Appunti 5_2004

Una svolta neotolemaica della Chiesa

Fulvio De Giorgi

Il Concilio come "parentesi"

Vorrei cominciare con un esercizio di storia «controfattuale»: come sarebbero oggi, soprattutto sul piano pastorale, il laicato cattolico e la stessa Chiesa se non ci fosse stato il Concilio Vaticano II?
Ci sarebbe ancora un’Azione Cattolica di tipo geddiano, integralista, fautrice di Comitati Civici per intervenire in politica e di numerose opere sociali per contrastare il laicismo, promotrice delle «basi missionarie», capillarmente diffuse e pronte alle mobilitazioni di massa guidate dall’alto (primo aspetto).
Ci sarebbe poi un laicato più selezionato (destinato alla leadership) e organizzato in Istituti secolari ad aggregazione segreta: una sorta di massoneria cattolica di vertice (e di vergini) (secondo aspetto).
Ci sarebbero, ancora, luoghi devozionistici in cui miscelare una lettura fondamentalistica della Bibbia, una spiritualità terroristica dell’autocolpevolizzazione e dell’ossessione del peccato, un clima psicologicamente angusto tra canti e riti paraliturgici per gruppi chiusi (terzo aspetto).
Il tutto infine sarebbe saldato da un culto assoluto per il Romano Pontefice e da una visione complessiva di scontro polemico e di conquista verso l’altro, il non-cattolico, il miscredente, il lontano, l’ateo, con linguaggi da crociata e furori anti-moderni e di diffidenza per la democrazia (quarto aspetto).
Non voglio dire che questi erano il laicato e la Chiesa pre-conciliare: sarebbe un riduttivismo caricaturale! Nella Chiesa pre-conciliare c’era molto di più, c’era infatti tutto quel molteplice, variegato movimento di coscienze, di sensibilità, di culture che ha poi, appunto, portato al Concilio. Voglio dire, invece, che se non ci fosse stato il Concilio, si sarebbe creata una sfasatura drammatica tra Chiesa cattolica e mondo contemporaneo, tale da isterilire le energie migliori, atrofizzare le dinamiche più aperte, selezionare insomma in negativo e far permanere – in maniera fortemente depotenziata – proprio e soprattutto quegli aspetti che invece il Concilio ha opportunamente e profondamente riformato. E poi – quando il solco fosse diventato incolmabile – quella Chiesa-senza-Concilio sarebbe andata in frantumi.


Nostalgia dell’onnipotenza

Da tempo, peraltro, nella Chiesa cattolica sono presenti posizioni che in modo nostalgico e tradizionalistico rimpiangono i giorni dell’onnipotenza e pensano che tali giorni siano finiti per colpa del Concilio (o di una sua lettura… conciliare!) e non perché storicamente anacronistici nonché evangelicamente inaccettabili: sarebbe come dire che l’Urss è andata in frantumi per colpa della perestrojka di Gorbaciov e non invece per il ritardo con cui si è giunti alla perestrojka stessa e perciò all’eliminazione delle tante interne contraddizioni dell’Urss e allo smantellamento di un totalitarismo inaccettabile dalle coscienze contemporanee.
Come i più ottusi nostalgici comunisti con le loro confuse speranze di rifondazione comunista, costoro desiderano, sperano, lavorano per una rifondazione preconciliare. Davanti alle nuove e gravi contraddizioni del secolo XXI, a sfide inedite e impensabili ai tempi del Concilio, davanti ai nuovi rischi di una drammatica sfasatura tra Chiesa e mondo, tuttavia, quel passatismo nostalgico tende a diffondersi, in forme diverse e più o meno dissimulate, talvolta anche inconsapevolmente o per sprovvedutezza, per una sorta di analfabetismo pastorale di ritorno. Prende piede silenziosamente un’interpretazione «parentetica» del Concilio e della stagione conciliare: occorre dunque chiudere al più presto la parentesi, si dice o si insinua surrettiziamente.
Da dove cominciare? Non da esplicite ed aperte marce indietro, ma dando spazio a ciò che oggi nella Chiesa più si assomiglia ai quattro aspetti sopra sinteticamente richiamati: Comunione e Liberazione (primo aspetto); Legionari di Cristo (secondo aspetto); Neocatecumenali e altri gruppi devozionistici (terzo aspetto); esponenti politici «da Crociata» e soprattutto a-democratici perché carismatico-plebiscitari, come, ancora, Cl, ma anche Alleanza cattolica e, in genere, i politici sedicenti cattolici di destra (quarto aspetto). Naturalmente non voglio dire che tutti questi movimenti siano preconciliari: anzi, sicuramente, senza il Concilio molti di loro non ci sarebbero o non avrebbero la forma attuale. Ma, con ogni evidenza, una rifondazione preconciliare oggi – se vuole avere qualche possibilità di successo – deve partire da loro.


Marginalizzazione della linea conciliare

Naturalmente altre aggregazioni laicali attualmente esistenti e, diciamo pure, più chiaramente riportabili all’insegnamento del Vaticano II non andrebbero abolite e neppure rese forzatamente collaterali. Basterebbe «satellizzarle»: operare una rivoluzione neotolemaica che riporti al centro il pre-concilio e satellizzi ai margini gli altri. Occorrerebbe inoltre che questo centro neotolemaico, saldamente in mano ai movimenti, produca periodicamente grandi e visibili raduni, in funzione sostanzialmente di autolegittimazione, perché la visibilità surroga la maggioranza (che non si ha) e simula il numero. E il numero è potenza. E si ritorna ai giorni dell’onnipotenza.
Riconosco a questa prospettiva una certa solenne grandiosità. Penso che porti a un fallimentare e gigantesco disastro pastorale e a una frantumazione ecclesiale colossale senza precedenti, ma le riconosco una certa grandiosità. Ritengo che abbia al suo interno pulsioni poco evangeliche, ma le riconosco una certa grandiosità. Trovo che – nonostante oggi si parli tanto di progetto culturale – sia una prospettiva incredibilmente povera culturalmente e con attrezzature intellettuali rozzamente primitive, ma le riconosco una certa grandiosità.
E tuttavia questo non conta. Il problema è: che senso ha?
I primi a porsi questa domanda sono, io credo, molti o forse quasi tutti i vescovi italiani. Non è facile avere la guida pastorale della Chiesa italiana nel suo complesso (oltre, per ciascun vescovo, a quella della propria diocesi) in una fase di prolungata fine pontificato: splendida e veramente evangelica sul piano della testimonianza; difficile però per il vuoto di governo. Due problemi opposti si incrociano tra Chiesa italiana e Chiesa universale: il papa non può più governare direttamente con efficacia, ma è sempre – e forse ancor più di prima – un comunicatore di Vangelo; i vescovi italiani hanno ben salde le redini del governo, ma hanno problemi nel comunicare il Vangelo in un mondo che cambia e popolarizzare la loro immagine conciliare di Chiesa.


Una maggioranza conciliare disorientata

Così, tra ambiguità varie, il tentativo neotolemaico tende ad avere una sovraesposizione, giocando con qualche abilità negli interstizi e nei vuoti tra governo papale e governi episcopali. Del resto, la prospettiva di rifondazione preconciliare non pare trovare, almeno nell’immediato, ostacoli espliciti e grandi opposizioni nei fedeli. Non ci sono e non ci saranno diaspore e contestazioni, dissenso cattolico e occupazioni di cattedrali. Tutt’al più qualche corsivetto su «Europa» e qualche mugugno incattivito di vertice.
Il fatto è che, dopo la fine del secolo breve e delle sue «grandi narrazioni», un numero grandissimo di fedeli, forse la maggioranza, è sinceramente disorientato. Proprio coloro che più si sentono in sintonia col Concilio Vaticano II, tanti operatori pastorali che operano umilmente e nascostamente nelle parrocchie e nelle diocesi, avvertono che alla soluzione dei difficili e nuovi problemi della condizione postmoderna, della secolarizzazione mercantilistica, della globalizzazione, della guerra, il magistero conciliare non basta più. Ci vorrebbe un Vaticano III per riprendere in fedeltà e aggiornare il Vaticano II.
Davanti a un’ipotesi di rifondazione preconciliare questi fedeli non si oppongono, semplicemente non capiscono: che senso ha tutto questo? Se ci fosse per la Chiesa un indicatore analogo a quello che per il sistema politico è il voto, si direbbe che cresce l’astensionismo.
L’insegnamento conciliare così come l’accettazione della democrazia è penetrato profondamente nelle fibre delle comunità ecclesiali italiane: oggi l’operatore pastorale medio (e, almeno in certe aree geografiche, anche il fedele medio) si riconosce nel magistero del Concilio ed è sinceramente democratico. Intuisce che ci sono aspetti del magistero conciliare che vanno aggiornati, così come intuisce – insieme ai democratici non cattolici – che l’identità democratica è oggi messa in crisi. Coglie intuitivamente queste problematicità ma non sa tematizzarle e neppure esplicitarle compiutamente, sul piano spirituale, culturale e pastorale. Ma come i democratici – cattolici e non – che sono avvertiti delle debolezze della democrazia non diventano per questo antidemocratici, così pure coloro che si sono formati alla luce del Concilio e ne avvertono oggi alcune insufficienze non diventano per questo preconciliari.
Dunque non capiscono il senso di tante cose. Che senso ha invitare Fini e solo Fini? Che senso ha l’abbraccio con Cl? Sono solo «giri di valzer» o sono «rovesciamenti delle alleanze»?


Le delusioni diffuse

L’incomprensibilità del senso induce delusione, soprattutto delusione. Sarebbe sbagliato cercare di individuare verso chi si diriga questa delusione: verso la Chiesa universale? verso la Chiesa italiana? verso i vescovi? verso la presidenza della Cei? verso l’Azione cattolica? verso i suoi attuali dirigenti? Non vi è, di fatto, un destinatario preciso: o forse il destinatario è in se stessi, nel cuore di ciascuno, in una parte della propria stessa identità. E ciò accresce il disorientamento e rende più sorda, più amara e più diffusa la delusione «ecclesiale».
È il vero problema della Chiesa italiana: è il vero rischio di scisma sommerso; è un’incrinatura pericolosa perché può preludere a future frantumazioni, le cui forme sono oggi difficilmente immaginabili. È un pericolo di deriva verso la sfiducia, la paralisi, la caduta di entusiasmo, la demotivazione, lo stallo, il senso di impotenza, la depressione, il grigiore. Ecco perché i movimenti carismatico-entusiastici occupano di più il campo: ma questa non è la soluzione alla delusione, è un’altra conseguenza del problema e lo accresce egemonizzando la comunicazione.
Tutto ciò è pericoloso anche perché omogeneo a una più generale propensione verso la delusione nelle nostre società postmoderne, proprio in relazione alla domanda positiva di senso. Ha scritto Marc Augé: «La domanda positiva di senso (di cui l’ideale democratico è senza dubbio un aspetto essenziale) che si manifesta presso gli individui delle società contemporanee, può spiegare paradossalmente i fenomeni che sono a volte interpretati come i segni di una crisi del senso e, per esempio, le delusioni di tutti i delusi della Terra: i delusi del socialismo, i delusi del liberalismo, e ben presto anche i delusi del postcomunismo».


Continuare a bussare

Tuttavia è anche possibile che proprio questa prospettiva di rifondazione possa essere giocata come opportunità di discussione. Il rischio di neotolemaizzazione può essere rovesciato in chance.
Perché è vero che alcune forme organizzative vanno aggiornate e che, proprio per sfuggire al grigiore postmoderno e non morire di inedia spirituale, è necessaria la forza potente dello Spirito e un sincero slancio missionario di testimonianza evangelica, anticonformistica e controcorrente.
Parliamo di Vangelo e ciò ci ridarà senso. Pensiamo a un progetto pastorale alto, non in ribasso, per rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili, per ricolmare di beni gli affamati e rimandare i ricchi a mani vuote.
Sono ancora attuali le parole di Martin Luther King: «Quando l’uomo della parabola bussò alla porta dell’amico e gli chiese tre pani, ricevé l’impaziente risposta: ‘Non mi infastidire; la porta ormai è chiusa ed i miei figli sono a letto con me; non posso alzarmi e darti niente’. Quanto spesso gli uomini hanno provato una simile delusione quando, nel mezzo della notte, bussano alla porta della Chiesa. […] Se la Chiesa non ritrova il suo zelo profetico, diverrà un irrilevante club sociale, senza autorità morale e spirituale. Se la Chiesa non partecipa attivamente alla lotta per la giustizia economica e razziale, perderà la fiducia di milioni di uomini e farà sì che essi dicano dappertutto che la sua volontà si è atrofizzata. Ma se la Chiesa si libererà dai ceppi di un funesto status quo e, riprendendo la sua grande missione storica, parlerà ed agirà senza timore e insistentemente in termini di giustizia e di pace, essa accenderà l’immaginazione dell’umanità e infiammerà gli animi degli uomini, infondendo loro un infocato e ardente amore per la verità, la giustizia e la pace. Gli uomini lontani e vicini conosceranno la Chiesa come una grande comunità d’amore che provvede luce e pane per i viaggiatori solitari nella mezzanotte».


Fantasia pastorale

Nell’epoca di Internet e delle nuove ingiustizie planetarie ci vuole forse una forma organizzativa nuova per il laicato cattolico di base: parlo dell’operatore pastorale medio, del fedele medio, del cristiano «parrocchiale», non del milite dei movimenti. Ma ci vuole un salto qualitativo di fantasia pastorale, pensando in grande (spiritualmente: cioè umilmente, da piccoli, da servi inutili…). Sogno ad occhi aperti con una semplicità da cristiano ingenuo: perché non trovare le vie per unire in un’unica, ancorché articolata, associazione tanto l’Azione cattolica quanto le Acli? Sono entrambe realtà associative laicali fondate in modo «ufficiale» dalla gerarchia, non da quello o da quell’altro Fondatore. Perché la gerarchia italiana non promuove la loro fusione in un’associazione nuova, nello spirito del Concilio Vaticano II, incamminata verso il Vaticano III e con un nome anch’esso nuovo (che so? «Giustizia e Pace» o «Liberazione e Comunione» o qualcos’altro di più bello e soprattutto comprensibile, comunicabile a tutti, anche ai giovani di oggi)?
È chiaro che qui non è in discussione la comunione ecclesiale con Cl, Opus Dei, Legionari di Cristo ecc. ma un progetto pastorale nuovo e di alto profilo dell’intera Chiesa italiana: un atto di governo dei vescovi italiani, che peraltro non potrebbe che favorire tale comunione. Perché infatti la comunione ecclesiale sia vera occorre sincerità, onestà d’intenti, nessun egemonismo in nessun senso. Tale comunione, vissuta nelle concrete realtà ecclesiali diocesane, ha bisogno dell’ufficio pastorale del vescovo, perché solo attorno a lui e al suo «carisma dell’insieme» essa può approfondirsi, sul piano personale individuale e anche sul piano comunitario, con forme di corresponsabilità che impegnino tutti senza sacrificare nessuno.
Ed è proprio ai vescovi che allora va rivolto l’appello: perché la delusione di tanti non può non divenire un loro personale dolore e non può non interpellare, nei tempi che lo Spirito vorrà, le loro coscienze di pastori. «Nella parabola noi notiamo che, dopo l’iniziale delusione, l’uomo continuò a bussare alla porta dell’amico. Con la sua importunità, con la sua insistenza, egli infine persuase l’amico ad aprire la porta. Molti uomini continuano a bussare alla porta della Chiesa a mezzanotte, anche dopo che la Chiesa li ha così amaramente delusi, perché sanno che il pane di vita è lì» (M.L. King).