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Debolezze della politica e urgenze della storia: la prospettiva europea (7 ottobre 2000)

Grandi manovre sono in corso nell’orizzonte europeo. Il “cantiere permanente” delle istituzioni comunitarie ha conosciuto un soprassalto: c’è all’ordine del giorno il problema di una riforma importante. Il ministro degli esteri tedesco Fischer ha posto con chiarezza il tema di una costituzione federale europea. E’ poi entrata a regime la moneta unica, con le sue performance talmente discusse da avere continuamente la prima pagina dei giornali, e con i suoi importanti addentellati di politica economica e sociale. Infine, sono sempre più frequenti i casi in cui si discute di normative od orientamenti europei rispetto a varie delicate questioni legislative interne: la comunità non è più solo una questione di astruse trattative politiche in campo agricolo. L’Europa sembra contare sempre più direttamente nella vita quotidiana delle popolazioni. D’altra parte c’è però anche da registrare una sensazione diffusa di stanchezza e di disinteresse nell’opinione pubblica verso questa dimensione, che appare troppe volte consegnata soltanto alla vuota retorica. Anche nel mondo cattolico e nella Chiesa italiana il tradizionale europeismo sembra in una fase di stanca. Soprattutto, c’è l’idea che nei prossimi pochi mesi l’Unione si giochi moltissimo della sua residua credibilità. E’ possibile riprendere a ragionare a tutto campo della questione europea, di fronte a tali contraddittorie percezioni?


1. Quale nuovo orizzonte politico dell’integrazione?

L’integrazione europea nella sua storia cinquantennale è stata soprattutto percepita come una questione economica, ma in realtà ha sempre avuto un significato politico. Inizialmente, era quello di permettere l’integrazione dei diversi Stati nazionali in un mondo economicamente unito a guida americana, salvaguardando le sovranità tradizionali scosse dalla tragedia della seconda guerra mondiale e permettendo quindi ai singoli governi di controllare il processo che dava vita a una nuova identità regionale ben delimitata. L’integrazione reale ha assunto quindi un volto politico ben diverso da quello auspicato dagli europeisti. Dopo la lenta progressione che ha portato alla moneta unica, il problema del peso politico internazionale del nuovo soggetto chiamato Unione europea è diventato molto più importante. La moneta unica è stata un forte segnale a livello mondiale della volontà dei paesi “intermedi” europei di non farsi sottomettere dai mercati finanziari e di diventare, collettivamente, un punto di riferimento globale, come da singoli non possono più essere. Ma qui nasce appunto la domanda: è possibile realizzare questa aspettativa finché la moneta e il mercato unico non hanno un visibile corrispettivo politico ? Una qualche forma di governo autorevole e riconosciuta? La speranza degli europeisti era proprio che la forzatura raggiunta con la moneta portasse di per sé, quasi meccanicamente, a dover creare un potere politico europeo: finora essa è stata delusa, anche se il dibattito è tutto ancora aperto, e la domanda implicita nella realizzazione dell’euro resterà elusa finché non ci sarà un esplicito impegno in questa direzione.


2. Una costituzione per l’Europa

Naturalmente il primo passo della creazione di un governo democratico europeo è il consolidamento necessario di un tessuto costituzionale. Un processo costituente è indispensabile, nel senso pieno del termine: occorre una costituzione come insieme di regole essenziali e come stesura di un patto riguardante un progetto politico condiviso. Oggi si confrontano le posizioni di chi vuole sostanzialmente limitare i mutamenti nell’orizzonte dei vecchi trattati intergovernativi, e di chi invece vuol formalizzare un salto di qualità di segno federale, creando istituzioni che rappresentino visibilmente sia gli Stati nazionali (che continuerebbero ovviamente a esistere) che i popoli europei. La proposta Fischer va proprio in questa direzione, identificando un esecutivo europeo competente in poche materie, un presidente eletto direttamente dai cittadini e un parlamento bicamerale con una camera rappresentante i parlamenti nazionali. Come spesso nella storia succede, questo salto di qualità non potrà però avvenire senza una forte pressione politica: occorrerebbero mobilitazioni popolari, sostenute da parte di chi sappia spiegare la necessità del nuovo passaggio politico per il bene degli europei. Tale scelta dovrebbe apparire l’unico modo politico sensato per aggredire il problema della perdita progressiva di sovranità degli Stati e dei governi di fronte agli imperativi della globalizzazione economica. Altrimenti, la questione resterà un vago sogno di astratti pensatori, oppure una diatriba tra spezzoni  di classe politica (i ministri nazionali versus gli europarlamentari) che lottano per ritagliarsi maggiore influenza.


3. La carta dei diritti del cittadino europeo

Premessa di ogni mutamento, sarà il rafforzamento di un messaggio “ideologico” forte, come quello dell’identità europea, espresso in una “carta dei diritti” dei cittadini europei. Questo sarà un banco di prova che l’identità europea non è solo una mozione degli affetti, ma si distingue da altri modelli sociali, più o meno rispettabili, che si confrontano nel mondo contemporaneo. Una bozza di tale carta è stata elaborata da parte di un comitato nominato dalle istituzioni comunitarie, e dovrebbe essere approvata entro il 2000. Sappiamo che  nel gruppo si lavoro si è aperto un confronto tra visioni più o meno ampie dei diritti (secondo le diverse tradizioni costituzionali europee) e anche sul peso che la carta dovrà avere: una vera e propria  base giuridica costituzionale o solo una dichiarazione d’intenti? Ora abbiamo un testo su cui discutere: il dibattito sta crescendo nell’opinione pubblica, ma a nostro parere deve allargarsi ancora molto. Abbiamo apprezzato nel testo l’ampiezza dei diritti personali (anche se non con un’affermazione forte della totalità della persona come centro di relazioni); qualificante è la netta presa di posizione sul divieto della pena di morte (e servirà di fronte a molti paesi “in lista d’attesa” che prevedono ancora tale istituto); il capitolo sui diritti all’uguaglianza sembra un po’ troppo limitato alla difesa della parità di genere e alla tutela delle diversità da ogni discriminazione, mentre non identifica un diritto a politiche attive di riduzione degli ostacoli all’uguaglianza reale; ampio e dettagliato il catalogo dei diritti “sociali” (fino a un forte articolo 33 che parla di “diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di mezzi sufficienti”); ancora troppo generico appare invece il riferimento al diritto di protezione sociale della famiglia. Vedremo adesso l’iter istituzionale e la forza giuridica che assumerà la carta. A nostro parere, però, è più importante che la carta abbia alla fine contenuti seri e profondi, rappresentando al meglio non tanto un comune sentire europeo medio, ma una linea di tendenza forte, che distingua con chiarezza il volto civile di questa Europa da costruire. Se così sarà, la sua forza si imporrà progressivamente.


4. Politica economica e qualità della sovranità europea

Un settore delicato su cui già ora le autorità europee (dalla Commissione ai vertici della Banca centrale, al consiglio europeo) potrebbero fare di più, è quello di un indirizzo coerente di politica economica per tutta l’area europea. Il Libro bianco Delors del 1993 aveva posto la questione, identificando la questione degli investimenti nelle grandi reti infrastrutturali come cruciale per smuovere un coerente impegno politico dei governi. Il dibattito da allora si è fermato, e hanno preso il sopravvento posizioni monetariste che identificano il ruolo delle autorità europee nella difesa del valore della moneta, nella tutela del rigore finanziario dei governi e nella prevenzione dell’inflazione (tra l’altro, mostrando una credibilità scarsa presso gli speculatori, dato il crollo del valore dell’euro). Se invece si vuole identificare un ruolo trainante dell’Europa, occorre una decisa svolta nel senso di promozione di disegni di sviluppo, orientati a favorire la crescita dell’occupazione e quindi una piattaforma di equità sociale, verso cui indirizzare la recente crescita economica europea, anche per garantire stabilità ad economie che altrimenti dipendono troppo dalle fluttuazioni extra-europee. E’ un terreno sul quale i governi nazionali, costretti dal rigore di Maastricht e dalle reprimende della Banca centrale, sono silenziosi, e che quindi solo le istituzioni europee, dove fossero dotate del necessario slancio e della parallela autorevolezza, potrebbero smuovere. Anche in questo caso, aiuterebbe naturalmente questa prospettiva una legittimazione democratica delle istituzioni maggiore dell’attuale, dove spesso le decisioni importanti sono nelle mani di tecnici come quelli della Banca centrale.


5. Allargamento dell’Unione ed efficacia del suo governo

L’allargamento dell’Unione verso i paesi dell’Europa centrale e orientale è una necessità storica (anzi, un compito cui si giunge con drammatico ritardo rispetto agli eventi del post-‘89) e servirà ad ancorare solidamente le loro transizioni, a tratti incerte, all’Europa democratica. Ma è chiaro che una comunità di venticinque paesi non potrà funzionare con le stesse regole minimali e garantiste di quella attuale. C’è quindi un dilemma aperto tra approfondimento e allargamento della comunità. Per uscirne, siccome il salto di qualità politico dell’Unione appare lontano, si è inventata l’idea delle “cooperazioni rafforzate”: alcuni paesi possono andare oltre il grado di cooperazione minimale che viene deciso all’unanimità (oppure a maggioranza qualificata), rendendo più profonda la loro integrazione in alcuni settori particolari (la convenzione di Schengen sulle frontiere è già oggi qualcosa di simile). E’ però chiaro che questa regola potrebbe configurare di fatto due (o più) unioni diverse, con un grande mercato unico di dimensioni continentali, e un più ristretto nucleo di paesi, vicini a una sorta di vera federazione. La qualità e l’estensione di questo nucleo è tutta da verificare. Naturalmente, un’Europa a “geometria variabile” avrà un peso internazionale proporzionale all’estensione e alla coesione del suo nucleo più solido. Un’attiva presenza italiana in questo processo centrale sarebbe comunque della maggiore importanza.


6. Affrontare i nuovi conflitti in Europa e fuori

Abbiamo sperimentato nelle recenti crisi balcaniche l’impotenza (alcuni hanno detto l’inesistenza in politica estera) dell’Unione. Quelle tragiche vicende non sembrano aver insegnato molto, dato che non si sono fatti molti passi avanti per coordinare le politiche dei vari paesi. Del resto, è evidente che fin quando non ci sarà un potere politico europeo serio, non potrà esserci l’autorità di esercitare una politica estera comune. La divisione delle competenze, con la recente creazione di un responsabile della politica estera e di sicurezza, dipendente dal consiglio europeo e quindi al di fuori della commissione, non aiuta la coerenza in materia. Ma attualmente ci sembra anche mancare un minimo dibattito sul ruolo della ventilata politica comune di fronte alle crisi internazionali, sui criteri da seguire e sui mezzi da utilizzare per depotenziare o risolvere le crisi. Siccome il tema è delicatissimo,  vorremmo un’Europa che identificasse anche su questo terreno un proprio modello di gestione delle crisi, favorendo tutte le politiche attive e preventive nei confronti delle situazioni di rischio, circoscrivendo e limitando al massimo l’uso della forza, nel realismo necessario che impone di agire per prevenire le aggressioni e le violazioni dei diritti dell’uomo ovunque si profilino.


7. Integrazione degli immigrati e lotta alla xenofobia

Un’ulteriore punto di verifica seria del modello europeo dovrà essere la politica per l’integrazione delle generazioni di immigrati che arrivano e arriveranno sempre più numerosi sul continente, per le richieste di un mercato del lavoro che genera offerta di occupazione non saturata da giovani europei. Per ora si è impostata soprattutto la pur necessaria cooperazione nel controllo delle frontiere e dell’immigrazioni illegale. A quando una programmazione  e una cooperazione europea per la creazione di progetti di integrazione e per la definizione di standard di cittadinanza per gli immigrati? Teniamo conto che il tema è centrale, soprattutto di fronte alle ricorrenti minacce di reazioni xenofobe, da cui quasi tutti i paesi sono segnati: meno si perseguiranno queste politiche, più problemi conoscerà l’integrazione degli immigrati che vengono da paesi esterni all’Unione. Il caso austriaco è stato in questa direzione un segnale interessante, sia perché è stato giustamente sollevato il problema dell’influsso sull’Europa delle posizioni di una forza politica al governo in un singolo paese, sia perché la gestione politica e gli esiti del braccio di ferro tra Austria ed Europa si sono rivelati fallimentari per la credibilità delle istituzioni comunitarie. Soprattutto su questo delicato terreno, se occorre certamente vigilanza, occorre anche esercitarla con efficacia istituzionale e politica.


8. Un bipolarismo politico europeo?

C’è un altro terreno su cui le vicende europee influiscono sempre più chiaramente anche all’interno dei diversi paesi: quello dei raggruppamenti partitici e delle configurazioni dei sistemi politici, con la dialettica tendenzialmente bipolare che regge la maggioranza di questi paesi e anche il parlamento europeo. Se il modello della contesa dualista tra socialismo e popolarismo diventerà veramente sempre più diffuso, le connotazioni particolari dei due raggruppamenti (ad esempio con la mutazione genetica del Ppe, che rapidamente si è aperto alle destre moderate di ogni segno e colore, ma anche con la lunga transizione in corso nel Pse), saranno sempre più importanti e andranno attentamente vagliate. In questo quadro, per quanto più ci interessa, dovrà essere ripensata profondamente la stessa modalità di esprimere in politica un’ispirazione cristiana. Non ci sarà più un solo modello partitico, ma si dovrà verificare attentamente la capacità di singoli e gruppi di esprimere una serie di posizioni politiche difese con libertà laicale, ma evidentemente coerenti con la matrice profonda delle fede. Un compito non facile, ma grandemente stimolante.

In sintesi, ci pare che tutte queste riflessioni inducano a considerare in modo più attento le dinamiche europee, che diventeranno sempre più importanti per la scena politica. Il dibattito su di esse va allargato dalla ristretta sfera degli addetti ai lavori, fino a un autentico coinvolgimento sociale. In questo dibattito sarà decisiva la valutazione sui mutamenti propriamente politici della struttura democratica europea. Questa è la scommessa della prossima generazione, su cui occorre mobilitare risorse, se solo ci fossero le condizioni per investire su scala europea i  valori fondamentali di una politica rinnovata.

7 ottobre 2000