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A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale, Il Saggiatore, Milano 2008

Direttore degli studi alla Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi e sociologo di fama internazionale, Alain Touraine affronta in questo interessante volume1 l’insieme delle questioni poste dagli sviluppi della globalizzazione, soprattutto nell’ambito della società occidentale. L’assunto attorno a cui ruota l’intera riflessione è la considerazione del crollo dell’universo «sociale» in tutte le sue componenti — dalle classi ai movimenti fino alle istituzioni e alle agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, ecc.) — e perciò il costituirsi di una società «postsociale» — Touraine è noto per avere a suo tempo coniato il termine «società postindustriale» — che esige, per essere correttamente interpretata, l’adozione di un nuovo paradigma. La «fine del sociale» costringe, infatti, ad elaborare un’analisi «non sociale» della realtà sociale; a cercare, in altri termini, una nuova rappresentazione della vita sociale, in cui abbia il sopravvento l’individuo e dove le categorie sociali siano sostituite da quelle culturali.
Lo scenario generale
La prima parte del libro è dedicata anzitutto a una attenta ricognizione di quanto è avvenuto in Occidente nell’ultimo decennio, a partire soprattutto dal 2001, dalla caduta delle torri gemelle a New York. Da quel momento, secondo Touraine, la situazione è gravemente peggiorata, sia per l’aumento delle disuguaglianze — i poveri sono sempre più poveri e senza diritti — sia per la disgregazione della società, provocata tanto dalla paura della violenza e della guerra, che domina anche la vita di società ricche e protette come quella degli Usa, quanto — e soprattutto — dall’accentuata chiusura delle culture su se stesse con l’assunzione di atteggiamenti difensivi improntati alla rivendicazione esclusiva dei propri diritti.
La responsabilità di questa situazione è dovuta all’affermarsi, come conseguenza della globalizzazione, di un sistema di modernizzazione totalmente incentrato sulla libera impresa e sul mercato, cioè sull’egemonia dell’economia — di quella finanziaria in particolare — sotto la forma di un capitalismo estremo, del tutto deregolamentato e senza contrappesi, e, insieme, sul ridimensionamento delle funzioni degli Stati e sulla distruzione della società, totalmente separata dal sistema economico e in balìa dei conflitti provocati dalle contrapposizioni culturali e religiose.
    Non fa eccezione a questa regola, che ha la sua più alta espressione nel modello americano, neanche l’Europa, dove l’indebolimento delle identità nazionali non è stata compensata dalla formazione di un’identità continentale; mentre lo sforzo di darsi una costituzione non ha concorso ad arrestare il declino dell’idea federale: declino ulteriormente accentuato dall’allargamento dei confini agli Stati orientali.
Il declino del sociale
Questo insieme di cause segna la fine della rappresentazione «sociale» della società, nata con la rivoluzione industriale e ispirata a un paradigma razionalista, secolare e di classe, ma soprattutto dotata di un sistema di meccanismi che hanno contribuito a sopprimere le diverse forme di dipendenza operaie, coloniali e sessuali. La democratizzazione, con la soluzione attraverso le mediazioni istituzionali dei conflitti originati dall’oppressione di diverse categorie sociali, ha reso meno utile il ruolo della politica, e ha fatto sì che il suo spazio venisse occupato dal mercato, provocando un generale indebolimento dei movimenti sociali, in particolare di quelli legati al mondo del lavoro e trasferendo i valori dalla società agli individui.
L’attuale modernizzazione è dunque caratterizzata dalla tendenza a dare fondamenti non sociali ai fatti sociali, accentuando la tensione tra la ragione e i diritti dell’individuo e l’interesse collettivo. L’approccio alla società di ordine economico — l’economia è nei fatti il vero potere — e l’esaltazione della libertà dell’individuo come bene supremo favoriscono l’avanzare di un processo di desocializzazione, che, se per un verso sottrae la persona ai vincoli imposti dalla pressione esterna, per altro verso ha come effetto la caduta nella solitudine per la crisi dei legami e delle identità.
    Touraine si chiede, concludendo la prima parte del volume, se non si possa ipotizzare un modello di modernizzazione alternativo a quello oggi prevalente; un modello che non riduca l’individuo a semplice epifenomeno del mercato e del consumo ma lo aiuti a ricuperare la propria vita interiore, ricercando in sé (e non nella proiezione verso l’esterno) la propria unità.
Per una nuova soggettività
La risposta viene dalla seconda parte del libro in cui centrale è la definizione di una nuova (e «altra») soggettività. Per reagire all’individualismo, che ha frammentato il soggetto rendendolo fragile e mutevole, è necessario — osserva Touraine — ricostruire la vera identità dell’individuo, spingendolo a ricuperare la propria differenza, cioè promuovendo la sua volontà di essere «attore» e aiutandolo a rivendicare il diritto di protezione delle proprie particolarità culturali.
La possibilità di attivare questo processo è legata alla capacità di reagire al mondo dei media, che deforma e manipola il soggetto presente in ogni individuo, e di prestare attenzione ai movimenti più recenti (anzitutto a quello femminista) che hanno avuto un ruolo di primo piano nel ritorno del soggetto; ma anche all’impegno a costruire legami sociali che favoriscono la scoperta di sé e sono il mezzo privilegiato per la comunicazione e l’integrazione. Ciò a cui occorre mirare è infatti la formazione di soggetti personali, che non si sottraggano ai loro doveri sociali, ma non si sentano neppure del tutto intrappolati entro le regole della società; di autentici attori sociali che riconoscano la superiorità della cittadinanza rispetto ai comunitarismi e concorrano a far maturare una vera coscienza civica.
I diritti culturali
L’altra questione che, secondo Touraine, va urgentemente affrontata è quella dei «diritti culturali». Di fronte al dilagare di un multiculturalismo fatto di gruppi che rivendicano sempre più rilevanza pubblica e in presenza di tendenze comunitariste che si oppongono alla cittadinanza, è fondamentale procedere al riconoscimento dei diritti culturali — come in passato è avvenuto per quelli sociali — ponendoli in stretto collegamento con i diritti politici. L’estensione della rivendicazione democratica comporta oggi un allargamento ulteriore dell’area dei diritti con l’inclusione appunto dei diritti propri delle culture, che non sono, come qualcuno ritiene, un ampliamento di quelli politici — questi ultimi sono universali mentre i diritti culturali riguardano gruppi specifici come le minoranze etniche, religiose e sessuali — ma vanno associati necessariamente ad essi — solo così si può infatti evitare la caduta nei totalitarismi — e che ci ricordano che la realizzazione di sé non coincide del tutto con l’integrazione sociale.
Condizione essenziale perché questo avvenga nel pieno rispetto della cittadinanza è, secondo Touraine, il riconoscimento della presenza in ogni cultura di elementi universalistici o l’ammissione che si danno elementi di passaggio da una cultura ad un’altra che costituiscono la base per lo sviluppo di relazioni interculturali. Rifiutando tanto una forma di universalismo astratto quanto il comunitarismo, Touraine mette l’accento sul fatto che il vero progresso si misura dalla possibile articolazione tra centro e periferia, tra invenzione e tradizione, tra modernità ed eredità culturali ad essa estranee, e che la cittadinanza non si difende impedendo che venga estesa all’ambito in cui si sviluppa la maggior parte dell’esperienza personale e collettiva o tollerando semplicemente i comportamenti privati, ma creando le condizioni perchè si allarghino gli spazi di accoglienza delle differenze. L’avvenire della nostra società è legato alla piena affermazione dei diritti culturali come fattori di arricchimento della vita pubblica, cioè alla capacità di rendere trasparente il fatto che il rispetto dei principi generali (o universali) è del tutto compatibile con l’ammissione della pluralità delle forme culturali esistenti. Si tratta per Touraine di vincere tanto la tentazione dell’imposizione di una cultura quanto quella del relativismo culturale; di superare, in altre parole, sia una concezione liberista che una concezione comunitarista, articolando correttamente il riconoscimento dell’altro con la fedeltà ai diritti individuali e alle istanze della modernità.
Qualche osservazione conclusiva
Touraine non manca su queste basi di criticare il concetto di «laicità» tuttora presente in Francia (si veda la soluzione data alla questione del velo!), osservando come la tendenza a ridurre tutto alla cittadinanza e allo spirito repubblicano è espressione di un atteggiamento reazionario. Come non esita a sottolineare il valore della comunicazione interculturale in quanto atto di conoscenza che relativizza anche la propria cultura, e a denunciare il rifiuto di tale comunicazione come frutto (pericoloso) della convinzione — è il caso degli Usa — della propria intrinseca superiorità.
Meritevoli di più accurato approfondimento, anche in ragione della loro complessità, sono le riflessioni di Touraine circa i diritti sessuali. L’indiscutibile importanza delle tematiche qui richiamate per la vita sociale e insieme la loro delicatezza renderebbero (forse) necessario un approccio più articolato. Mentre è indubbia, infatti, l’esigenza di superare alcuni stereotipi del passato (in parte tuttora persistenti) come lo stretto rapporto tra sessualità e riproduzione, che, oltre a sancire la sottomissione della donna, ha contribuito in misura determinante alla repressione dell’omosessualità, maggiore cautela meritano (forse) affermazioni come quelle relative alla bisessualità o alla visione queer, cioè all’ammissione di relazioni sessuali multiple, o ancora come la distinzione tra sesso e genere con la riduzione di questo ultimo a semplice prodotto culturale o a mera costruzione sociale.
Di grande interesse sono le considerazioni dell’ultimo capitolo sul ruolo della donna come forza nuova, capace di farsi portatrice di un modello culturale alternativo, volto a favorire la ricombinazione tra natura e cultura, tra corpo e spirito, tra vita privata e vita pubblica provocando la nascita di una forma di liberazione creativa, lontana tanto dalla repressione quanto da un assoluto laissez-faire.
Un libro, in definitiva, quello di Touraine, profondamente stimolante, che non si accontenta di offrire le coordinate necessarie «per comprendere — come si legge nel sottotitolo — il mondo contemporaneo», ma che è anche ricco di suggerimenti preziosi per l’avvenire. E che ci sollecita proprio per questo a non desistere dall’impegno a dare il proprio contributo perché i processi in corso evolvano nella direzione di una sempre maggiore umanizzazione.

(A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, Il Saggiatore, Milano 2008, pp. 276, € 22).