Città dell’uomo notizie – aprile-giugno 2000 – anno XII, n. 2
Dove conduce la Terza via
Il convegno annuale di Città dell'uomo
Non viviamo in un mondo in cui si discuta molto di progetti. Sembra più facile adattarsi alla convinzione che “non ci siano alternative” all’esistente, alle (presunte) ferree leggi della compatibilità economica. Per questo la nostra associazione cerca di continuare a tener vivo uno spazio di discussione, interloquendo con quei luoghi della ricerca culturale che aprono alla progettualità politica. Uno dei più significativi in tempi recenti, almeno per l’eco pubblica che ha suscitato, è il dibattito sulla cosiddetta “terza via”, come è stato proposto dal sociologo inglese Anthony Giddens e rilanciato dai fitti momenti di incontro tra leader politici e capi di governo “democratici e progressisti” europei e americani (da Clinton a Blair, da Cardoso a Schroeder, da D’Alema al pur meno entusiasta Jospin). Che poi la cronaca contingente delle ultime settimane indichi l’esaurimento del periodo di moda dell’espressione, non ci è sembrato un buon motivo per non misurarci con le idee contenute nella sua versione originale.
Terza via e retorica politica
La ricerca di una terza via tra due opposti è un luogo comune della retorica politica da molto tempo, ma oggi si applica in un modo nuovo, non più nella logica delle alternative “di sistema”, ma alle modalità di gestione delle società democratiche con economia di mercato. Si tratterebbe quindi – in questa nuova versione della formula – di cercare una rifondazione della tradizione socialdemocratica, capace di evitare gli scogli di due altre “vie”: la “vecchia sinistra” e la “nuova destra”, come le chiama Giddens. In sostanza, di non irrigidirsi nella difesa del modello fordista-keynesiano del dopoguerra, fatto proprio da molte socialdemocrazie e in chiara difficoltà negli ultimi venticinque anni, ma nello stesso tempo combattere la sfida del neoliberismo reaganiano-thatcheriano sul terreno delle nuove trasformazioni economiche e sociali.
Alla “terza via” Città dell’Uomo ha dedicato un incontro di studio sabato 3 giugno. Tutto ciò che si muove nell’area che oggi si chiama con una locuzione topografica (peraltro un po’ sconfortante) “centro-sinistra” mondiale, interessa infatti coloro che vogliono prendere sul serio l’intenzione riformatrice della tradizione cattolico-democratica, confortata dal progetto della Costituzione del 1948, nella lettura che ne hanno sempre dato Dossetti e Lazzati. L’intenzione era quindi operare una critica che sviscerasse quello che in questa operazione è solo marketing politico e polvere mediatica, dalla sostanza della riflessione culturale. E’ emerso un dibattito articolato, dopo una introduzione del presidente Guido Formigoni e le due relazioni dell’economista Gianni Geroldi e del politologo Alfio Mastropaolo. Quali sono i punti più critici di questa discussione?
Globalizzazione economico-culturale e nuovo individualismo
Giddens e i suoi epigoni insistono sul fatto che la società contemporanea è molto cambiata negli ultimi decenni, per gli effetti della globalizzazione economico-culturale, ma soprattutto per la crescita di un nuovo individualismo. Ci troveremmo ormai a vivere in una società “riflessiva”, fatta di individui sempre più liberi che devono scoprire un nuovo equilibrio tra rischio e sicurezze, tra autonomia e solidarietà. Su questo sfondo si collocherebbe la necessità della politica di accompagnare il processo di cambiamento con uno Stato più efficiente, un Welfare State meno assistenziale e più mirato alla formazione di “capacità e opportunità”, e un più attento intreccio tra dimensione locale, nazionale e sovrannazionale. Lo spostamento di poteri, tipico della globalizzazione, non annullerebbe peraltro il ruolo dello Stato nel contrastare il “fondamentalismo di mercato”. L’obiettivo della piena cittadinanza, però, dovrebbe essere realizzato soprattutto investendo sul sostegno e la valorizzazione delle formazioni comunitarie e sociali spontanee cresciute nel corpo sociale (dalla famiglia ai gruppi di quartiere, dal volontariato alle comunità scolastiche), cui andrebbe affidata gran parte delle funzioni di coesione sociale, per ridurre “l’esclusione” dei più deboli dai meccanismi produttivi e sociali. Inoltre, i riformatori devono assumere con decisione nuove-vecchie questioni come quelle definite di “politica della vita” (ecologia, bioetica, famiglia, autonomie locali), che non permettono di ricorrere facilmente alla classica distinzione destra-sinistra e attengono piuttosto alla conservazione delle strutture essenziali della convivenza.
Verso un nuovo assetto della cittadinanza democratica
La linea di riflessione – che qui abbiamo solo sinteticamente delineato – è interessante per chi muove da una cultura personalista attenta all’integrazione delle persone in un tessuto sociale ispirato da valori di solidarietà. La prospettiva comunitaria indubbiamente incrocia istanze essenziali della cultura cattolica riformatrice, la quale ha sempre criticato l’isolamento del cittadino – individuo di fronte allo Stato e il conseguente paternalismo pubblico. L’indicazione dell’orizzonte della “politica della vita” è suggestivo, anche se poco determinato, perché non entra ancora nei conflitti di valori e di orientamento che quei terreni implicano.
Che tutti questi spunti innovativi vengano dall’innovazione di una cultura come quella socialdemocratica (in particolare nella sua versione laburista) non è affatto trascurabile. Se si affermasse seriamente l’idea di una serie di investimenti sociali – come Giddens sostiene – per la democrazia associativa e la creazione di maggiori opportunità per tutti, sarebbe la premessa di un’evoluzione seria delle politiche di Welfare.
Restano però forti dubbi, aperti dalla provocazione della “terza via”, che hanno stimolato la discussione. E’ proprio vero, innanzitutto, che bisogna considerare i cambiamenti storici degli ultimi anni come semplici dati asettici con cui fare i conti, oppure non sono anch’esse tendenze pregnanti e ricche di implicazioni ideologiche? Forse una critica di questi temi, a partire dalla ridondante retorica della globalizzazione, aiuterebbe a collocare su un terreno più solido e meno verbalistico molti progetti politici. Nelle tendenze attuali della politica e dei mercati c’è chi vince e chi perde, chi afferma i propri interessi e chi viene consolato con la cultura dei McDonalds. Una sinistra all’altezza della sua retorica non può trascurare tutto ciò.
Legame sociale e responsabilità della politica
Non c’è poi forse in tale linea di pensiero una sottovalutazione della dimensione politica in senso proprio (prima e oltre la mera attività di governo)? Non si tratta di constatare realisticamente che spesso la realtà comunitaria giustamente evocata è purtroppo in fortissima difficoltà, proprio per la secolarizzazione crescente e la crisi dilagante dei legami familiari e sociali? Sarebbe allora compito della politica incrociare questi processi reali, per costruire e dare nuovo respiro a una visione comunitaria più ampia, come orizzonte da inventare, non solo dimensione da proteggere.
La fiducia di Giddens nell’autonomia e nella capacità di rischio dei cittadini deve inoltre fare i conti con una fortissima insicurezza collettiva che si diffonde nei gangli della società contemporanea. Essa chiede risposte tranquillizzanti che paradossalmente la stessa destra fornisce meglio di una sinistra troppo impegnata a convivere con la competitività del modello economico postfordista.
Infine, non è un po’ troppo ottimista l’assunzione per cui ogni società distilla spontaneamente un’idea di giustizia? Ogni equilibrio in realtà si regge su situazioni nazionali e locali particolarissime, in cui si traspare un criterio distributivo che a sua volta rimanda a un’idea di società, a un’idea normativa di cosa sia giustizia, storicamente determinata e ideologicamente connotata. Su queste domande occorre tornare a discutere e lavorare.
