Appunti 4_2010

Il nipote racconta alcune tappe del percorso di un uomo straordinario, di cui porta il nome e al quale rende continua testimonianza. Queste tappe ci riguardano, perché don Dossetti ha lavorato sia alla Costituzione che al Concilio, indicando una mappa che abbiamo il dovere di aggiornare.
 
L’esperienza spirituale di Giuseppe Dossetti

Giuseppe Dossetti jr.

«Appartengo a un altro secolo»1: così don Giuseppe si presentava al clero della diocesi di Pordenone, poco più di due anni prima della sua morte, avvenuta il 15 dicembre 1996. In quel discorso ha presentato in modo sintetico il suo cammino spirituale: egli ha vissuto un’appartenenza appassionata a tutte le vicende dell’Italia, del mondo e della Chiesa: ma l’aspetto più seducente della sua personalità e anche quello che ha turbato e ha suscitato in tanti incomprensione e talvolta ostilità, è stata la capacità di anticipare il futuro, di «guardare lontano», come dirà, parlando nel 1988 al suo paese natìo, Cavriago, a pochi chilometri da Reggio Emilia.
Egli ha vissuto con intensità appassionata ogni momento della sua vita. Già nel 1944, nelle note di un ritiro spirituale, scriveva: «Debbo pregare e lavorare all’estremo (nello studio e nell’apostolato) per dare il cibo, un po’ di cibo a un mondo che ne ha così grande fame»2. Ricordo che un giorno mi disse: «La vecchiaia è tempo difficile, nel quale si rischia di soccombere alla paura, alla tristezza e allo scoraggiamento. Bisogna fare da subito, finché si è giovani, provvista di energia spirituale, di fede intensa e di coraggio». Così, egli appartenne a ogni momento della sua vita, allo studio, alla Resistenza, alla vita politica, all’impegno culturale, al Concilio, al servizio della Chiesa bolognese, all’incontro con altri popoli e religioni, alla Terrasanta e soprattutto alla vita di preghiera e di carità nella «diaconia di Montesole». Ma la stessa intensità di attenzione e di carità ricevettero tutte le persone, grandi e piccole, che lo incontrarono, senza mai avvertire fastidio o fretta.
Certamente egli ha vissuto le grandi crisi del suo secolo: ma le ha vissute anticipandole spesso, con una lungimiranza creativa. L’esempio più singolare lo diede nel 1952, quando fondò il Centro di documentazione a Bologna, il futuro Istituto per le Scienze religiose. Egli scelse, come programma per sé e per il gruppo di studiosi che aveva raccolto, lo studio dei Concili ecumenici. Grazie a questo e grazie alla sua esperienza di canonista e di costituente, egli fu prezioso consigliere del cardinal Lercaro e di tanti altri vescovi durante il Concilio Vaticano II.

Il tempo attuale e i nostri limiti

Ma un’altra crisi, che egli seppe anticipare, è quella che stiamo vivendo oggi, quando il crollo dei muri nel ’89 ha palesato che il mondo non ha più un centro, condiviso più o meno da tutti, ma che è diventato un insieme di periferie, con l’aggiunta di contrasti e di guerre, nei quali la componente religiosa, sorprendentemente, ha ripreso importanza, ma contribuendo al conflitto, non alla ricomposizione dell’umanità.
Nel 1968, l’Occidente e la Chiesa vissero la stagione della contestazione, della rimessa in discussione della tradizione: lo strumento usato fu spesso l’analisi marxista della storia. Che cos’è rimasto di quell’armamentario che anche tanti chierici studiarono con entusiasmo? Don Giuseppe, dimessosi da pro-vicario della diocesi bolognese, dopo la conclusione traumatica dell’episcopato del cardinal Lercaro, era tornato nella sua comunità monastica. Nell’ottobre moriva sua madre, che era divenuta la superiora del ramo femminile della comunità. Nel novembre egli partì per Bangkok, dove si teneva un convegno internazionale sul monachesimo. Al ritorno, si fermò a lungo in India e poi in Terrasanta e in Grecia3. Nel luglio, tenne una conferenza al clero di Reggio Emilia, dove disse tra l’altro: «Sono stato quattro mesi in Asia percorrendone una parte notevole […] con uno scopo unico […], quello di verificare nei diversi ambienti e nelle diverse religioni lo stato della fede rispetto alla mutazione sociologica in corso […]. Perciò le mie tappe fondamentali sono state soprattutto a contatto dei monasteri buddisti, dei monasteri indù e di tutto quello che mi pareva di poter intravvedere di vivo ancora nella fede dell’Islam. Non parlo del viaggio […], dico solo che mi ha potentemente ricaricato e mi ha dato, penso, una nuova giovinezza, una visione di grande pace. Anzitutto ho visto una prima cosa, questa ancora sul piano umano, ma che ha delle ripercussioni sul piano spirituale potentissime: come sia piccola l’Europa, quasi inconsistente, e come in fondo sia piccolo e limitato l’intero Occidente e come grande sia la nostra superbia di occidentali. Sono stato potentemente umiliato, ho patito le più grandi e più concrete, profonde, spirituali umiliazioni della mia vita e credo di aver portato via una messe di esperienze sul piano dell’umiliazione, nel senso più intimo, più spirituale, che mi possa con la grazia di Dio essermi di riserva per tutti i giorni che il Signore ancora mi concede. Ho visto così che tutti i nostri problemi, per i quali noi tanto ci agitiamo, sono quasi niente; sono piccoli sotto-discorsi all’interno di un discorso estremamente parziale e limitato, compresi i nostri discorsi endo-ecclesiali»4.
Egli vedeva, dunque, ciò di cui noi ci siamo resi conto, in ultima analisi e forse non ancora completamente, con l’11 settembre 2001. C’è ancora, in molti, l’ipotesi che il mondo debba avere un centro, che il sistema mondiale possa essere messo sotto controllo: si discute sul numero da far seguire alla lettera «G»:  G8,  G20,  G2 … Pochi ammettono che la crisi è anzitutto spirituale, prima che politica e economica. Ma, in questo quadro, la Chiesa è di fronte a straordinarie sfide e possibilità.

La stasi del Concilio

Il primo passo, però, è riconoscere il cambiamento. Nel già citato discorso di Pordenone, don Giuseppe diceva: «Il Concilio ha avuto un limite reale, questo bisogna confessarlo: … era stato tutto pensato ancora in regime di cristianità e supponendo sostanzialmente ancora un regime di cristianità, dal quale si è allontanato per poche cose. Quindi, ha inquadrato i rapporti con il mondo, specialmente nella Gaudium et Spes in una visione ottimistica, troppo ottimistica, e in una supposizione, non più vera, che il regime globale – sociale, culturale, politico – fosse più o meno, con differenze rilevanti fra le diverse nazioni, quello ereditato dal vecchio regime cristiano. E quindi, per molti aspetti si è trovato a scontrarsi con una situazione nuova, diversa, non facilmente amalgamabile. Questa potrebbe essere la ragione profonda del suo arresto, della sua stasi nell’ordine della ricezione completa e dell’impulso reale dato al popolo di Dio e alle sue guide»5.
La conseguenza fu che, mentre noi vivevamo la contestazione e gli anni di piombo, egli, vivendo prevalentemente nella Terrasanta, al di qua e al di là del confine spirituale rappresentato dal fiume Giordano, approfondiva il tema del rapporto con le grandi religioni e dunque la questione di Dio: qual è il Dio dei Cristiani? Chi è il Dio di Gesù? E soltanto dopo aver abbozzato una risposta a queste domande è possibile affrontare la domanda sulla Chiesa e sulla sua forma: «Maturava in me la convinzione sempre più acuta che fosse necessario risalire alle cause più profonde e quindi a un nuovo pensiero, a un nuovo modo di vivere il cristianesimo: nuovo perché sempre quello, sempre più legato alle sue sorgenti native e sempre più coerente con le sue sorgenti originali»6. Di qui, una vita concentrata sulla Parola di Dio e sull’eucaristia, sulla testimonianza della preghiera e della carità, nella forma della presenza sulle grandi frontiere spirituali del mondo, come comunità che intercede per tutti gli uomini. Oltre alla frontiera della Terrasanta, egli sentiva profondamente quella di Montesole. La diaconia, affidata alla sua comunità dal card. Biffi nei luoghi della strage nazista del settembre 1944, significava non solo custodire una memoria, ma riannodare il dolore dell’uomo all’eucaristia celebrata per tutti e proclamare il valore teologale della pace, come nome di Dio.
Questa concentrazione sull’essenziale non significava un estraniarsi dalla storia degli uomini, ma assumerla a un livello più profondo. Ci fu un episodio importante, inaugurato con il discorso tenuto a Milano il 18 maggio 1994, in occasione dell’ottavo anniversario della morte del suo amico fraterno, Giuseppe Lazzati7. Egli rivendicò la validità della Costituzione italiana, alla quale aveva dato un così importante contributo, contro ipotesi di stravolgimento. A ben vedere, il suo interesse era ancora una volta antropologico e religioso: fu frainteso, forse non sempre in buona fede, come se in tutti gli anni del silenzio egli avesse tramato nell’ombra e solo allora avesse gettato la maschera, come ispiratore dei peggiori «ismi», cattocomunismo, integralismo. I testi citati in precedenza basterebbero, per dimostrare quanto sia miope e interessata questa ricostruzione. Ma forse neppure coloro che lo approvarono compresero il vero senso del suo intervento: «Conviene ripensare alle cause profonde della notte, quali già Lazzati le indicava, agli inizi degli anni Ottanta, come realtà intrinseche alla nostra cristianità italiana. Anzitutto, una porzione troppo scarsa di battezzati consapevoli del loro battesimo rispetto alla maggioranza inconsapevole. Ancora, l’insufficienza delle comunità che dovrebbero formarli, lo sviamento e la perdita del senso dei cattolici impegnati in politica che non possono adempiere il loro compito proprio di riordinare le realtà temporali in modo conforme all’Evangelo per la mancanza di vero spirito di disinteresse e soprattutto di una cultura modernamente adeguata; e quindi un’attribuzione di plusvalore a una presenza per se stessa, anziché a una vera ed efficace opera di mediazione; e infine l’immaturità del rapporto laici-clero, il quale clero non tanto deve guidare dall’esterno il laicato, ma proporsi più decisamente il compito della formazione delle coscienze non a una soggezione passiva o a una semplice religiosità, ma a un cristianesimo profondo e autentico e quindi a un’alta eticità privata e pubblica»8.

La Sindone

Ma quale era per lui questo «cristianesimo profondo e autentico»? La riflessione di tutta una vita, la varietà straordinaria delle sue esperienze, l’intelligenza di una mente e un cuore singolarmente chiaroveggenti ritornavano pur tuttavia al punto di partenza, a quello «sguardo», rivolto al Cristo crocifisso, che la madre sorprese in lui, diciottenne, in occasione del pellegrinaggio a Torino, per l’ostensione della Sindone nel 1931: «La mamma ci disse: Quando ho visto come la guardava, ho capito che l’avevo perso. Aveva capito cioè che egli era stato totalmente preso dal Signore, in quella contemplazione di Gesù Dio e uomo, Dio infinito e uomo sofferente, tutto coperto di piaghe, morto per amore degli uomini. In quel momento gli sono entrati nel cuore l’adorazione e l’amore totale per quell’Uomo-Dio e insieme l’identificazione con lui, con la sua infinita compassione per le piaghe dell’umanità»9.
La riforma della Chiesa, il bene anche temporale di una comunità, la speranza di una ricomposizione dell’umanità nella pace e nella giustizia passano per lui attraverso l’assunzione da parte dei cristiani della forma Christi, del Cristo crocifisso e glorioso; glorioso proprio perché crocifisso. La meditazione della Croce era per lui non solo la rivendicazione dell’originalità del Cristianesimo rispetto alle altre religioni, ma l’unica via per la «sanazione» del mondo, per la creazione di spazi di giustizia e di rispetto per l’uomo, per l’irrobustimento delle coscienze e per rinnovato coraggio e pazienza. In uno dei suoi ultimi interventi, rivolto a un gruppo di giovani, dopo aver fatto l’esegesi del processo a Gesù davanti a Pilato secondo il Vangelo di Giovanni (interessantissima, perché fatta da un grande esperto di diritto), concluse: «La morte, e la morte di croce del Messia, non si aggiunge come qualcosa di estrinseco alla sua incarnazione, ma è un costitutivo intrinseco dell’incarnazione stessa e perciò la non vittoria, la sconfitta, il fallimento domina tutta l’economia, del Cristo e del cristiano. Quali conseguenze si riflettono sulla regalità di Cristo e sul suo dominio su tutta la realtà? Non certo di annullarla o di limitarne l’estensione e la competenza, che resta anche nel tempo presente, come più volte ho detto, illimitata e universale, ma inevitabilmente di moderarne l’esercizio, cioè di implicare, in questo tempo intermedio, modalità non visibili, nascoste, tanto più nella sostanza e nell’effetto vittoriose e trionfali, quanto più capaci di rinunziare alla forza e di seguire la via dell’umiltà, mansuetudine e mitezza»10.


1 G. Dossetti, Un itinerario spirituale, in I valori della Costituzione, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1995, p.5 (discorso al clero di Pordenone, 17 marzo 1994).
2 Citato in G. Dossetti jr., La vita, in AA.VV., Con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente. Per ricordare e ripensare agli insegnamenti di don Giuseppe Dossetti, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia s.d., p.21.
3 Le lettere alla Comunità di quel periodo sono di grande importanza; sono pubblicate in G. Dossetti, Lettere alla Comunità (1964-1971), Paoline, Milano 2006, pp.263-319.
4 Citato in G. Dossetti jr., Con tutto il cuore, con tutta l’anima e la mente, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia s.d., p.30.
5 G. Dossetti, Un itinerario spirituale, in Id., I valori della Costituzione, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 1995, p.20.
6 Ibidem.
7 G. Dossetti, Sentinella, quanto resta della notte?, in Id., La Parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, Paoline, Milano 2005, p. 369.
8 G. Dossetti, La Parola e il silenzio. cit., Milano 2005, pp. 376 s.
9 A.Magistretti, Introduzione a La Parola e il silenzio. cit., pp. 10 s.
10 G. Dossetti, Tu sei re?, conferenza del 26 novembre 1994, pro manuscripto.