Appunti 1_2005
Ricordo di Ermanno Gorrieri
| Pietro Scoppola |
Gli amici modenesi mi hanno chiesto di dire qualche parola nel momento doloroso in cui ci distacchiamo da Ermanno1. Ecco: io vorrei solo dare voce a un sentimento profondo in me, ma che sento presente, diffuso in questo tempio: il sentimento della gratitudine. La gratitudine a Ermanno per quello che è stato, per quello che ha fatto, per il modo in cui lo ha fatto, per quello che ha sofferto, per l’esempio che ci ha dato.
Bisognerà studiarla la sua vita e proporla alle nuove generazioni, e anche alle classi dirigenti, come una sfida agli stili di vita ai comportamenti del nostro tempo. Si era formato nelle associazioni di Azione cattolica, quelle associazioni che sono state definite afasciste, per dire che non erano politicamente impegnate. Ma bisognerà scavare più a fondo in questa categoria, se da quella formazione escono uomini che partecipano alla Resistenza nel modo in cui Ermanno ha partecipato.
Non solo, io credo, gli dobbiamo essere grati per aver combattuto per la nostra libertà nella Resistenza, nella famosa esperienza della repubblica di Montefiorino, da lui stesso ricostruita in un notissimo libro scritto con il rigore di uno storico di professione, ma dobbiamo essergli grati per come ha combattuto: senza esitazioni, con risoluta fermezza, ma sempre con sofferenza per l’inevitabile uso della violenza, senza consentire che la pietà fosse morta.
Io credo che per la ricostruzione del Paese è stata essenziale la lotta antifascista, ma non meno essenziale è stato quel modo di viverla, un modo che ha salvaguardato per il futuro le condizioni stesse della convivenza. Credo che su questo tema, su questa linea, avremmo bisogno di un poco di saggio revisionismo.
Con il suo modo di vivere la Resistenza è coerente l’impegno fondamentale della sua vita, l’impegno sociale per i meno abbienti per gli emarginati, nelle mille forme che ha assunto nella sua lunga esperienza. Un impegno vissuto con piena consapevolezza delle dimensioni culturali e vorrei dire anche tecniche dei problemi ma sempre senza ombra di demagogia: non c’è stata mai demagogia nelle parole e nei comportamento di Ermanno Gorrieri.
Un impegno vissuto anzitutto come educatore del mondo contadino, attraverso la cooperazione, educatore alla solidarietà, a forme più moderne di produzione; poi come studioso dei fenomeni retributivi e di diseguaglianza sociale (tutti ricordano il suo libro famoso La giungla retributiva2); poi ancora come operatore in compiti di grande responsabilità quale presidente, nel biennio 1984-1985, della Commissione d’indagine sulla povertà presso la presidenza del Consiglio dei ministri e come ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel governo Fanfani (aprile-luglio 1987). Anche qui interessa il modo del suo operare, il suo stile, rigoroso e al tempo stesso discreto e modesto. Ricordo: mi parlava delle sue cose sempre senza ombra di ambizione personale ma con il sentimento profondo di una responsabilità, di un servizio al paese e soprattutto nei confronti della povera gente.
C’è poi il Gorrieri politico di cui non tento neppure di ripercorrere l’itinerario. In questo caso a quella sua dote eminente di responsabilità e di impegno uniti sempre al disinteresse e alla umiltà si aggiungeva qualcosa d’altro di più complesso che costituisce oggi un esempio. Ermanno Gorrieri come il suo amico Benigno Zaccagnini è stato fino in fondo un vero e convinto cristiano democratico, un democratico cristiano, ma il suo essere democratico cristiano era fedeltà ad una idea, a una tradizione molto più che a una istituzione o ad una organizzazione di partito. Così ha vissuto i momenti di tensione e di rottura — sono i momenti in cui gli sono stato più vicino — come espressioni di coerenza, di fedeltà più profonda. Se si convinceva che si dovesse andare contro la linea del suo partito, che si dovesse rompere, Ermanno sapeva andare contro, sapeva rompere e lo ha fatto con determinazione ma senza l’arroganza del disobbediente; era un obbediente anche quando andava avanti da solo, quando camminava su strade nuove. Aveva capito il cambiamento profondo della politica italiana dopo la fine del comunismo e dopo il mutamento di sistema politico e lui, che già agli inizi degli anni Novanta aveva compiuto i suoi settant’anni, ha cercato vie nuove e ha poi contribuito alla nascita dell’Ulivo. Ancora una volta: si possono discutere singole scelte ma esemplare resta il modo, lo stile, la coerenza senza presunzione…
Da ultimo in questa sede, davanti all’altare, il tema più delicato: il suo modo di essere cristiano, con assoluta coerenza, con una fede profonda e semplice, ma senz’ombra di clericalismo, sempre aperto al dialogo, disponibile alla collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Ebbene: perché dicevo del sentimento di gratitudine che provo per lui e che credo condiviso da molti forse da tutti? Perché Ermanno con quelle su grandi e piccole virtù — che sono il contrario dello spettacolo che ci offre ogni giorno gran parte dei protagonisti della vita pubblica nel nostro paese — ci indica la via, si offre come guida discreta e riservata, ma sicura per il nostro cammino.
E qui allora, davanti all’altare, la gratitudine a Ermanno è gratitudine al Signore che ce lo ha dato e preghiera intensa perché il Signore ci dia ancora uomini della sua tempra del suo livello morale.
