Appunti 6_2007
Pietro Scoppola: cristiano, intellettuale, politico
Guido Formigoni
Questa rivista ha un debito particolare verso Pietro Scoppola, recentemente tornato alla casa del Padre: egli ne fu fondatore trent’anni fa, assieme a un folto gruppo di amici. E la seguì sempre, sostenendo qualche anno fa il passaggio a Città dell’uomo e accompagnandola con lucidità fino agli ultimi mesi. Per cui queste brevi note non possono essere sufficienti per ricordarne in modo minimamente adeguato il ruolo e la personalità. Pensiamo infatti di ritornare in futuro sulla figura di Pietro Scoppola, la sua eredità e il suo insegnamento, collegandoci a un degno ricordo del prossimo trentennale della rivista (il cui primo numero apparve nel maggio del 1978, proprio dopo l’assassinio di Moro).
Non si può che partire dalla constatazione che l’assenza di Pietro Scoppola apre un vuoto cospicuo per molti di noi. Un vuoto in qualche modo simbolico, in questa fase delicatissima della vita della Chiesa e della politica in Italia. Nel momento in cui la linea dei vertici ecclesiastici è sempre meno sensibile alla mentalità conciliare e cattolico-democratica, nel momento in cui nasce un Partito democratico a lungo auspicato dallo stesso Scoppola, ma nasce con una serie di limiti e fatiche che ne fanno un’esperienza «a rischio». Un vuoto che interroga e inquieta, quindi.
Dalla fede alla ricerca
Scoppola ha avuto un ruolo particolare nell’Italia del dopoguerra, a molti livelli. È stato un intellettuale rigoroso, studioso serio, aperto a mille sensibilità e curiosità. È stato un uomo libero da vincoli e dipendenze politiche o partitiche strette, mai «intellettuale organico» di partito o di qualsivoglia organizzazione. Ma è anche stato una persona ricca di impegni, di servizi e di disponibilità alla «militanza», senza mai timore verso una esposizione che poteva sembrare anche onerosa e complicata. Una figura molto «politica», senza essere «politico di professione». Qualcuno ha anzi notato in questi giorni che la politica non gli ha offerto molto, nonostante la sua dedizione1.
Nell’università ha esercitato il suo ruolo e il suo potere, che è stato anche cospicuo, ma senza quegli elementi di algido baronaggio che sono tipici di molti studiosi insigni. Aveva una generosità spontanea nei confronti degli studiosi più giovani, un’onestà intellettuale disposta naturalmente all’apprezzamento del merito, che oltrepassava le scuole troppo rigide, una capacità di guida che si esprimeva in indicazioni sempre puntuali ed efficaci verso chi gli si rivolgeva per un consiglio.
Il suo tratto personale era molto signorile, una sorta di aristocrazia dei sentimenti e delle maniere che si portava dietro per una storia familiare alto borghese. Un approccio nitido e severo, in primo luogo verso sé stesso, ma anche esigente verso collaboratori e interlocutori. I suoi giudizi sapevano essere taglienti. Aveva avuto ad esempio un approccio rigido al ’68, scontrandosi con gli studenti di Trento senza mediazioni. Ma questo elemento un po’ élitario si sposava in lui con una generosità e affabilità fuori dal comune. Del resto, si poteva non essere d’accordo con lui su tutto, ma le sue tesi erano sempre formulate in modo da imporsi come punto di riferimento nelle discussioni, cui lui non si sottraeva mai. Non è da tutti gli intellettuali italiani essere disponibili a girare il paese anche dopo i settant’anni, con una salute malferma, per incontrare gruppi e circoli di vario tipo e ragionare di Chiesa, storia e politica assieme a giovani e gente del popolo.
Si intravedeva in questi tratti umani il riflesso della sua spiritualità e della sua fede cristiana, convinta, interiorizzata, matura. Non esibita e mai trattata come una forma di identità pubblica. Ma vissuta in modo cordialmente comune nella Chiesa, non solipsistica o intimistica. In questo non credo gli renda ragione il pur amabile e commosso ricordo che gli ha dedicato Eugenio Scalfari sulla «Repubblica» il giorno della scomparsa2. Non era in una «posizione solitaria», Pietro Scoppola. Era un cristiano che poteva avere idee, posizioni, sensibilità, particolari e non sempre in sintonia con i vertici ecclesiastici, ma che viveva con serenità nella Chiesa e faceva di questa sua sensibilità occasione di incontro e costruzione di progetti comuni con molti altri. In questo senso ho sempre pensato che fosse giusta ma fondamentalmente riduttiva anche l’etichetta di «cattolico liberale» nei suoi confronti: certo lui stesso ha più volte testimoniato come lo studio dei grandi intellettuali credenti dell’Ottocento cristiano e liberale fosse stata anche una sorta di «ricerca delle radici» e della sua stessa identità. Ma non c’era nessun individualismo di una scelta religiosa vissuta esclusivamente nell’intimo della coscienza, nella sua appassionata partecipazione alle dinamiche ecclesiali. La sua sollecitudine ecclesiale fu evidentissima nel contributo dato al convegno Evangelizzazione e promozione umana, del 1976, del cui comitato preparatorio fu membro, e in generale poi nella partecipazione al dibattito ecclesiale in ogni occasione possibile3.
Storico per capire la complessità
Nel campo degli studi storici, noi che ci siamo affacciati a questo mondo una generazione addietro alla sua l’abbiamo sempre considerato un punto di riferimento imprescindibile. I suoi studi giuridici e la sua esperienza giovanile di funzionario parlamentare, uniti alla tagliente lucidità e capacità di sintesi, lo aiutavano in tanti campi di studio a esprimere i risultati delle sue ricerche con chiarezza e nettezza. La sua adesione alla lezione metodologica di Henri-Irénée Marrou, che egli stesso definiva «uno storicismo umanistico aperto alla trascendenza», spiega anche la sua attenzione alla complessità degli eventi, alle opzioni diverse che stavano di fronte ai protagonisti, alla necessità di evitare schemi interpretativi ideologizzati. Sono molto interessanti i cenni in proposito alla sua formazione, che troviamo nel dialogo con Beppe Tognon pubblicato recentemente da Laterza, libro che resta oggi anche un prezioso testamento autobiografico4.
La sua piccola sintesi del 1957 della storia del movimento cattolico5 è rimasta per anni un esempio di lucida interpretazione, opponendosi all’appiattimento di tutto il cattolicesimo politico sull’intransigentismo, recentemente riscoperto in sede storiografica, che rischiava di avere parte esclusiva nei nuovi studi. Gli studi più dettagliati, ampi, documentati, ricchi, sono stati quelli sul modernismo e la prima democrazia cristiana, apparsi tra fine anni ’50 e anni ’60. La scuola di Ettore Passerin d’Entrèves e le lontane suggestioni di Arturo Carlo Jemolo l’avevano condotto a ritenere centrale il problema del rapporto tra fede cristiana e libertà moderne. E quindi a incontrarsi con i nodi teologici, culturali e civili del modernismo. Le categorie di analisi di Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia6 sono ancora feconde oggi, con la sua capacità di collocare il fenomeno modernista nel quadro di un dibattito, in cui il problema essenziale non era il binomio ortodossia-eresia (il «modernismo» come costruito soprattutto dalla condanna ecclesiastica della «Pascendi»), ma erano piuttosto le molteplici vie di una ricerca su come costruire un nuovo rapporto tra fede cristiana e cultura moderna. Accompagnavano questi studi raccolte di documenti e corsi universitari sul rapporto Chiesa-Stato in Italia e sul ruolo della Chiesa durante il fascismo7, che erano a loro volta spunti per offrire contributi analitici e interpretativi finissimi. Si succedevano poi fondamentali studi sull’interventismo e il neutralismo cattolico nel 1915, sulla Lega democratica nazionale, su vari aspetti del popolarismo8.
La sua stagione di studi «degasperiani», degli anni ’70, fu anch’essa importante. Certo, La proposta politica di De Gasperi9 è un libro che ha solide basi documentarie e critiche, ma vi prevale nettamente l’aspetto interpretativo, prevenendo una fase di scavo archivistico e documentario che allora era ancora acerba. La sua comprensione del personaggio — che lo affascinò e lo colpì molto più di quanto era successo nella fase giovanile, in cui Scoppola aveva frequentato ambienti critici dello statista trentino, come quelli mazzolariani — rimane nitida ed efficace, anche se il clima dell’epoca e la battaglie attorno alla necessità di un nuovo rapporto della Dc con i comunisti e alla «solidarietà nazionale» sono ben presenti sullo sfondo del libro.
Negli anni ’80 Scoppola ci ha dato quell’altro libro stimolante e battagliero che è La «nuova cristianità» perduta10: vi si intravedeva una preoccupazione per la condizione della Chiesa italiana postconciliare, che si traduceva in una rilettura felice dei nessi tra Chiesa e società, tra anni Trenta e dopoguerra, in cui la domanda cruciale era sul senso storico (religioso, culturale e civile) della secolarizzazione avanzante nel paese proprio negli anni della leadership politica assunta da un partito cattolico.
L’ultima stagione della sua feconda operosità Pietro Scoppola l’ha dedicata a un lavoro di sintesi sulla storia della repubblica11. Lo stesso titolo, La repubblica dei partiti, ha avuto la fortuna di incarnare una categoria storiografica e interpretativa ormai largamente diffusa, sottolineando la centralità dei partiti di massa nella genesi della democrazia italiana. Ma anche alcuni successivi suoi studi più rapidi sul 25 aprile, sulla costituzione, sulla resistenza, hanno arricchito moltissimo il quadro delle nostre conoscenze12.
Una testimonianza civile coerente
A partire dagli anni ‘70, lo Scoppola ormai studioso affermato ha cominciato a coltivare una sempre più vivace e decisa attività civile e politica. Le cui premesse risalgono alla stessa formazione cattolica e democratica di cui abbiamo parlato, alla frequentazione dei circoli mazzolariani e soprattutto all’incontro con il gruppo de «Il Mulino». Al circolo bolognese Scoppola aderirà in modo convinto fin dagli ultimi anni ‘50, per avervi trovato un’occasione di incontro libero tra culture, oltre gli steccati laici-cattolici (una delle poche in quel periodo) e anche una sensibilità pragmatica e riformatrice che gli era assai congeniale13. L’esposizione pubblica più alta cominciò con la battaglia dei «cattolici per il no», al momento del referendum del divorzio. Era una scelta che metteva in primo piano la libertà per tutti i cittadini nei loro comportamenti civili, ma implicava anche una netta critica della conduzione democristiana ed ecclesiastica della battaglia referendaria14.
Dopo il maggio del 1974, il gruppo nato attorno a quella vicenda discusse a lungo delle ipotesi nuove che si aprivano, nella crisi palese della Dc. La scelta di alcuni di loro di candidarsi nelle liste comuniste nel 1976 non trovò l’accordo di Scoppola e altri, che nel 1977 diedero vita alla Lega Democratica15. Esperienza poco ricordata in questi giorni (fondatrice della stessa rivista «Appunti» su cui scriviamo), che rinverdiva proprio un nome tipico dei fermenti democratici tra cattolici di inizio secolo. Esperienza che doveva rappresentare un crocevia fecondo di molta parte della classe dirigente di questo paese, sviluppando un modo nuovo di far politica, a partire dai problemi e con una capacità di coinvolgimento capillare di energie giovanili e intellettuali. La Lega non era sempre compatta sulle ricadute politiche delle proprie scelte, ma alla fine approdò a sostenere criticamente il tentativo di «rinnovamento della Dc» espresso dalla segreteria Zaccagnini prima e poi (in termini senz’altro diversi) da quella De Mita16. La parabola degli «esterni» nella Dc, condotta con coerenza da Scoppola anche tramite un mandato senatoriale dal 1983 al 1987, non riuscì però a scalfire la logica interna di un partito ingessato dalla oligarchia correntizia.
Ecco allora l’orientamento di Scoppola a sostenere la necessità di una svolta per via «istituzionale» della crisi politica. La battaglia per la riforma elettorale17, il movimento referendario, l’adesione ai Popolari per la riforma. Tutta la parabola che doveva giungere al passaggio decisivo del 1993-’94. La passione per le regole non era però in lui unilaterale, disgiunta dalla attenzione «storica» ai soggetti politici e alle loro complesse vicende organizzative e umane. La crisi della Dc lo vide osservatore ormai critico e distaccato, non condividendo egli l’accanimento dell’ipotesi centrista dello stesso Ppi martinazzoliano18. Ma l’ipotesi politica nuova di costruire un incontro tra i «riformismi seri» del paese, attorno al progetto dlel’Ulivo, lo vide tornare in campo con rinnovato entusiasmo, animando anche iniziative che pensavano di accompagnare il processo con una dimensione non partitica19. Per questa sua ampia attività, non può che risultare appropriato il riferimento che ha fatto Veltroni a Pietro Scoppola come uno dei padri del Partito Democratico. Un padre esigente e severo, come si vide nella sua bella relazione al seminario di Orvieto dell’anno scorso, quando riconoscendo il ruolo dei partiti fondatori, chiedeva però a loro di avviare un grande impegno rinnovatore: « Le sfide per la democrazia oggi riguardano la possibilità di restituire fiducia nella capacità costruttiva della politica, nell’utopia democratica, di restituire a quest’ultima nuovo vigore»20. Certo, occorre vedere (in tutti i campi, non solo in politica) quanto i «figli» sapranno essere all’altezza dei «padri». Per farci sentire meno pesante il vuoto che egli ha lasciato.
Note:
1 A. Riccardi, Scoppola, la storia come complessità, in «Avvenire», 26 ottobre 2007.
2 E. Scalfari, Addio a Scoppola cattolico e democratico, «La Repubblica», 26 ottobre 2007.
3 Tra i più efficaci interventi recenti P. Scoppola, Il ritorno della religione e il pericolo del conflitto, «La Repubblica», 10 novembre 2004 (ora in Id., La coscienza e il potere, Laterza, Bari-Roma 2007, pp. 197-199).
4 P. Scoppola, La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico nell’Italia unita, intervista a cura di Giuseppe Tognon, Laterza, Bari-Roma 2005 (seconda edizione 2006).
5 Id, Dal neoguelfismo alla Democrazia cristiana, Studium, Roma 1957, poi più volte riedita.
6 Id., Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961.
7 Id., Chiesa e Stato nella storia d’Italia, Laterza, Bari-Roma 1967; Id., La Chiesa e il fascismo. Documenti e intepretazioni, Laterza, Bari-Roma 1971.
8 Raccolti poi in Id., Coscienza religiosa e democrazia nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1966.
9 Id., La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977; Id., Gli anni della costituente tra politica e storia, Il Mulino, Bologna 1980.
10 Id., La «nuova cristianità» perduta, Studium, Roma 1985.
11 Id., La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945-1990), Il Mulino, Bologna 1991, poi riedito (e aggiornato) con il titolo La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, Il Mulino, Bologna 1997.
12 Id., 25 aprile. La liberazione, Einaudi, Torino 1995; Id., La costituzione contesa, Einaudi, Torino 1998.
13 Tra gli articoli di questi anni si ricordino Id., Appunti sulla questione democristiana, in «Il Mulino», 1974, 6; Id., Funzione della mediazione e rifiuto dell’integralismo, ibid., 1979, 2.
14 Id., Le ragioni di una scelta, in Cattolici e referendum. Per una scelta di libertà, Coines, Roma 1974.
15 Lega Democratica, Atti del convegno nazionale. Roma 16-17 ottobre 1976, Roma 1976.
16 P. Scoppola, Responsabilità d’oggi, in «Appunti di cultura e di politica», 1979, 4; Un progetto politico dimezzato (e un preambolo rampante), ibid., 1980, 6/7; id., Né illusioni né disimpegno, ibid., 1982, 5; Id., Il senso di una scelta, ibid., 1983, 5; Id., De Mita non basta, ibid., 1984, 1; id., Le elezioni e il dopo, ibid., 1987, 5.
17 Id., Per la riforma elettorale: una prospettiva storico-politica, in «Il Mulino», 1984, 5; id., Nove tesi per l’alternanza, in «Appunti di cultura e di politica», 1988, 12; id., Qualche storica ragione per respingere il presidenzialismo, in «Il Mulino», 1991,3.
18 Id., Ritorno al centrismo?, in «La Repubblica», 21 ottobre 1993 (ora in La coscienza e il potere cit., pp. 66-68); id., Ipotesi per la presenza politica dei cattolici, in «Aggiornamenti sociali», 1994 , 1, pp. 53-62.
19 Id., Vent’anni dopo, in «Appunti di cultura e di politica», 1998, 1; id., Identità come ricerca. Il caso storico del cattolicesimo democratico in Italia, in Ispirazione e scelte del cristiano in Italia, in Europa, suppl. de «Il Regno», 2000, 4, pp. 8-12; id., Fare opposizione non basta, va costruita la cultura dell’Ulivo, in «La Repubblica», 16 giugno 2001 (in La coscienza e il potere cit., pp. 122-124).
20 Il testo in www.partitodemocratico.info



