Appunti 6_2006
Cristianesimo e religione civile
Pietro Scoppola
La conoscenza nel mondo cattolico italiano della democrazia americana — nella quale ha un ruolo importante l’idea di una religione civile — è stata a lungo scarsa e quella americana a lungo è stata considerata una democrazia di seconda categoria rispetto a quella che i nostri maestri venivano elaborando sulla base delle premesse tomistiche e sulla base dell’influenza del pensiero di Maritain. Quindi questo spiega perché Lazzati non usò mai l’espressione religione civile, e io affermo che, date le premesse, è bene non usarla, o se la si usa bisogna continuamente chiarire se ci si riferisce al concetto francese o al concetto americano. C’è una differenza fondamentale quando si parla di laicità tra concetto di laicità che viene dalla tradizione francese e quello che viene dalla tradizione anglosassone. Nella tradizione francese la laicità è un’ideologia dello Stato, di cui lo Stato è portatore, quindi è un qualcosa che somiglia a una religione dello Stato. Mentre nella tradizione americana la laicità è legata alla incompetenza dello Stato in materia religiosa. Voi sapete che il primo emendamento approvato quattro anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione americana stabilisce nel I articolo che il Congresso non può legiferare in materia di religione. Il principio della incompetenza dello Stato in materia religiosa è il principio della laicità americana.
Ho fatto questo accenno per dire che Lazzati è un’altra cosa. Per Lazzati il rapporto fra Dio e politica, fra cristianesimo e politica, ha bisogno di una mediazione. Il concetto di mediazione è molto importante nella riflessione di Lazzati e sarà poi il motivo dello scontro con le cosiddette culture della presenza. Non laicità in astratto in senso ideologico, ma laici in concreto, portatori di una responsabilità e di un’autonomia anche rispetto all’autorità religiosa. «Città dell’uomo» fu concepita da lui come strumento utile della formazione dei laici a queste responsabilità. Lazzati, nel momento in cui lascia la politica al termine della prima legislatura, concepisce questa idea, questo disegno, e già nel 1958-59 lancia un invito a dar vita a questa iniziativa. E poi i compiti istituzionali, il fatto di essere stato per tanti anni rettore, gli impedirono di dar corso a questa sua intuizione. Tuttavia anche come rettore dell’Università Cattolica cercò di far fronte a questa esigenza di formazione a una cittadinanza responsabile, a una laicità responsabile. Ricordiamo i corsi di formazione della Cattolica. Ricordo in particolare quello del 1977 a Verona che fu occasione di uno scontro abbastanza vivace con «L’Osservatore romano» e Lazzati ne soffrì molto. Ci fu poi l’accusa di «protestantesimo», un’accusa che culturalmente non aveva alcun fondamento. Appena lasciata l’Università cattolica come rettore Lazzati riprese in mano il suo disegno all’inizio del 1984 in una serie incontri che tenemmo presso casa «Tra noi», incontri dai quali poi si distaccò perché erano troppo interni al progetto di preparare il Convegno di Loreto.
La crisi e la Città dell’uomo
Il suo disegno era un altro, quello a cui diede forma negli ultimi anni della sua vita con la nascita nel 1985, a pochi mesi dalla morte, di Città dell’uomo. Negli ultimi anni sono stato abbastanza vicino a Lazzati, l’ho incontrato più volte, c’è stato con lui un rapporto abbastanza intenso e profondo. Adesso vi leggo una citazione dell’intervista che con Leopoldo Elia facemmo a Lazzati e a Dossetti. Dossetti fece la parte del leone, si prese gran parte dell’intervista ma alla fine Lazzati volle esprimere ed espresse il suo punto di vista, il suo giudizio. Aveva già subito la pesante operazione contro il male che poi lo ha portato alla morte, ricordo ancora la sua voce flebile: «Quel De Gasperi di cui noi sembrava fossimo grandi oppositori in realtà poi aveva una sua linea a cui credeva, era una linea più o meno attuabile però ce l’aveva, poi ci fu, ma posso sbagliarmi poiché io sono ancora meno politico di Dossetti, il tentativo di Moro di portare avanti una certa linea gradualmente, progressivamente, cercando di farla entrare nelle coscienze ma non avendo nessun supporto. Questo supporto non c’è stato né da parte della Chiesa né da parte di chi avrebbe dovuto e potuto fare qualche cosa in questo senso. Il supporto era un supporto culturale, il supporto della formazione delle coscienze a una stagione politica nuova che aprendo un rapporto nuovo con le sinistre di allora — siamo nell’epoca del centro sinistra prima e dopo il dialogo con i comunisti, e Lazzati denuncia la mancanza di questa azione preparatoria — morto Moro nel modo in cui è morto e non per niente è morto lui oggi non c’è più nulla — siamo nel 1984 — non so in che cosa consista questo cosiddetto rinnovamento […]. la Chiesa ha preso alcuni atteggiamenti soprattutto nel documento dell’ottobre 1981, La Chiesa e le prospettive del Paese, a leggerlo è un bel documento però ritorno a dire è nel cassetto. Chi l’ha letto? Chi si è preoccupato di tradurre quel documento in un minimo di azione, di attività, di promozione per cercare di realizzare il desiderio espresso in quel documento e cioè che i cattolici, e lì si parla di laici cattolici, siano non degli spettatori ma degli attori. Il documento non parla solo dei protagonisti della vita politica, dice di laici cattolici, di per sé quel documento io lo sottoscriverei»1.
Siamo nel 1978, con il problema dei rapporti tra Cei e papa, c’è il nuovo papa. «Non sono certo i migliori per quanto riesco a capire, il papa non si rende conto della situazione italiana, chiuso come è nel modello della sua esperienza morale, lontanissima da quella del nostro Paese. Non per niente appoggia quei movimenti, Cl e Opus Dei, che in fondo cercano di interpretare quel disegno e da qui i corti circuiti tra fede e vita politica, le famose autonomie delle realtà temporali negate, per cui nella fede tutto è assorbito e la Cei sente che questo non va per l’Italia ma contro il papa non ribatte, io invece ritengo che i vescovi siano i diretti responsabili dell’azione pastorale delle loro diocesi, pur avendo fiducia nella garanzia pontifica dell’unità della dottrina e della morale di cui è responsabile il papa. Ed allora questa situazione, questo degrado continuo porta a un disinteresse, un disgusto da parte dei cattolici, io sono preoccupato della situazione dei giovani: ma allora dove andiamo? io non so cosa rispondere»2. Mi ricordo questa voce stanca, mi sembrò assurdo che quest’uomo alla fine della vita gravemente malato concepisse questo disegno: «E quindi adesso io non so se è una pazzia o meno, non direi. Ma penserei di fare un servizio culturale che dovrebbe essere di educazione al pensiero politico, però sono estremamente perplesso»3. E poi invece l’ha fatto e poco dopo è nata Città dell’uomo nella quale riponeva tante speranze. Questa intervista che facemmo con Leopoldo Elia a Dossetti e Lazzati nel novembre 1984 è stata pubblicata solo nel 2003.
Ed oggi cosa resta?
A dieci anni dalla sua morte dobbiamo interrogarci a che punto siamo rispetto a queste preoccupazioni che Lazzati esponeva allora con tanta passione. È tornato in scena, e non lo era allora, il fattore religioso. Proprio negli ultimi decenni del secolo scorso il fattore religioso — secondo le previsioni che si facevano — sembrava destinato, per l’effetto dei progressi tecnologici, in qualche modo a scomparire e a svanire. Era una convinzione diffusa quella di una scomparsa dalla scena della storia del fattore religioso. Invece il fattore religioso è tornato prepotente sulla scena nel bene e nel male, perché è tornato sulla scena anche nelle forme del fondamentalismo islamico. Quale è la risposta cristiana a questo ritorno del fattore religioso?
C’è stata una risposta alta positiva di Giovanni Paolo II, che più di qualsiasi leader politico è stata la figura che più ha dominato la scena di fine millennio. Ma la risposta cristiana è stata anche, se non fondamentalista, almeno tentata di integralismo, tentata da un uso politico della religione fatto da laici, ai quali alcuni settori della Chiesa si sono dimostrati sensibili. Il fenomeno c’è, è in atto, e ha radici antiche che si chiamano Action française. Tuttavia dopo il Concilio, e qui sono meno pessimista di Lazzati, si è sviluppata nella nostra cattolicità anche una fede più adulta. La partecipazione è aumentata, le messe sono più sentite, c’è più partecipazione, una centralità della Bibbia nella vita cristiana che non esisteva allora, una fede più adulta, di scelta, una fede che comporta il rischio della scelta, la consapevolezza, perché credere è anche scegliere con il rischio, con la consapevolezza della legittimità del dubbio. È un cristianesimo più adulto, che è il cristianesimo sicuramente dei movimenti, c’è una domanda giovanile larghissima di segno diverso, il cristianesimo di partecipazione, di mobilitazione collettiva, quello che poi esaltava la figura di Giovanni Paolo II. Quello di Giovanni Paolo II è stato un grande pontificato, ma in qualche modo ha schiacciato la Chiesa nel senso di una identificazione tra papato e Chiesa che ha comportato e comporta dei rischi.
Passando alla vita politica, il venir meno della Dc in un sistema di incerto e debolissimo bipolarismo ha portato a brandelli di presenza cattolica organizzata nei due schieramenti, a volte non più visibili. Siamo perciò di fronte al fenomeno di una Chiesa gerarchica che interviene trattando con il potere per ottenere quello che le giova, spesso da un punto di vista puramente terreno o economico, vedi il caso dell’esenzione dei beni immobili ecclesiastici. L’accento posto su temi di rilevanza etica certamente importanti come la famiglia, la genetica, la sessualità non risolve il problema, a mio avviso, perché non incide sul tessuto della società. Non si può puntare tutto e solo su questi temi di rilevanza etica quando si lascia che la società scivoli verso una cultura, una mentalità che è quella che produce poi questi effetti negativi dal punto di vista dei problemi etici. Significa prendere il problema per la coda invece che per la testa, che è una secolarizzazione molecolare che va affrontata ad altri livelli. E tutto questo sullo sfondo di una crisi della democrazia che ha dimensioni ormai planetarie. Bobbio in un libro del 19844 scriveva che una della promesse della democrazia era la sua capacità di alimentare autonomamente lo spirito democratico, ma che questa promessa non è stata mantenuta. Come a dire che la democrazia non riesce ad alimentare se stessa spontaneamente, per non parlare delle illusioni di Bush che la democrazia possa essere imposta con le armi. Noi siamo grati alle armi americane che ci hanno liberato, ma hanno liberato un paese in cui c’era una certa tradizione liberale, hanno liberato una Germania in cui c’era stata una tradizione liberale e democratica; l’idea di fondare la democrazia con le armi laddove le premesse culturali sono tutte diverse mi sembra una follia frutto di incultura. La democrazia in una società che è prevalentemente ricca come è la nostra, o abbiente, rischia di funzionare alla rovescia, perché la democrazia è nata quando la maggioranza era povera e i ricchi erano pochi e allora la forza del numero doveva far fronte a esigenze di giustizia. a garantire i progressi della società verso forme più giuste, più eque. Viceversa quando una democrazia funziona in una società ricca o a prevalenza abbiente essa rischia di funzionare come strumento di garanzia dell’esistente, del privilegio esistente. E questo è diventato ideologia nella campagna elettorale della destra alla recenti elezioni politiche. C’è invece un articolo 3 della Costituzione che dice esattamente che la Repubblica interviene per rimuovere le cause della diseguaglianza; il principio di eguaglianza è una grande conquista ma è una conquista che la democrazia non è in grado di realizzare spontaneamente se non è alimentata. La democrazia muore per mancanza di spirito, di alimento.
Lo Stato laico, la Chiesa etica
La globalizzazione accentua questi problemi. Allora ci troviamo in questa situazione che può sembrare paradossale: la laicità dello Stato è discussa nelle sue espressioni, ma sostanzialmente acquisita in ambito nazionale ed europeo. Tuttavia lo Stato laico democratico non può sopravvivere se non è alimentato da agenzie capaci di produrre tensioni etiche, riserve etiche e indubbiamente tra queste agenzie capaci di produrre esigenze etiche ci sono le esperienze religiose, ci sono le comunità religiose, che sono le più forti agenzie capaci di produrre. E noi sappiamo che il volontariato nel nostro paese è una grande riserva etica e che la realtà del volontariato è di ispirazione cristiana; il cristianesimo è la grande riserva etica dalla quale la democrazia è nata storicamente, salvo il conflitto con la chiesa. Ecco la lezione di Lazzati che ritorna di fronte a questa situazione: abbiamo bisogno di una Chiesa che non scenda ad accordi con il potere per tutelare interessi più o meno autentici dal punto di vista cristiano. ma di una Chiesa che alimenti una società che rischia di morire per mancanza di anima, per mancanza di eticità, intesa proprio nel senso della capacità dell’impegno, della capacità del dono, della gratuità; se non c’è gratuità la società muore. Giustissime le rivendicazioni sui grandi temi etici, ma questi sono soltanto i segni di una realtà molto più ampia, e non si può insistere soltanto su quei segni isolandosi dentro quei segni, come una riserva che si vuol proteggere ad ogni costo trattando con chiunque, come è avvenuto con l’invito all’astensione sul referendum. Non possiamo tacerle queste cose noi laici, non possiamo tacere il fatto di una Chiesa che agisce direttamente in politica addirittura indicando come si deve votare o non votare con una specie di ritorno antistorico al non expedit. È una Chiesa che dimentica il Capitolo IV della seconda parte della «Gaudium et Spes» in cui si dice che i laici, non il laicato, sono i responsabili della vita politica, civile, certamente tenendo conto dei valori, degli insegnamenti del Magistero della Chiesa.
Democrazia e verità
In definitiva. Lo Stato laico ha bisogno della religione, ma la religione non può offrire questo servizio di sostegno, di nutrimento della democrazia se non nel rispetto della laicità e delle dinamiche proprie della democrazia. Questo insistere sulla soggezione della democrazia alla verità che cosa significa? Certo che la democrazia è soggetta alla verità; la democrazia non nasce se non agiscono nel tessuto sociale certe verità fondamentali sull’uomo, se non c’è nella società il senso della dignità della persona umana riconosciuto. È per questo che la democrazia stenta a inserirsi in società in cui questi valori non sono riconosciuti, in cui la dignità dell’uomo non è riconosciuta. Ma al di là di questo il rapporto della verità con la democrazia non può essere il rapporto di una democrazia che garantisce la verità, perché la democrazia non può garantire la verità, la democrazia esprime quello che esiste nella società, democraticamente, in tutta la sua complessità. E se si vuole che la democrazia esprima le esigenze di verità sull’uomo e sulla società, bisogna che queste esigenze di verità siano inserite nel circuito della vita sociale sicché abbiano espressione nelle dinamiche proprie della democrazia. Ma non c’è un rapporto diretto verità-democrazia, sicché la democrazia possa essere garante della verità. Se non si fa questo salto si resta sempre nella logica di una sana laicità che non si sa che sia; laicità o è laicità o non lo è, e la democrazia o esprime la società per quello che è o non è democrazia; non si possono garantire la democrazia e la laicità dall’esterno, bisogna garantirle dal di dentro attraverso la partecipazione alle loro dinamiche proprie.
Ecco allora che Lazzati ritorna, dopo vent’anni, perché queste esigenze che oggi noi abbiamo sono tutte esigenze che evocano l’intuizione fondamentale di Lazzati quella che ha affidato a questo strumento di Città dell’Uomo, strumento debole rispetto all’immensità dei problemi evocati e alla richiesta che c’è. Lazzati ritorna come un punto di riferimento obbligato. Si può sì discutere l’impianto culturale della sua proposta, a mio avviso troppo legata in maniera discutibile a una certa concezione tomistica che va storicizzata. Ma l’intuizione fondamentale di questa necessità di formare i cristiani alle responsabilità del vivere nella democrazia è valida, intuizione che poi è l’intuizione della necessità per la democrazia della riforma religiosa, intuizione di Rosmini, di Sturzo in esilio che scrive che la democrazia non può sopravvivere se non c’è una riforma religiosa, di Dossetti che lascia la politica per impegnarsi per la riforma religiosa. La riforma religiosa diventa modo di vivere l’esperienza religiosa a livello laicale capace di innestare nella democrazia queste tensioni etiche, questi valori. Lazzati ritorna con le sue intuizioni, con la sua testimonianza, perché i suoi ultimi anni sono stati anni di grande sofferenza per le incomprensioni, le accuse, gli attacchi volgari subiti da giovani che adesso dettano lezioni di fede e di fedeltà alla Chiesa dagli schermi televisivi, e per la malattia che lo ha colpito e della quale è morto. Sofferenze anche dalla Chiesa perché non è stato capito. Adesso speriamo, come ha detto il cardinale Attilio Nicora, di vederlo presto sugli altari e che questo sia in qualche modo il compenso di tante sofferenze passate.
1 L. Elia-P. Scoppola, A colloquio con Dossetti e Lazzati, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 98-99
2 Ibid., p. 99-100.
3 Ibid., p. 101.
4 N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984.


