Appunti 4_2007

Focus: Famiglia: niente è scontato 

La famiglia è diventato un tema sempre più delicato per gli equilibri sociali e culturali del paese e sempre più facile preda di facili strumentalizzazioni. Il cosiddetto Family Day delle organizzazioni cattoliche è stato seguito da una Conferenza nazionale a Firenze, promossa dal ministero competente, dedicata a questi temi. Contributi e voci significative, anche se spesso attorno alla famiglia il dibattito rischia di incartarsi in una serie di luoghi comuni o di precomprensioni rigidamente ideologiche. Qui si tenta di sfidare tali schemi mentali, con contributi di taglio diverso, che convergono nel tentare di aprire gli orizzonti. Un’analisi storico-sociale che punta a ricollocare nel lungo e nel medio periodo le trasformazioni attuali demografiche, economiche e socio-culturali, che tendiamo generalmente a leggere con la lente, spesso deformante, dell’immediato. La riflessione sull’esperienza familiare a partire dall’ansia evangelica di un parroco di città. Una considerazione attenta del problema ricorrente della «naturalità» della famiglia, in riferimento al discorso canonico e alle esigenze evangeliche. Un quadro del nuovo contesto politico-istituzionale, con la proposta, da parte del ministro responsabile Rosy Bindi, di costruire una sorta di «alleanza» per la famiglia.

Certe idee di famiglia
Giorgio Vecchio

Il catalogo dei lamenti

La famiglia è sotto attacco: il fronte laicista, la lobby degli omosessuali, il mancato appoggio dello Stato, la dissoluzione dei valori morali, l’egoismo dei coniugi e le chiusure verso la vita, il misconoscimento di quel fondamento naturale che è il matrimonio… Potremmo riempire qualche pagina con il solo elenco delle lamentele che si rincorrono e si alimentano entro e anche fuori il mondo cattolico italiano. Se poi aggiungiamo i timori e le paure ancestrali verso i cambiamenti, l’impatto con il nuovissimo fenomeno delle immigrazioni da altri continenti, il senso di una crescente insicurezza, ebbene sembra che mai come oggi i cattolici italiani si sentano assediati, anche se fortunatamente essi trovano un valido aiuto in tutti quei «laici» che vanno scoprendo la «bellezza» di un cristianesimo senza Vangelo e di una religione senza il peso della fede personale.
Ma è davvero così? Cosa c’è di vero e di reale nei lamenti? E quanto esiste di realmente inedito nella situazione della famiglia italiana di oggi? Per capirci qualcosa è necessario compiere uno sforzo continuo per separare, distinguere, districare. Cominciamo intanto a ricordare il contesto dentro il quale tutti ci stiamo agitando e che rinvia, tanto per cambiare, alla «specificità» italiana (come se le altre nazioni non avessero una propria specificità… anche su queste schematizzazioni bisognerebbe fare un po’ di igiene mentale). Intendo comunque dire che anche la crisi della famiglia trova, in modi e misure variabili, alimento nella persistente crisi della politica italiana, nella diffusa insoddisfazione della gran parte dei cittadini, nel deficit crescente di senso dello Stato e di educazione civile, nell’invecchiamento dell’intera popolazione, con il parallelo e anzi più accentuato invecchiamento della classe dirigente (non solo quella politica: si osservino le nostre università e il nostro clero…). Né è priva di effetti la scelta strategica compiuta dai vescovi italiani negli ultimi decenni. Se dunque il clima complessivo è quello di un paese sfiduciato e pessimista, mal guidato dai suoi capi, incapace di scoprire i segni positivi che pure esistono nella realtà quotidiana, se insomma si è privi di speranza, che cosa ci si aspetta che facciano le famiglie? Terremo a mente questo quadro generale, ma non ce ne occuperemo direttamente.

Le novità dell’oggi e anche di ieri

Quanto e cosa c’è di nuovo, dunque, nella famiglia italiana presa in quanto tale?
A mio avviso i fenomeni che abbiamo sotto gli occhi hanno già tutti una certa età e sono stati ampiamente descritti nei decenni scorsi. La secolarizzazione e la fragilità della famiglia sono ben visibili almeno a partire dagli anni Settanta, anche se questi aspetti si sono di certo accentuati negli ultimi quindici o venti anni. È da allora che il clima che avvolge le coppie e la famiglia si è differenziato radicalmente rispetto alle epoche precedenti. Non vedo dunque un mutamento qualitativo dei problemi, ma semmai uno quantitativo (per esempio l’aumento numerico di separazioni e divorzi). L’impressione è poi che il tutto sia fortemente enfatizzato a causa delle opposte campagne promosse dagli omosessuali — nella ricerca di una parità con gli eterosessuali — e dalla Chiesa, il tutto poi amplificato per interesse politico.
Proviamo a fare sinteticamente memoria dei principali mutamenti. Anzitutto si è dilatata in misura enorme la durata media della vita. Un fatto, questo, che ci rallegra tutti, anche se poi ogni giorno ci troviamo a protestare contro i guai della salute, i malanni crescenti, il problema dell’assistenza ad anziani o disabili. E dimentichiamo che nelle società di antico regime questi problemi non esistevano solo perché la morte spazzava via quasi tutti molto presto. Ma l’allungamento della vita ha avuto un impatto enorme sulla vita matrimoniale e di questo ci rendiamo poco conto. Nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento, dopo l’Unità, l’età media era di 51 anni (togliendo dal conto i morti sotto i cinque anni di vita: se no l’età media sarebbe stata di 37 anni!). E dunque la durata media di un matrimonio poteva aggirarsi attorno ai 20-25 anni. Oggi, con la vita media che si avvicina agli 80 anni, un matrimonio può tranquillamente durare una cinquantina d’anni in media, se non intervengono crisi coniugali e separazioni conseguenti. Questo significa da una parte che la vita coniugale può gioire per questa più lunga durata, ma d’altra parte che essa è sottoposta di più alla fragilità. In una battuta: un secolo fa, giurare amore eterno significava impegnarsi per 25 anni, oggi per 50 anni. Il che non è propriamente la stessa cosa.
Contemporaneamente si è dilatata la mobilità sociale. Abitare in una città, lavorare in un’altra è esperienza che riguarda milioni e milioni di cittadini e cittadine. Il che comporta che si può trascorrere la maggior parte della giornata in compagnia di un/una collega piuttosto che con il proprio coniuge. Anche senza ricorrere al solito ragionamento sulla televisione e sui media corruttori, è ovvio che tutto ciò aumenta a dismisura le possibilità di frequentare e conoscere persone dell’altro sesso, per di più in ambienti del tutto estranei rispetto a quelli familiari. Possiamo dire, sempre con una battuta, che è molto più facile oggi innamorarsi di un’altra persona (e rompere il matrimonio) rispetto a quanto possibile nella vecchia e statica società contadina? C’è più possibilità di scelta e meno controlli.
Un terzo elemento di novità del nostro secolo, che si è accentuato negli ultimi decenni, si riferisce al peso della questione giovanile. Il rapporto tra le generazioni è stato — vorrei dire giustamente, in quanto fattore di evoluzione — conflittuale anche nei secoli andati. Ma la contrazione sempre più forte del numero dei figli, il corrispondente aumento del carico affettivo e delle aspettative, il prolungamento della fase adolescenziale, il tipico fenomeno italiano del giovane adulto che rimanda il matrimonio e continua a convivere con i genitori, tutto ciò ha contribuito a innescare nuove forme di conflitto nella coppia di coniugi e in generale all’interno della famiglia. Con un esito paradossale: che per molti la via di uscita è stata quella di aumentare il tasso di indifferenza reciproca tra i membri di una famiglia: sotto questo profilo la rivendicazione delle più ampie libertà personali si è tradotto nel «ciascuno faccia i fatti propri». Un atteggiamento che mina alla radice lo spirito di aiuto vicendevole e di sincero affetto che è alla base di una comunità vera.
Se combiniamo gli elementi sopra richiamati con un altro fatto, facciamo un ulteriore passo avanti nell’analisi. Vivendo in una società caratterizzata dai miti dell’efficienza, del giovanilismo, della bellezza fisica — e non c’è bisogno di aggiungere altro — è del tutto evidente che il prolungamento della vita (e della salute) unito alla possibilità di frequentare liberamente una quantità di persone di ogni età moltiplica a dismisura i fattori di fragilità della coppia: dopo tutto, perché rimanere con il coniuge che invecchia o non piace più o risulta insopportabile?

Modelli culturali e strutture variabili

Sono questi i macrofenomeni (alcuni) con cui dobbiamo fare anzitutto i conti. Senza dimenticare che con essi si interseca un problema epocale sul piano culturale, con le sue premesse e le sue conseguenze di tipo antropologico ed etico. Il fatto è che non esiste più un modello indiscusso e indiscutibile di famiglia. Come sappiamo, l’idea tradizionale — quella accettata per secoli — è stata quella per cui la famiglia era un’entità «naturale» fondata sulla celebrazione di un matrimonio indissolubile e composta da una coppia eterosessuale procreatrice di numerosi figli.
La cultura occidentale e anche italiana ha via via scarnificato questa concezione: prima ha progressivamente ridotto il numero dei figli (e ciò per ben precise cause economiche e sociali, prima ancora che culturali), poi ha eliminato il principio dell’indissolubilità, in seguito e di recente ha messo in discussione l’altro principio della celebrazione pubblica del matrimonio ed è giunta alla radicale proposta — non certo maggioritaria! — di accogliere la coppia omosessuale come legittima fondatrice di una famiglia.
Questo processo è in atto da diversi decenni e, nel caso della riduzione della procreazione, da quasi due secoli (in Italia). Alla luce di questo fatto, appare ben difficile ipotizzare che siamo di fronte a una sorta di congiura pianificata per distruggere la famiglia «tradizionale». Il ricorso interpretativo a congiure, del resto, è tipico dei momenti di grande trasformazione, come avvenne — per fare un solo esempio — negli anni Trenta del Novecento, allorché per molti cattolici era in atto una «congiura» ebraica per corrompere la «tradizionale» e «sana» società cristiana.
Non si intende con ciò negare che la diffusione di mode e di modelli culturali con pretese etiche contribuisca alla crisi ed accentui la fragilità della famiglia, ma solo ribadire che le cause culturali vanno sempre condotte a quelle socio-economiche in un rapporto reciproco di causa-effetto che è ben difficile schematizzare in modo rigido.
Tanto per dire, il successo della nuova concezione sviluppatasi dall’illuminismo e dal romanticismo, quella per intenderci che ha posto l’accento sull’importanza del rapporto «privato» tra un uomo e una donna in nome del sentimento e dell’amore reciproco, si è verificato grazie al parallelo trionfo della società borghese. E ciò ha rappresentato un ennesimo motivo di fragilità della famiglia europea. Del resto, quando parliamo di famiglia «tradizionale», dobbiamo intenderci. Entro la generale accettazione della definizione che abbiamo fornito (coppia eterosessuale, matrimonio celebrato pubblicamente e indissolubile) si sono posizionate realtà diversissime. Gli studi di storia della famiglia, in tutta Europa e ovviamente anche in Italia, hanno mostrato come dal Medioevo al XX secolo siano convissute strutture molto diverse di famiglia, strettamente dipendenti dalle condizioni economiche e dai contratti agrari: il bracciante, il piccolo affittuario, il mezzadro, il proprietario terriero, l’operaio, il borghese cittadino, l’aristocratico costruivano famiglie differenti tra loro, con codici eterogenei di comportamento. In tema di vita della coppia, l’accettazione del principio dell’indissolubilità non escludeva il ricorso massiccio alla prostitute, ampiamente tollerato dalla morale corrente, come ben sappiamo da una quantità di opere letterarie e di memorialistica, riferita persino alla necessità dell’iniziazione sessuale degli adolescenti.
Che se poi vogliamo risalire più indietro nel tempo, non possiamo trascurare il «piccolo» dettaglio che la stessa regolamentazione giuridica del matrimonio — quella regolamentazione a cui siamo soliti rifarci — è avvenuta in Europa solamente nell’ultimo millennio. Praticamente per tutto il Medioevo, infatti, la famiglia è stata una famiglia di fatto, contraddistinta da una fluttuazione di rapporti e dalla difficile differenziazione tra figli «legittimi» e «illegittimi». Solo le famiglie aristocratiche e poi quelle borghesi regolavano contrattualmente e pubblicamente il matrimonio, per ovvie necessità economiche e patrimoniali. Si sa che il punto di svolta va situato nel Cinquecento, con la Chiesa cattolica che si fa protagonista vincente della battaglia per togliere il matrimonio dalla sfera privata e portarlo nella sfera pubblica, con tanto di celebrazione e di registrazione ufficiale. Tanto che — salvo per chi discende da una famiglia di tradizioni nobili — lo sforzo di ricostruzione del proprio albero genealogico si arena in genere una volta risaliti a quell’epoca. Il monopolio della Chiesa comincerà a essere incrinato dalla Rivoluzione francese e dallo Stato laico dell’Ottocento, aprendo quel lungo contenzioso su chi avesse il diritto-dovere di celebrare e di registrare i matrimoni (e quindi di regolarli normativamente).
Insomma: quell’idea «tradizionale» di matrimonio e di famiglia a cui solitamente ci rifacciamo è più una costruzione della nostra evoluzione storica e della nostra cultura e si dipana nell’arco di 4-5 secoli e non di più. E diciamo questo senza tornare più indietro alla Grecia o alla Roma antica e senza uscire dai confini dell’Europa per addentrarci in culture e società ancor più diverse. Con il che diventa arduo riferirsi alla «natura» per identificare un preciso modello storico di convivenza di coppia (ovviamente rimane fuori da questo ragionamento il discorso sulle coppie omosessuali).

Nostalgie (fasulle) del passato

Lo sforzo di relativizzazione e di storicizzazione a cui sto invitando riguarda anche altri fenomeni connessi alla vita «privata» e alla cronaca quotidiana. Pare oggi che la famiglia sia ancor più in crisi di quanto realmente sia a causa dell’enfasi che i media pongono nel denunciare le varie forme di violenze domestiche e di violazione di elementari diritti della persona. Ora è bene non dimenticare che tutti questi fenomeni hanno purtroppo accompagnato la storia dell’umanità e un bravo cristiano potrebbe «limitarsi» a rileggere le pagine dell’Antico Testamento per imbattersi in un’ampia casistica. E così è doveroso sapere che pedofilia, stupri, prostituzione forzata, aborti e infanticidi, abbandoni di bambini, pestaggi casalinghi e via discorrendo hanno segnato anche la storia della mitica società contadina europea segnata dal riconoscimento alla fede cristiana. Con l’aggravante — rispetto a oggi — che non era generalmente previsto che le vittime potessero trovare la forza di ribellarsi al proprio destino e ottenere giustizia. Ancora nelle campagne ottocentesche la giovane vittima di una violenza sessuale era destinata all’emarginazione sociale e spesso alla prostituzione come unico modo per sopravvivere. Da questo punto di vista, ovvero dallo sforzo di denunciare i colpevoli e di tutelare le vittime, la nostra tanto vituperata società ha compiuto passi avanti non da poco, grazie anche a tutti quei movimenti femministi verso i quali — senza dimenticare certo taluni eccessi — tutti, uomini compresi, dovrebbero pur nutrire qualche gratitudine.
E, per muoverci ancora su queste strade tribolate, la società abortista di oggi ha comunque mediamente garantito un trattamento migliore ai figli non voluti o abbandonati (si vadano a rivedere le statistiche sulla mortalità infantile nei brefotrofi d’antan). Una contraddizione vistosa, se si vuole, ma anche un motivo per evitare di interpretare il mondo usando l’accetta o soltanto il bianco e il nero.

La perennità della fede

Mi si lasci dire, come rapida conclusione, che in tutto questo magmatico movimento, il credente è ancora una volta chiamato a uno sforzo diuturno di discernimento. La consapevolezza della complessità delle cause dei fenomeni che si trova a vivere deve per lui abbinarsi allo sforzo di non assolutizzare modelli che sono semplicemente storici e transeunti. Avvinghiarsi in ogni circostanza al concetto di «natura» non aiuta più di tanto. Giudicare in termini radicalmente ed esclusivamente negativi il proprio tempo suona come un peccato verso lo Spirito Santo che proprio in questo tempi ci ha messi (il che non condanna la sacrosanta e tutta umana necessità di sfogarsi di tanto in tanto…).
Ancora una volta, semmai, è in gioco la necessità di trovare l’ispirazione giusta per innervare il proprio tempo, le proprie coppie, le proprie famiglie di quello spirito evangelico che costituisce il nucleo vitale della fede. In un tempo tanto mutevole, forse, più che le battaglie di piazza conta la capacità di mostrare quale sia il perenne messaggio cristiano sull’amore tra un uomo e una donna. Il che, tra l’altro, presuppone che le nostre parrocchie ripropongano al centro della propria pastorale il tema della vocazione e della spiritualità laicale comprendente a sua volta quello della vocazione e della spiritualità coniugale e familiare.
Senza nulla togliere al ruolo della politica e della legislazione (non sia mai che se ne sminuisca il ruolo proprio dalle pagine di questa rivista!), trovo più utile applicare alle famiglie cristiane l’invito fatto a tutti i cristiani dal primo Papa: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3, 14-15).