Buoni solo a destra?
Non è la prima volta che il cardinale Ruini pone la questione del rapporto tra «principi non negoziabili » per la coscienza cristiana e solidarietà politiche e di schieramento. Ma forse mai l’aveva fatto in termini così espliciti e diretti.
Proprio per il rispetto che gli portiamo e l’ascolto che gli è dovuto non possiamo cavarcela con risposte rituali o addirittura ipocrite. Del tipo: «Siamo d’accordo su tutta la linea»; «ci riserviamo di meditare le sue parole»; «non parlava a noi». No, fuor di ipocrisia, sul punto, il presidente della Cei si rivolgeva esattamente a noi, cristiani impegnati dentro l’Unione.
E dunque a noi spetta di riflettere e di approfondire in spirito di verità le questioni complesse sottese a quel monito. Con una disposizione di spirito contrassegnata da umiltà e responsabilità. L’umiltà di chi si mette in discussione a fronte di un autorevole richiamo dei pastori.
Ma, insieme, la responsabilità che su noi incombe come cristiani laici. Mi verrebbe da dire da “cristiani adulti” se, sorprendentemente, tale espressione, in auge nella stagione conciliare, non fosse oggi interpretata come presuntuosa e polemica. Segno di tempi grami per l’autonomia e la maturità del laicato. A modo di indice accenno a quattro problemi.
Il richiamo del cardinale Ruini fa perno sul concetto di «principi non negoziabili». Ne intuisco il senso. Osservo però che la politica è, per sé, mediazione: tra principi etici e concrete situazioni, tra istanze di valore ed ethos sociale, tra punti di vista dentro le coalizioni vaste e plurali sulle quali si regge il nostro (e non solo il nostro) bipolarismo.
L’autonomia delle realtà temporali e, nel nostro caso, della politica prescrive di fare i conti con la concreta configurazione delle nostre società e del nostro sistema politico.
Società contrassegnate da pluralismo etico; regime politico democratico ove, per inciso, si decide a maggioranza (da mettere insieme); coalizioni che si raccolgono intorno a programmi di governo cui i cittadinielettori conferiscono un mandato.
Secondo: quel mandato, per quanto giuridicamente non imperativo, è tuttavia politicamente e moralmente impegnativo. Il consenso degli elettori va preso sul serio. Così come va preso sul serio il vincolo di coalizione. Non solo per via del “mandato”, ma anche perché il programma di coalizione si inscrive in una visione di società in cui con convinzione ci riconosciamo.
Nel nostro caso – semplifico – in una visione di società democratica e solidaristica alternativa a quella della CdL. Certo, operando mediazioni e sintesi tra sensibilità e orientamenti diversi, ma poi sostenendo lealmente e con determinazione il proprio programma e il proprio schieramento. Non mi sentirei di sottoscrivere la rappresentazione, vagamente gentiloniana, dei cattolici come corpo separato incline a pratiche trasversali e indifferente rispetto alle coalizioni. Sarebbe la regressione a prima di Sturzo, quando i cattolici ancora non disponevano di una matura coscienza politica, che prescrive di tenere in valore le concrete solidarietà politiche e di agire in mare aperto, cordialmente cooperando con gli uomini di buona volontà che politicamente la pensano più o meno come noi e, per converso, di prendere serenamente atto delle differenze politiche che ci separano da altri cristiani. Dando vita al Partito popolare Sturzo fu chiarissimo: so bene, disse, che, sulla proposta-programma del Pp, si divideranno le forze cattoliche, ma questa è la regola della politica. Essa è, per definizione, il regno della parzialità, ove la religione è invece il regno dell’universalità.
Dunque, concludeva, io e il mio Pp dei cattolici liberal-conservatori non rispondiamo: per quanto essi siano certamente dei buoni cattolici, sul piano politico li considero “fossili”. Parole forti per dire la loro distanzaalterità politica.
Terza questione: nell’omelia tenuta a Monaco, Benedetto XVI ha fatto chiarezza su un punto decisivo, stroncando alla radice il pensiero teocon. La vera, più radicale opposizione è tra religioni (al plurale) e occidente secolarizzato.
Altro che coincidenza tra cristianesimo e occidente! In contesti così e con regimi democratici fondati sul consenso, come si può immaginare che la legislazione corrisponda esattamente a un esigente ethos cristiano? Certo, i cristiani politicamente impegnati possono e devono adoperarsi per ridurre la distanza, ma appunto sviluppando il dialogo e operando mediazioni con chi la pensa diversamente.
Ripeto: stando dentro la politica democratica, le sue regole, le sue dinamiche. In concreto, dentro i partiti e le coalizioni del bipolarismo italiano. Non è facile, comporta una tensione permanente, ma altra via non c’è.
Infine, l’enfasi ossessiva posta su alcune questioni e la omissione di altre (sarebbe il caso di dilatare il concetto di “questioni eticamente sensibili”: penso a tutto il campo dell’etica pubblica, dei diritti sociali, della pace e della giustizia internazionale) conducono, più o meno consapevolmente, ad accreditare la tesi che un cristiano coerente possa stare solo a destra. Visto che la destra, non meno agnostica e laicista nella cultura e nei comportamenti, simula opportunisticamente un ossequio alla Chiesa e ai suoi pastori. Mentre a sinistra ci si riserva di ragionarne e discuterne a viso aperto. Ma, se non sbaglio, almeno dal convegno ecclesiale di Palermo del 1995, la gerarchia italiana ha preso atto della chiusura della stagione dell’unità politico-partitica dei cattolici e ha sancito la legittimità del pluralismo. Non che questo ci esoneri dall’esaminare volta a volta la distinzione che passa tra pluralismo legittimo e unità necessaria e obbligante, ma, qui sta il punto controverso, considerando questioni quali quelle cui ho fatto cenno. Cioè facendo i conti con una complessità che segna la nostra fatica quotidiana e che forse meriterebbe non dico un sostegno e un incoraggiamento, ma almeno una paterna comprensione da parte dei pastori.
