J.P. Fitoussi, La democrazia e il mercato, tr.it., Feltrinelli, Milano 2004
L’Europa da ormai vent’anni soffre di una patologia sociale che tende a diventare cronica: la disoccupazione. L’adozione in tempi recenti di alcune terapie di carattere istituzionale come l’ammodernamento delle politiche del lavoro hanno certamente portato qualche giovamento, sempre in presenza tuttavia delle fasi più vivaci del ciclo economico. Per cui terminato l’effetto della crescita economica – trainata in Europa nell’ultimo decennio per lo più dallo sviluppo degli Stati Uniti e dei paesi asiatici e dalla iniziale svalutazione dell’euro – la malattia torna ad aggravarsi, a conferma peraltro della scarsa efficacia sul medio periodo di misure che trascurando la questione della «domanda» mirano ad aggiustamenti strutturali dal lato dell’«offerta». E’ quanto accade in questa fase; con il ristagno dell’economia a livello mondiale il tasso di occupazione europeo segna una battuta d’arresto e vede allontanarsi il traguardo del 70% previsto per il 2010 dal Consiglio di Lisbona nel 2000. La colpa però non è del destino cinico e baro, ma della politica, che in Europa ha tirato i remi in barca, lasciando nelle mani della Banca centrale europea (Bce) la guida dell’economia e confidando negli effetti virtuosi del Patto di stabilità e crescita (?) fondato sui ragionieristici parametri di Maastricht.
Un’Europa rinunciataria
C’è un economista che con argomenti seri continua ad esprimere riserve circa l’atteggiamento rinunciatario dell’Europa nel prendere in mano politicamente il suo destino. E’ Jean-Paul Fitoussi, presidente dell’Ocfe (Osservatorio francese della congiuntura economica) e segretario dell’Associazione internazionale delle Scienze economiche, che recentemente ha dato alle stampe un breve saggio dedicato al rapporto tra democrazia e mercato1, una riflessione generale su politica ed economia che tuttavia sembra trarre alimento e conferme proprio dalla incerta e contraddittoria transizione europea. Da questo punto di vista, il saggio dell’economista francese va a completare un discorso critico sulle prospettive politiche dell’Europa iniziato dallo stesso Fitoussi nel 1995 con Il dibattito proibito 2, che denunciava la falsa e pericolosa alternativa tra virtù finanziaria e sviluppo, e proseguito nel 2002 con un denso volumetto dedicato all’illusione tecnocratica avanzante in Europa dal titolo Il dittatore benevolo3.
Nel suo ultimo lavoro, Fitoussi si chiede quale sia il sistema politico maggiormente compatibile con il mercato, ricavandone, almeno in chiave teorica, risultati incerti. Guardando invece all’esperienza storica ne deduce che la democrazia – che appare più congeniale della dittatura alla stabilizzazione della crescita economica mostrando anche una correlazione tra aumento del reddito pro capite, libertà politiche e affermazione dei diritti – ha consentito le migliori performance dell’economia e un aumento diffuso del benessere, mettendo il mercato in condizione di dare un contributo positivo allo sviluppo e di essere perciò socialmente accettato: il capitalismo sopravvive «grazie e non malgrado la democrazia», per cui più che conflittuali, democrazia e mercato, nella visione di Fitoussi, sono complementari.
Una tesi che trova confutazioni sul piano teorico. Nel pensiero economico classico in particolare l’intervento della politica finalizzato alla ridistribuzione delle risorse rappresenta un’ingerenza indebita nel mercato, che va a discapito dell’efficienza economica. In questo senso si potrebbe giungere alla conclusione che non esiste alcun sistema politico compatibile con il mercato. I sostenitori della «teoria pura dell’equilibrio generale di concorrenza perfetta» addebitano proprio all’intervento statale il cattivo funzionamento del mercato e quindi il mancato raggiungimento del pieno impiego e della migliore distribuzione delle risorse (l’ottimo paretiano). Tale retorica, secondo l’autore, ha acquisito consensi nel mondo in buona parte «dell’intellighenzia», ma è un discorso da «bar sport del commercio». Infatti, si chiede Fitoussi, «ha senso ritenere ottimale un sistema economico che potrebbe adattarsi alla definitiva esclusione di una parte della popolazione?». Per giudicare se una politica economica è buona bisogna perciò valutare quanto essa rafforza la democrazia.
La crescita non è alternativa alla coesione sociale
Ma la tensione tra libertà ed uguaglianza nella «democrazia di mercato» non è risolta una volta per tutte; è infatti la politica con le sue scelte che deve garantirne l’equilibrio, nella consapevolezza che ogni paese, coerentemente con la sua storia, dovrà cercare il punto di approdo desiderabile. Se la complementarietà tra democrazia e mercato «lascia indeterminata la forma precisa della loro interazione», si può, dati alla mano, tuttavia dimostrare – sfidando uno dei più classici luoghi comuni in economia – che «le società più solidali non sono le meno performanti, avviene anzi il contrario». Un Rapporto della Commissione Europa del 19954 evidenziava, ad esempio, una correlazione rovesciata tra tasso di disoccupazione e spesa sociale: la disoccupazione cresce nei paesi che spendono meno per il Welfare (Spagna) ed è più bassa laddove si spende di più (Paesi Bassi e Danimarca). Inoltre l’intreccio virtuoso tra Pil pro-capite e la percentuale del Pil destinata agli investimenti in capitale umano, dimostra che chi è più ricco tra i paesi europei lo è grazie ad un capitale umano più qualificato. Altro che trade-off tra crescita economica e protezione sociale!
I fatti dunque smentiscono quella retorica della globalizzazione alimentata dall’ortodossia monetarista che anima le istituzioni finanziarie internazionali (Fmi, Banca Mondiale, ecc.) e che cerca di imporre dall’esterno dei modelli «virtuosi» ai governi nazionali ponendo loro una serie di vincoli alle politiche economiche (ridistributive). Di qui l’attacco di Joseph Stiglitz al cosiddetto «consenso di Washington»5, la dottrina neoliberista che secondo l’economista americano ha penalizzato più che aiutare molti paesi emergenti, cui fa eco la critica di Fitoussi all’estensione su larga scala della stessa ricetta che ha come cardine l’arretramento del pubblico. Un trend che non risparmia l’Europa che vede segnata la sua politica economica da quell’ideologia che in altra sede lo stesso Fitoussi ha definito «il consenso di Bruxelles-Francoforte-Washington»6. In tempi di globalizzazione, la ricetta monetarista avvalora la tesi «della sostituibilità fra mercato e democrazia che fino ad oggi ha dominato sull’apertura delle economie». Tuttavia, conclude Fitoussi, «l’apertura, se comporta numerosi vantaggi, aumenta di fatto il grado di incertezza economica ed esige un coinvolgimento degli stati per compensarlo».
La teoria economica non conosce neutralità e, come amava ricordare un grande economista come Federico Caffè, non è immune dai giudizi di valore, quindi non è proponibile come scientifico ciò che è ideologico. In questa prospettiva, per Fitoussi, le politiche economiche devono tornare a formulare obiettivi finali – il pieno impiego e la crescita dei livelli di vita – e non, come accade oggi, obiettivi intermedi (parità monetaria, equilibrio di bilancio, privatizzazioni, flessibilità dei mercati), ripristinando la corretta gerarchia tra democrazia e mercato (tra fini e mezzi, potremmo dire). Scopriremmo peraltro quanto siano ancora attuali le parole di Keynes che nella sua Teoria Generale datata 1936 affermava testualmente: «I due vizi capitali del mondo economico in cui viviamo sono la mancanza di un impiego sicuro e la ripartizione del benessere e del reddito, arbitraria e priva di equità». Dunque: che il dibattito proibito si riapra!
1 J. P. Fitoussi, La democratie et le marchè, Editiones Grasset & Fasquelle, Paris 2004, tr. it. La democrazia e il mercato, Feltrinelli, Milano 2004.
2 J.P. Fitoussi, Le debat interdit. Monnaie, Europe, pauvreté, Edition Arlèa, Paris 1995, tr. it. Il dibattito proibito. Moneta, Europa, povertà, Il Mulino, Bologna 1995.
3 J.P. Fitoussi, La règle et la choix. De la souveraineté économique en Europe, Seuil, Paris 2002, tr. it. Il dittatore benevolo, Il Mulino, Bologna 2003.
4 Il tema viene ripreso in A. Supiot (a cura di), Au-delà de l'emploi, Flammarion, Paris 1999, tr. it. di P. Barbieri ed E. Mingione, Il futuro del lavoro, Carocci, Roma 2003.
5 J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, tr. it. Einaudi, Torino 2003
6 J.P. Fitoussi, Se la tesi di Keynes resiste alle mode, in «La Repubblica», 24 giugno 2004.
