P. Ginsborg, La democrazia che non c’è, Einaudi, Torino, 2006
Attraverso un confronto immaginario tra Karl Marx e John Stuart Mill — confronto che percorre l’intero saggio — Ginsborg analizza anzitutto i paradossi che hanno accompagnato la nascita e contrassegnato gli sviluppi della democrazia — quella diretta teorizzata dal collettivismo comunista e quella rappresentativa di matrice liberale — mettendone a fuoco con rigore luci e ombre, segnalandone, in altre parole, i rischi ma cogliendone anche le grandi potenzialità.
Due esperienze a confronto
Ginsborg liquida anzitutto rapidamente come fallimentare l’esperienza di democrazia diretta, messa in atto da Lenin attraverso l’istituzione dei Soviet, cioè dei consigli autogestiti di operai, contadini e soldati, concepiti come un celere apprendistato delle prassi democratiche. Egli richiama l’attenzione sulle origini di tale forma di democrazia rilevando come Lenin in Stato e rivoluzione assuma quale modello la Comune di Parigi, dove — come egli stesso scrive — «(la democrazia) si trasforma da democrazia borghese in democrazia proletaria». Ma il modello viene, in realtà, stravolto, poiché i meccanismi attivati — dall’esercizio del voto, che privilegia gli abitanti delle città e penalizza i contadini (con l’esclusione in partenza degli «sfruttatori»), alla Costituzione del 1918, dove si fa il tentativo di collegare gli organismi di partecipazione popolare (i Soviet) alle nuove istituzioni statali — lungi dal favorire un’effettiva partecipazione dal basso, hanno dato vita piuttosto a un regime autoritario governato da oligarchi appartenenti all’unico partito. Del resto la democrazia non è mai stata, secondo Ginsborg, la conditio sine qua non del marxismo bolscevico, il cui obiettivo è sempre stato l’instaurazione della «dittatura del proletariato».
Diversa è, invece, la vicenda della democrazia liberale, dove all’iniziale esclusione dal voto di alcune categorie — le donne, le persone a basso reddito, gli appartenenti ad alcune etnie o coloro che hanno opinioni politiche diverse — è subentrato un processo di integrazione, che ha condotto non solo ad estendere gradualmente a tutti il diritto al voto, ma anche a garantire, nel secondo dopoguerra, i diritti sociali — è questo il grande merito del Welfare — rendendo effettiva la possibilità di esercizio della cittadinanza. Tuttavia, paradossalmente, dopo la caduta del muro di Berlino, che ha sancito l’esclusività del modello occidentale, la democrazia è entrata in una profonda crisi, provocata da un insieme di concause, che vanno dalla delega della politica a una sfera separata di professionisti al disinteresse della maggior parte della gente come frutto della mentalità individualista dilagante, fino all’affermarsi di poteri forti — quello economico e quello dell’informazione in particolare — che tendono a subordinare a se stessi la politica trasformandola in una variabile dipendente.
A questo si deve aggiungere, sullo scenario internazionale, il mutato ruolo storico degli Usa che, perseguendo interessi di natura imperialistica, hanno alimentato, in misura sempre più consistente, le disuguaglianze a livello mondiale; mentre, a sua volta, l’Europa, che ha raggiunto una certa unità sul terreno economico, vive una situazione di stallo sul piano politico, dovuta soprattutto alla permanenza degli Stati-nazione e alla difficoltà che essi hanno a rinunciare, almeno in parte, alla loro sovranità — è questa la ragione principale delle funzioni assai limitate del parlamento e della parallela presenza di organismi decisionali non pienamente democratici — e soffre, ancor più profondamente, di una persistente difficoltà a definire le proprie basi culturali e ideali.
Famiglia, società civile e Stato democratico
Ginsborg ritiene che l’odierna crisi della democrazia non sia connessa soltanto a questioni di ingegneria istituzionale, ma vada soprattutto ricercata, oltre che nel potere sempre più ampio del grande capitale a seguito della sua concentrazione e dell’assenza quasi totale di controllo della sfera pubblica, nel venir meno della coscienza partecipativa, cioè nella scarsa presenza di cittadini autonomi e critici, impegnati attivamente nella vita pubblica.
Il superamento di questo stato di cose può venire soltanto dalla ricerca di un positivo equilibrio tra famiglia, società civile e Stato democratico. In particolare Ginsborg riconosce alla famiglia un ruolo essenziale nei processi di trasformazione politica, denunciando la situazione di chiusura e di conformismo in cui essa versa ed auspicando l’attivazione di reti associative, che la reinseriscano nel circuito della società civile e favoriscano la distribuzione del potere nonché l’attuazione di una migliore equità sociale. La coesistenza di sfera privata, economia e Stato esige la creazione di un sistema di connessione che presuppone l’adozione di precisi codici di condotta, capaci di orientare verso finalità ben definite organizzazioni con carattere fluido e informale e di consentire, di conseguenza, uno sviluppo ordinato della vita civile.
Facendo propria la tesi di Norberto Bobbio, per il quale la piena realizzazione della democrazia comporta il passaggio dalla democratizzazione dello Stato a quella della società, Ginsborg sottolinea la necessità di dare spazio alla partecipazione democratica con un reale coinvolgimento della cittadinanza non solo a livello consultivo ma deliberativo: la possibilità offerta ai cittadini di discutere le diverse questioni relative alla conduzione della vita associata e soprattutto di prendere collettivamente decisioni concorre, in misura determinante, a promuovere le virtù civiche, che sono le condizioni basilari per una buona conduzione della via associata.
Lo strumento privilegiato per attuare questo rinnovamento è il governo locale, in cui più facilmente la sfera pubblica si connette alla società e dove è possibile realizzare — come testimoniano esperienze aperte e di natura paradigmatica quali la giuria dei cittadini e il Town Meeting o l’Assemblea dei cittadini che si tiene annualmente a Porto Alegre per controllare il bilancio e decidere l’equa distribuzione delle risorse — una mescolanza feconda di democrazia rappresentativa e di democrazia partecipativa. La qualità della democrazia è infatti data, in definitiva, dall’estensione e dalla qualità della partecipazione, la quale garantisce, stimola e controlla la stessa rappresentanza, assicurando trasparenza, maturazione del senso civico e decisionalità.
Due nodi cruciali da affrontare
L’ultima parte del volume di Ginsborg è infine dedicata alla rilevazione di due nodi di natura diversa ma entrambi cruciali per lo sviluppo della democrazia oggi: il rapporto con il mondo economico e l’ancora troppo limitato coinvolgimento delle donne.
Sulla prima questione Ginsborg non esita a sottolineare con forza come gli squilibri nell’ambito della sfera economica provochino gravi disuguaglianze anche sul terreno dei diritti politici, concorrendo ad indebolire di fatto la democrazia. La democrazia economica è dunque un presupposto imprescindibile per l’attuazione di una democrazia non puramente formale ma sostanziale. Rifacendosi al pensiero di Dahl, per il quale la democrazia ha il dovere di governare anche le imprese economiche, Ginsborg rifiuta il modello dell’esproprio rivoluzionario proprio del marxismo ortodosso e sembra privilegiare un modello che sta tra quello (più tradizionale) delle socialdemocrazie, rappresentato dall’offerta di maggiore reddito e di servizi sociali a tutti, e quello, più avanzato ed oggi propugnato da molti, che prevede il coinvolgimento attivo dei cittadini nell’ambito economico mediante l’autogestione.
Sulla seconda questione — quella relativa al genere — Ginsborg sottolinea come, nonostante il riconoscimento pressoché unanime (almeno in Occidente) della parità dei diritti, la presenza della donna nelle istituzioni pubbliche che contano, come il parlamento, il governo, le segreterie dei partiti ecc., è ancora assai ristretta: i sistemi politici sono organizzazioni maschili, e la possibilità della donna di inserirsi rimane marginale. Egli non respinge, a tale riguardo, la proposta (peraltro in alcuni Paesi già attuata) di istituire delle quote fisse che ne facilitino l’accesso, ma insiste giustamente sul fatto che il problema è anzitutto culturale e richiede pertanto, per essere adeguatamente affrontato, un cambiamento di mentalità e di strutturazione della vita quotidiana, che consenta alla donna, ancora per gran parte legata alla cura della casa, di ritagliarsi spazi nuovi di indipendenza e di rintracciare nuove forme di partecipazione alla vita pubblica. A risentirne positivamente sarebbe la stessa politica grazie all’inserimento di valori capaci di modificarne in profondità la conduzione, quali l’altruismo, l’indole pacifica, la pazienza e l’inclusività.
La democrazia, che ha acquisito sul piano teorico piena autorevolezza, vive oggi sul piano concreto una situazione di difficile trapasso: il rischio non è infatti che se ne ridiscuta la plausibilità, ma che imploda dall’interno, regredendo soprattutto sul terreno sociale. Il libro di Ginsborg vuole essere un grido di allarme nei confronti di tale rischio; ma offre anche interessanti indicazioni per superarlo, segnalando la possibilità di dare vita a nuove modalità di partecipazione, capaci di coinvolgere (anche attraverso l’uso delle tecnologie oggi disponibili) un numero sempre più consistente di soggetti individuali e sociali, che, a partire dalle piccole comunità e da cicli anche limitati di intervento, concorrano a rinnovare profondamente la vita civile.
