Appunti 1_2002
Sommario
Resistere per rinnovare
Guido Formigoni
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Con questo primo numero del 2002, «Appunti» entra in una nuova fase della sua vita. La rivista, fondata ormai 24 anni fa dalla Lega democratica, passa ad essere pubblicata a cura dell’associazione Città dell’uomo. Come dimostra il comitato di persone che promuove questa nuova serie – costituito in modo congiunto tra i fondatori della rivista e il nuovo gruppo di riferimento – si tratta di una scelta di continuità nel solco del cattolicesimo democratico, progressista e riformatore. Città dell’uomo è infatti l’associazione fondata nel 1985 da Giuseppe Lazzati, per educare i credenti a «pensare politicamente», nella laicità, seguendo le «stelle polari» del Concilio Vaticano II e della Costituzione repubblicana. Si tratta anche di una scelta di razionalizzazione organizzativa, per rendere questa piccola voce sempre più in grado di reggere le sfide del nostro tempo, in un momento decisamente delicato. Infatti, il gruppo redazionale che l’ha gestita nell’ultimo quadriennio, su mandato dell’Associazione per la cultura politica, che era proprietaria della testata, era già più o meno vicino all’associazione lazzatiana, e continuerà ad essere il nucleo della nuova redazione. Abbiamo peraltro allargato e ristrutturato con nuove competenze il gruppo redazionale, radunando energie ed amicizie che ci daranno una mano in questa nuova fase. Lascia invece la redazione Riccardo Imberti, che in questi anni ha gestito con impegno il non facile ruolo di coordinamento, garantendo in prima persona la continuità della rivista in una condizione organizzativa difficile: cogliamo qui l’occasione per ringraziarlo non formalmente per tutto il suo lavoro ed esprimergli nell’amicizia un cordiale augurio per il futuro. Chi scrive si assumerà l’onere di coordinare la nuova serie, proprio perché in questo momento è presidente di Città dell’uomo. Come unico piccolo contrattempo legato alla fase di transizione, questo numero vi arriva con un certo ritardo: ce ne scusiamo, ma ci impegnamo a colmare il vuoto con le prossime uscite.
Il senso della nostra scommessa
E’ opportuno qui ripetere – solo brevemente – il senso di questa nostra piccola impresa, che riprende e rilancia un’eredità che fa ormai parte della storia di questo paese, non solo dell’autobiografia del cattolicesimo democratico. Muoviamo dalla consapevolezza che il patrimonio dei credenti innamorati della giustizia, orgogliosi sostenitori della libertà, accaniti costruttori di pace, schierati senza riserve dalla parte dei poveri, radicalmente consapevoli della propria laicità, è un patrimonio decisivo che deve essere investito nel cantiere del rinnovamento di una sinistra pluralistica e articolata. E’ un patrimonio però che non ci è consegnato nel chiuso circolo di una identità statica, ma si struttura giorno per giorno, attorno alla volontà di continua ricerca ed innovazione. E’ un patrimonio che si arricchisce solo se lo si spende nell’animazione di una convergenza con tutti i sinceri democratici e i riformatori del nostro paese. Abbiamo intravisto questa ricerca attorno alla fase genetica dell’Ulivo, l’abbiamo condivisa portando il nostro piccolo contributo, come è stato evidente nelle pagine di questa rivista. Ma è stato un percorso troppo fragile e superficiale. Si è addirittura interrotto, per molteplici responsabilità. Deve quindi essere ripreso e rilanciato, con adeguati contributi intellettuali e organizzativi. Siamo convinti che questa ricerca di una nuova sintesi culturale e politica per il futuro sia il vero compito aperto per la nostra generazione, su scala almeno europea se non addirittura mondiale. Occorre innestare nella tradizione la ricerca di risposte alle sfide della cosiddetta globalizzazione, del tramonto dell’epoca industriale, del particolare tipo di declino dello Stato moderno, dei nuovi imperialismi, dell’emergere decisivo dell’individuo, dell’urgenza ambientale.
Occorre radicalità
Abbiamo fortissima la coscienza della radicalità necessaria per compiere seriamente il cammino che ci sta davanti. Radicalità, nel senso che occorre riprendere dalle «radici» valori e contenuti che un tempo potevano essere date per scontati e invece oggi è necessario rifondare, rimotivare, ridire con parole nuove, ricostruire nell’immaginario collettivo delle giovani generazioni. Radicalità, nel senso che occorre una forte discontinuità rispetto al «pensiero unico» oggi dominante, senza timore di andare controcorrente, superando quella insicurezza di sé stessi che traspare da troppa parte del centro-sinistra reale di questo paese, abbandonando una moderazione intesa come negoziazione ad oltranza con qualsivoglia avversario. Non di timide imitazioni abbiamo bisogno o di patetiche forme di rimpannucciamento delle idee dominanti, nella speranza vana di strappare qualche consenso di una mitica area moderata che è sempre meno realistico immaginare interrogarsi sul futuro. Si fonderà veramente una prospettiva di cambiamento solo mostrando con rigore e nettezza una soluzione «di governo» – quindi praticabile e seria, non astratta e confusa – che sia appunto radicalmente alternativa a quella della destra vincente. Una proposta che non si limiti a inseguire le trasformazioni della mentalità collettiva, ma che le interpreti e comprenda a fondo per poter parlare a tutti e quindi convincere delle proprie ragioni, come è compito di qualsiasi classe dirigente. Oggi manca proprio questa alternativa visibile, che apra insomma una vera competizione per il consenso.
Resistenza, passione, responsabilità e lungimiranza
Siamo consapevoli della durezza dei tempi. Della maggioranza di destra solida nel paese (e tuttavia non così soverchiante…), delle tendenze culturali ostili ai nostri valori, della frana di ogni solidarietà forte e di troppe risorse etico-politiche nella stessa area dell’opposizione. Ma da tale giudizio non traiamo motivi di lamentazione e mugugno, quanto incentivi a lavorare seriamente per mettere fieno in cascina in vista di tempi migliori. Siamo quindi con l’appello di Francesco Saverio Borrelli: resistere, resistere, resistere. Vogliamo intenderlo privo di ogni passatismo nostalgico, ma imperniato sulla consapevolezza che qualsiasi innovazione seria deve essere innestata sul tronco della fedeltà ai valori democratici e del rispetto rigoroso dello Stato di diritto, che oggi il governo del cavaliere di Arcore tende tranquillamente ad aggirare. Siamo quindi con il grido di Nanni Moretti: non è più possibile tollerare un ceto politico del centro-sinistra troppo ripiegato su sé stesso e le sue dinamiche interne e incapace di alzare forte la voce della denuncia e della proposta rispetto al paese. Cogliamo questo grido senza attribuirgli nessun sottinteso banalmente «antipolitico» e illusoriamente portato ad angelicare una presunta purezza della società civile. Ma come un appello forte a chi ha scelto «la politica come professione» perché sia weberianemente all’altezza della gestione del lavoro politico, e cioè vi esprima passione, senso di responsabilità e lungimiranza.
Un compito propriamente culturale
Una rivista come questa – che si regge sul solo appassionato sostegno di un manipolo di abbonati come voi che ci leggete – non può illudersi di compiere nessuna battaglia direttamente politica in prima persona. Vorremmo piuttosto assumere come un abito serio e impegnativo quello del contributo intellettuale, formativo e informativo, nei confronti di un’innovazione sempre più urgente della vita politica. Cercheremo quindi di non farci coinvolgere più di tanto nelle polemiche contingenti e nelle battaglie di schieramento, non perché le sottovalutiamo o le irridiamo, ma perché pensiamo che per affrontarle consapevolmente e seriamente occorra sempre un supplemento di forza critica, di approfondimento conoscitivo e di capacità analitica e propositiva. Lavorando di informazione e di giudizio, porteremo il nostro piccolo contributo alla costruzione di quell’impianto di parole nuove e di idee giovani che ogni politica seria deve poter offrire per costruire consenso. Non ci identifichiamo quindi con nessuna parte dell’alleanza ulivista, né con altre forze nella galassia della sinistra. Osserviamo naturalmente quanto si muove nella politica concreta con interesse, a volte con occhio duramente critico ma sperando che si colga sempre un’intenzione non banalmente polemica.
Allargare i confini del centro-sinistra reale
Al contempo, pensiamo che nel paese esista molto di più di quanto oggi si riconosce nello schieramento politico di centro-sinistra, in termini di energie da valorizzare, idee da raccogliere, persone da coinvolgere per una battaglia di libertà e giustizia. Esistono molteplici fermenti in movimento, tra la critica alla globalizzazione liberista, le energie di servizio del volontariato e la residua indignazione contraria alla malapolitica della corruzione. Ma ancora, si può pensare a quello che di vivo esiste nel profondo del cattolicesimo italiano, nei gruppi giovanili, nelle aree sociali, nei circuiti del terzo settore, nelle organizzazioni sociali e civili, nelle professioni e nell’università. Il problema è che molte di queste energie sono lontane dalla politica, isolate, deluse, ripiegate, oppure candidamente contrarie a qualsiasi mediazione politica. Oppure ancora arrabbiate e isolate in un sogno di palingenesi irraggiungibile. Se si approfondirà il solco tra queste energie e la politica reale, non avremo speranze. Coltiviamo peraltro lucida la consapevolezza del lungo itinerario che attende tali iniziative e idee, perché possano esprimersi nella forma di un serio contributo riformatore rispetto alla politica. Occorre dare una sponda culturale, prima ancora che politica a queste risorse di futuro: la «cultura della mediazione» tipica della nostra storia culturale e morale ci deve aiutare in questo senso. In questo senso intendiamo rilanciarla.
Collegare passato e futuro, tradizione e novità; lavorare in termini culturali per far emergere una nuova sintesi politica; analizzare, informare, criticare e discutere per servire il cambiamento; allargare il campo, coinvolgendo nuove energie e stimolandole a un esigente percorso culturale e politico. Questo sarà l’impegno della rivista che state leggendo. Con tutte le forze disponibili e con tutta l’umiltà necessaria.
Venticello di primavera
Giovanni Colombo
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Finalmente, nelle piazze e nei girotondi, son volate parole toste. E’ un bel segno di vitalità, dopo lo sbandamento post – 13 maggio, dopo mesi e mesi passati a discutere sulle sorti dell’Ulivo senza riuscire a decidere se sia meglio innaffiarlo, potarlo, concimarlo, tagliarlo, trapiantarlo, innestarlo o estirparlo ( forse non è stata una buona idea scegliere come simbolo quest’albero dal tronco nodoso e contorto!). E’ tornato il movimiento e «supponiamo che il disordine delle verità porti ad un ordine» (Wallace Stevens, nella poesia Conoscitore del caos), che quanto detto da Moretti e dagli altri autoconvocati non vada subito perso e provochi invece benefici effetti.
Un confine netto tra gli schieramenti
Innanzitutto appaiono definitivamente chiari i due aspetti che distinguono nettamente il centro-sinistra da questo centro-destra: il rispetto rigoroso del principio di legalità insieme ad un’idea di società solidale. La legalità è il «potere dei senza potere», il requisito ineludibile e preliminare perché l’eguale dignità dei cittadini non si trasformi in ingiuriosa beffa. Quindi la concessione di «impunità» sul problema del conflitto di interessi, le continue battute sul «giustizialismo» ma soprattutto l’assenza di ogni concreta proposta alternativa allo smantellamento strisciante dell’autonomia della magistratura da parte del Polo hanno allontanato dall’Ulivo migliaia di sostenitori e di voti o, peggio, hanno finito per convincere molti che Berlusconi avesse ragione. Non deve succedere più. Così come non deve mai capitare che, di fronte ai problemi del lavoro, della scuola, della salute, una persona sia lasciata sola. Al Palavobis si sono levate ovazioni ogniqualvolta gli oratori hanno parlato della difesa dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Tale articolo riveste infatti, in questa fase, un significato simbolico: è il rifiuto della strategia del Governo che punta tutto sull’individualizzazione dei rapporti di lavoro. Quello che ci viene proposto da Berlusconi – ciascuno per sé e il capo del governo per tutti – è un modello di «non società» nella quale i fili della devozione di ciascun individuo nei confronti di una personalità carismatica sostituiscono la maggior parte delle strutture intermedie che hanno per generazioni conferito identità e dignità alle persone, e contribuito a trasformare la debolezza del singolo in una forza. «La società non esiste, esistono soltanto gli individui» diceva vent’anni fa la signora Thatcher, antesignana di tutte le destre europee. «La società esiste, gli individui non esistono, esistono solo persone, esseri in relazione e in solidarietà», dovrà dire il centro-sinistra italiano in ogni occasione opportuna e inopportuna (impariamo da Berlusconi che repetita iuvant).
Il popolo di centro-sinistra chiede l’unità del fronte antiberlusconiano e su questo punto boccia pesantemente Di Pietro, Bertinotti e ogni altro frazionista. Non vuole più vedere lo squallore dell’ultima campagna elettorale. Concita De Gregorio, sulle pagine di «La Repubblica», ha così sintetizzato la manifestazione di Roma: «Non un corteo: un pellegrinaggio. Cinquecentomila sulla strada per San Giovanni, a piedi fino alla basilica a chiedere il miracolo: unità, per favore». Si faccia quindi un grande Ulivo, un Ulivone, e se l’albero nodoso e contorto non basta più, si cambi e si scelga l’albero più grande, il baobab. Purché la si smetta con gli asti e le liste di proscrizione e vi sia la massima apertura. La richiesta che arriva dal basso è di mantenere sempre uno spirito unitario mentre non pare forte l’esigenza di un Partito Unico dell’Ulivo, che diventerebbe giocoforza un Ulivino.
Soggetti politici più omogenei
Sembra decisamente più sentita l’esigenza di avere, sotto le fresche frasche dell’Ulivone, soggetti politici omogenei. Passeri con passeri, piccioni con piccioni, merli con merli. Tornano perciò di attualità le parole che Alexander Langer predicava vent’anni fa: solve et coagula, sciogli e ricomponi. Vedendo ad esempio Ds e Margherita, si nota come da una parte e dall’altra ci siano «destri» e «sinistri». I temi economico-sociali, quelli della bioetica, della famiglia, della scuola, soprattutto le questioni cruciali della guerra e della pace sono affrontati con approcci diversi. Tali differenze, che non sono così forti da rendere impraticabile una coalizione politico-elettorale, risulterebbero più feconde se potessero articolarsi e svilupparsi in soggetti politici meno patchwork di quelli attuali. Per questo l’operazione più utile sarebbe invogliare gli affini a mettersi insieme, i destri a destra e i sinistri a sinistra. Chi sono i destri, chi sono i sinistri? Per prima approssimazione si potrebbe dire che i primi sono i liberalsocialisti (una parte dei Ds) e i liberal personalisti (la gran parte della Margherita), i secondi sono i socialdemocratici classici (alla Cofferati, tanto per intenderci) e i personalisti comunitari (spezzone sempre più ampio). Non fermiamoci però alle attuali classificazioni e mettiamoci piuttosto in marcia per definire meglio i nostri orientamenti culturali e ideali. Solo identità precise riescono a trasmettere senso. E nessuno lo dice ma in politica trasmettere senso è molto più importante che rappresentare immediatamente questo o quell’interesse, questo o quello dei poteri corporativi. Forse toccherà ai movimenti no-global, o meglio new global, che si occupano delle sorti del mondo fomentare lo scioglimento e la riaggregazione della sinistra nostrana. La loro azione già domanda una rappresentanza politica, ben più forte e diversa di quanto sia oggi o possa essere domani il partito di Bertinotti. Anzi, l’impressione è che per i rifondaioli sia finita la pacchia, il tempo in cui potevano vivere di rendita su alcuni slogan rosso fuoco. La trasformazione toccherà anche loro.
Rappresentanza e democrazia: cercasi modello organizzativo
Gli autoconvocati di questi mesi dicono anche la verità dell’assoluta mancanza di strutture in grado di promuovere e di rendere utile il dialogo tra rappresentanti e rappresentati. I partiti stanno vivendo un naufragio senza fine. Galleggiano, come pezzi delle antiche navi, il palco e la presidenza, lo staff e il board, il direttivo e la direzione. In alternativa c’è l’esplosione delle e-mail, moderno ciclostile: datemi un indirizzo di posta elettronica e vi solleverò il mondo! E c’è una fusionalità, un modo di crescere e di svilupparsi di queste iniziative che sembra far pensare alla definizione di rizoma sviluppata da Gilles Deleuze e Felix Guattari. Ma di rizoma non si vive a lungo, non si può solo andare in orizzontale e presto bisogna anche fare il fusto, recuperare la dimensione verticale. Si parla ossessivamente di rete. Ma come mai ogni volta che si lancia una rete, si finisce unicamente per aggiungere una monade? Inventare un nuovo modello organizzativo è operazione degna di un genio. Dovremo prevedere tanti esperimenti prima di trovare il modello convincente. Intanto si tenga fermo l’approccio giusto: che i rappresentati non debbono essere usati solo come comparse per i bagni di folla del leader ma come interlocutori capaci di dare un contributo all’elaborazione di proposte utili. In particolare ciò è essenziale in due settori cruciali, che interessano milioni di italiani, decisivi nel formarne l’opinione politica, nell’indirizzarne il voto: scuola e sanità. Riallacciare i rapporti con gli operatori, con chi vive nelle scuole e nelle università, negli ospedali vale più di centomila comizi general-generici, di un milione di denunce sui misfatti del Cavaliere, di un miliardo di grida sul pericolo per la democrazia. Si tratta insomma di fare quello che purtroppo non si è fatto negli anni del Governo, quando le riforme Berlinguer e Bindi sono sembrate donate dall’alto da detti illuminati ministri e non il risultato di un ampio e diffuso lavoro collettivo.
Lo scoglio della leadership
E come dimenticare la questione più rovente? «Con questi dirigenti non vinceremo mai», ha detto Moretti a lor signori. Questa battuta rimarrà attaccata a Rutelli e Fassino almeno quanto è rimasto addosso a D’Alema il famoso «dì qualcosa di sinistra». Anche noi, su queste pagine, all’indomani del 13 maggio, abbiamo espresso un giudizio altrettanto pesante: i dirigenti del centrosinistra hanno dimostrato un vistoso deficit di professionalità politica, quasi fossero dottori della mutua che trovano la medicina giusta solo dopo che il paziente è volato al Creatore. Bel problema, la leadership. Specie nella società della comunicazione di massa. La soluzione di certo non sta nell’ hombre que sale al balcon, come dicono gli argentini. Non ci sarà mai un Berlusconi di sinistra, un imprenditore politico con mezzi illimitati e grande carisma che spazzi le incrostazioni politico-organizzative del passato e che, sotto un uragano di applausi, prometta mari e monti. E neppure si può aspettare il ritorno di Prodi. Attualmente il Professore ha novantanove probabilità su cento di essere il candidato premier del 2006 per una duplice ragione: la prima, perché, tra i papabili, è quello che gode la stima più ampia tra gli elettori dell’Ulivone; la seconda, perché la sua caduta nell’ottobre ’98 per un voto, poco importa se frutto di congiura o (peggio, molto peggio) di dilettantismo, è stata vista come l’interruzione di un cammino che merita di essere, prima o poi, ripreso e concluso. Ma Prodi non è un leader politico a tutto tondo: in lui vince la vocazione alla gestione e la sua vera funzione è quella di amministratore delegato dell’azienda Italia. E allora chi saranno i leader politici, cioè quelli che danno intenzionalità, che trasmettono parole convincenti e trascinanti, le parole che resuscitano i morti? Prima o poi qualcuno arriverà. Avrà coraggio e forza di volontà (come D’Alema) , altruismo e fantasia (non come D’Alema). Sarà un compagno vero (cum – pane, che spezza il pane insieme), intento a raccogliere gli stimoli dove passa la vita (e non una sua ripetizione), disposto ad andar controcorrente lasciando le prebende. Apparirà rare volte sui mass media, tendenzialmente li sfuggirà, finché non giungerà la sua ora (l’ora di farsi «crocifiggere», visto che giornali e tv sono in grado di ridurre in un mese esatto Superman ad un bietolone!). Sarà simpatico (assomiglierà un po’ a Benigni), sarà semplice e profondo (un po’ come il Cardinal Martini).
Il disordine di questi mesi, dunque, è salutare, costringe il centro-sinistra a ripensarsi, ad alleggerirsi, ad aprirsi. E’ come lasciare cappotti e cappelli invernali per vestiti più leggeri. Via tutto, via il passato pesante e si scivoli in mezzo al vento dei fatti sciamanti, sotto le folate imprevedibili dei giorni. Anche un girotondo – chi l’avrebbe mai detto? – può cambiare il mondo.
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