scritte magistralmente dalle quali emerge la grande affinità dell’autore con la metodologia, i risultati, gli obiettivi e i limiti del lavoro scientifico di quel formidabile ed eccezionale gruppo di pensatori. «È possibile – ammette l’autore nella sua introduzione – che l’inevitabile coinvolgimento emotivo di chi ha partecipato a una esperienza abbia influenzato, nel bene o nel male, il mio giudizio su quella stessa esperienza…» Ma il giudizio non è affatto apologetico. I saggi biografici sono preceduti, intercalati e seguiti da commenti talvolta molto critici, eppure di grandissimo interesse per chi voglia cercare di capire il modo in cui la rivoluzione keynesiana si è andata evolvendo fino ad ora e sia interessato a coglierne i possibili sviluppi futuri.

Instabilità e disequilibrio

Nei suoi commenti Pasinetti descrive le vicende recenti della scuola keynesiana di Cambridge ricordandone le caratteristiche e le singolarità, i punti di forza, ma anche gli elementi di debolezza. Ne esce una rappresentazione con luci ed ombre a sostegno della tesi generale del libro, secondo la quale la Teoria generale di Keynes avrebbe dato luogo ad una rivoluzione incompiuta di cui siamo ancora in attesa del compimento. Prendendo serenamente atto dei difetti e delle carenze individuali e collettive, Pasinetti non si sottrae al compito di raccogliere gli elementi caratteristici più importanti e significativi del paradigma keynesiano, cercando quelle complementarità e convergenze nei contributi teorici degli allievi di Keynes che possono fornire i fondamenti sui quali costruire il completamento della rivoluzione keynesiana. L’elenco delle caratteristiche, che distinguono l’impostazione keynesiana rispetto a quella tradizionale, fatto da Pasinetti è ampio, convincente e molto utile per il lavoro dell’ economista e dello storico del pensiero. Di tali caratteristiche due appaiono particolarmente significative anche ai non economisti: l’instabilità e il disequilibrio considerati, non già come circostanze patologiche, ma come caratteristiche normali che contraddistinguono i sistemi economici reali. Una prima fonte di instabilità di un sistema economico moderno era già stata individuata da Keynes nella possibilità che il potere di acquisto astratto non si traduca in domanda effettiva riducendo i livelli di produzione. La seconda fonte di instabilità viene dal processo di crescita economica che nella trattazione di Pasinetti comporta una continua evoluzione strutturale del sistema economico, modificando continuamente i livelli di produzione e di occupazione dei diversi settori produttivi. La terza parte del libro presenta quella che Joan Robinson3 definirebbe la generalizzazione della Teoria generale di Keynes ovvero la schematizzazione di un sistema economico ideale che evolve nel tempo realizzando la piena occupazione delle risorse (lavoro e capacità produttiva degli impianti), la stabilità dei prezzi, salari crescenti come conseguenza del progresso tecnico, un livello dei profitti corrispondente al volume degli investimenti capaci di assicurare livelli di produzione coerenti con la domanda di beni e servizi espressa dalla dinamica della popolazione, un livello dei saggi di interesse che renda possibile la compatibilità dei rapporti di credito e debito.È questo il contributo di Pasinetti al completamento della rivoluzione keynesiana. Il metodo adottato è quello di andare oltre la considerazione del livello delle variabili economiche, nel momento in cui sono prese in considerazione, e di tener conto anche dei loro saggi di variazione nel tempo. Tutto ciò rappresenta una riformulazione del modello di crescita di Roy Harrod4 in termini disaggregati con saggi di crescita non uniformi. La disaggregazione del modello evidenzia un insieme molto ampio ed interconnesso di condizioni da soddisfare a livello di settore per consentire la coerenza del sistema a livello aggregato e la sua evoluzione nel tempo. L’insieme di condizioni che dovrebbero essere soddisfatte per consentire al sistema economico di evolvere in equilibrio dinamico è molto complesso e articolato. Si pone così il problema di valutare le modalità con le quali tale obiettivo potrebbe essere conseguito. I fautori più estremi del liberismo economico ritengono che il meccanismo di mercato sia da solo sufficiente ad assicurare che tutte le condizioni siano soddisfatte. Da ciò discenderebbe come corollario che le istituzioni del capitalismo dovrebbero astenersi da qualunque intervento di regolazione. Pasinetti si pone in un atteggiamento molto diverso; e cioè quello di valutare quali potrebbero essere le istituzioni più adatte a portare il sistema verso il soddisfacimento di quelle condizioni. Il mercato diventa in questo modo non un fine ma uno strumento. Uno strumento che, per consentire di conseguire i risultati desiderati, deve rispettare regole di funzionamento continuamente adeguate alle caratteristiche delle transazioni che vi si realizzano. Tuttavia il progresso e la crescita economica pongono continuamente nuovi problemi e nuovi squilibri con la necessità di adeguare strumenti ed istituzioni tradizionali alle nuove modalità con le quali si svolgono le attività economiche. Chi è convinto che per ridurre la disoccupazione non sia ragionevole limitarsi a ridurre i salari e introdurre contratti di lavoro flessibili, e che per far crescere il sistema economico non sia sufficiente limitarsi ad aumentare la concorrenza nei mercati, troverà in questo libro analisi e proposte di grande interesse ed originalità.

1 L. L. Pasinetti, Keynes e i Keynesiani di Cambridge. Una rivoluzione in economia da portare a compimento, Laterza, Bari 2010.
2 J. M. Keynes, Teoria generale della occupazione, dell’interesse e della moneta. Utet, Torino 2006.
3 J. Robinson, The Generalisation of the General Theory and Other Essays, Mac Millan, Londra1979.
4 R. Harrod, Towards a Dynamic Economics, Macmillan, Londra 1948, trad. it. Verso una economia dinamica, il Mulino, Bologna 1990.